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2312 – Giorno Uno
Silo 17
«No, no, no, no…»
La stanza fu invasa da ronzii e pulsazioni. I due uomini lottavano con la madre di Jimmy, che da terra scalciava per sfuggire alla loro presa. Il padre di Jimmy giaceva immobile accanto a lei.
«Dannazione, apri questa porta!» ordinò l’uomo con la radio.
Il rumore che veniva dall’apparecchio sul muro era assordante. Jimmy odiava quello strumento. Corse per prendere il micro-qualcosa che penzolava dal cavo, poi ci ripensò e raccolse uno di quelli portatili appesi alla rastrelliera. Su una delle manopole c’era scritto POWER. La girò finché non sentì il sibilo, si voltò verso lo schermo e tenne la radio portatile davanti alla bocca.
«Basta» disse, rendendosi conto che stava piangendo. Le lacrime inzuppavano la tuta. «Sto arrivando.»
Fu difficile staccarsi dall’immagine della madre. Correndo nel corridoio buio, continuò a rivederla mentre urlava, scalciava per aria i suoi stivali, e la sentì strillare in sottofondo anche quando il tizio parlò di nuovo alla radio: «Dimmi il codice!».
Jimmy strinse tra i denti la cinghia da polso della radio portatile e cominciò a salire la scala, ignorando il dolore alla spalla e al ginocchio. Trovò l’apertura della grata e sollevò il riquadro d’acciaio. Lanciò fuori la radio, poi la recuperò avanzando carponi. Le luci sul soffitto erano come l’incendio nel suo torace. Suo padre era morto, come Yani.
«Arrivo, arrivo» disse alla radio.
L’uomo gridò qualcosa di rimando. Jimmy udiva solo le urla della madre e l’eco dei battiti del proprio cuore che gli esplodeva nelle orecchie. Corse tra i macchinari scuri, sotto le luci pulsanti. I lacci di uno degli scarponi si erano slegati e frustavano l’aria mentre avanzava. Pensò alle gambe di sua madre, che si dimenavano proprio come quei lacci.
Jimmy andò a sbattere contro la porta. Sentiva le urla ovattate dall’altro lato. Gli arrivavano anche dalla radio. Diede un colpo alla porta e strillò nella radio portatile: «Sono qui, sono qui!».
«Il codice!» gridò l’uomo dall’altro lato.
Jimmy andò al pannello di controllo. Gli tremavano le mani, aveva la vista annebbiata. Immaginò la madre nel corridoio con il fucile puntato addosso. Gli sembrava quasi di sentire la presenza di suo padre, steso a pochi passi da lì, appena oltre quella grande porta d’acciaio. Le lacrime gli scorrevano sul viso. Inserì i primi due numeri, il piano dove abitava, poi esitò. Aveva sbagliato. Era 12-18, non 18-12. Oppure il contrario? Inserì le altre due cifre, e il tastierino si illuminò di rosso. La porta non si aprì.
«Che hai fatto?» uggiolò alla radio l’altro uomo. «Dammi il codice!»
Jimmy armeggiò con la radio, se la portò alle labbra.
«Vi prego, non le fate del male…» supplicò.
La radio gracchiò.
«Se non fai come ti dico, è morta. Hai capito?»
L’uomo sembrava terrorizzato. Forse aveva paura proprio come lui. Jimmy annuì e allungò una mano verso il tastierino. Inserì le prime due cifre, poi si fermò e ripensò a quello che gli aveva detto il padre. Lo avrebbero ucciso. Avrebbero ucciso lui e sua madre, se li lasciava entrare. Ma quella era la sua mamma…
La luce del pannello lampeggiava impaziente. L’uomo nel corridoio gli urlò di sbrigarsi, poi strillò qualcosa riguardo a tre tentativi sbagliati e un giorno intero da aspettare. Jimmy non fece nulla, paralizzato dal terrore. Il tastierino divenne di nuovo rosso, poi si spense.
Udì uno scoppio dall’altro lato della porta, lo sparo di un fucile. Jimmy strinse forte la radio e urlò. Quando la lasciò andare, sentì gli strilli di sua madre nel corridoio.
«Il prossimo non sarà un avvertimento» lo ammonì l’uomo. «Ora, non toccare quel pannello. Non lo toccare più. Devi solo dirmi qual è il codice. In fretta, ragazzino.»
Jimmy farfugliò e provò a parlare, a dire i numeri giusti nell’ordine esatto, ma non gli venne fuori nulla. Con la fronte premuta contro la porta, sentì la madre che ancora si dibatteva e lottava.
«Il codice» ripeté l’uomo, ora più calmo.
Jimmy udì un grugnito. Poi qualcuno che urlava: «Stronza!», la madre che gli gridava di non farlo e un tonfo dall’altro lato del muro, qualcuno che veniva schiacciato contro la parete. E infine il bip smorzato del tastierino, quattro rapide pressioni dello stesso numero e un rabbioso ronzio dal pannello che segnalava il terzo tentativo errato.
Altre urla. Il ruggito di un fucile, più forte e feroce ora che aveva la testa appoggiata alla porta. Jimmy gridò e batté i pugni contro il freddo acciaio. Gli uomini stavano strillando qualcosa alla radio. Urla che venivano dal piccolo strumento portatile, urla che filtravano dal pesante metallo della porta, ma non sentiva più la voce della madre.
Jimmy scivolò sul pavimento, si lasciò cadere la radio in grembo e si raccolse su se stesso. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi, la grata del pavimento gli graffiava la guancia. E, mentre la violenza imperversava, le luci sul soffitto continuarono a pulsare, costanti e inarrestabili. Non sembravano affatto il battito di un cuore.