82
2318 – Anno Sette
Silo 17
Nell’atrio c’erano tracce di vita e di morte. Un cerchio annerito sulle piastrelle e un mucchio di cenere indicavano il punto in cui era stato acceso un fuoco. La superficie esterna della porta d’acciaio era tutta graffiata e ammaccata. C’erano ancora le tracce delle pallottole che aveva sparato a vuoto. Ai suoi piedi, Jimmy vide una macchia marrone e ricordò che lì era morto un uomo. Distolse lo sguardo da quei segnali inquietanti e avanzò nell’atrio.
Si chiuse la porta alle spalle, chiedendosi se il codice avrebbe funzionato anche dall’esterno. Che cosa sarebbe successo se la porta si fosse bloccata, impedendogli di rientrare? Fissò il tastierino e notò dei solchi attorno alla placca di metallo. Qualcuno aveva tentato di strapparlo dal muro. Pensò a tutti coloro che avevano disperatamente cercato di entrare lì dentro mentre lui invece voleva soltanto uscire.
Scacciò quei pensieri e chiuse la porta. Il ronzio degli ingranaggi gli procurò una stretta al cuore. Il montante entrò nella parete con un rumore sordo. La sua decisione era ormai irrevocabile.
Jimmy si precipitò verso il tastierino con il cuore in gola. Gli parve di udire qualcuno che avanzava verso di lui nei corridoi, lanciando urla agghiaccianti e imbracciando fucili…
Digitò il codice e la porta si aprì. Spinse la maniglia, respirò l’aria di casa… e l’odore dei suoi escrementi, reso più intenso dal calore dei server, gli mozzò il respiro.
Nei corridoi non c’era nessuno. Jimmy aveva bisogno di un nuovo apriscatole, di una toilette con lo sciacquone e di una tuta che non fosse ridotta a brandelli. Aveva bisogno di respirare, di scorte di cibo in scatola e acqua.
Richiuse la porta con riluttanza. Nonostante avesse appena testato il codice, la paura di non riuscire a entrare lo assalì di nuovo. Temette che gli ingranaggi si usurassero, oppure che dall’esterno il codice funzionasse soltanto una volta al giorno o all’anno. Una parte di lui, quella maniacale, sapeva che, anche se l’avesse controllato centinaia di volte, avrebbe continuato a temere che al tentativo seguente la porta non si sarebbe aperta. Poteva farlo in eterno senza mai essere soddisfatto. Sentì il sangue pulsargli nelle orecchie mentre si allontanava.
Il corridoio riverberava di luce. Jimmy strinse il fucile al petto e avanzò cautamente, superando gli uffici devastati. Non si udiva nessun rumore tranne lo sfrigolio di una lampada che penzolava dal soffitto e un foglio che sventolava su una scrivania sotto una presa d’aria. I tornelli erano incustoditi. Jimmy scavalcò il cancello ricordando Yani, immaginando la scala affollata, un uomo con la tuta della Pulizia che si faceva largo tra la folla; quando aprì la porta e sbirciò fuori, però, sul pianerottolo non c’era nessuno.
Sulle scale la luce era fioca. C’erano soltanto le lampade verdi d’emergenza. Jimmy chiuse lentamente la porta per non farla scricchiolare. Ai suoi piedi, sulla grata, c’era un oggetto. Lo scostò con la punta dello scarpone: era bianco e cilindrico, lungo all’incirca come il suo avambraccio e con due protuberanze alle estremità. Un osso. Ne aveva visto uno simile fra i resti di un uomo che era morto di consunzione vicino alla stanza dei server, e che aveva trascinato vicino ai suoi escrementi.
Jimmy era certo che anche le sue ossa sarebbero finite così. Forse quel giorno stesso. Non sarebbe mai riuscito a rientrare nel suo rifugio sotto i server. La cosa, però, lo spaventava meno di quanto si sarebbe aspettato. L’eccitazione di trovarsi all’esterno, l’aria fresca, il bagliore verde delle scale e persino i resti di un altro essere umano gli procurarono un improvviso e piacevole sollievo dalla sensazione di claustrofobia che aveva provato nella sua stanza. Quella che un tempo aveva visto come una prigione – i piani e i livelli del silo –, adesso gli appariva come il mondo esterno. Una terra di infinita desolazione e grandi promesse.