Dalla guerra tra bande alla Commissione
La Guerra castellammarese
L’omicidio di Gaetano Reina, suocero di Valachi, commesso il 26 febbraio 1930, è considerato, con ricostruzioni discordanti, il primo atto della Guerra castellammarese, che all’alba degli anni Trenta segnò l’apice della conflittualità del gangsterismo italiano negli Stati Uniti.
Reina era nato a Corleone nel settembre del 1889, figlio di Giacomo e Carmela Rumore, emigrati a New York. Come molti corleonesi, aveva vissuto per anni sulla 107ª strada a East Harlem, dove aveva incontrato la futura moglie Angelina. Ufficialmente impiegato in un’impresa dei Gagliano, la Run Columbus Wet Wash Laundry, in realtà era un mafioso di media caratura sottostante a Giuseppe Masseria e aveva creato un vero e proprio monopolio del ghiaccio a New York, in un periodo in cui la refrigerazione elettrica non era ancora un bene di larga diffusione, accaparrandosi con metodi criminali i luoghi di distribuzione più vantaggiosi.
Quando nel 1930 due killer lo uccisero in Sheridan Avenue, nel Bronx, sotto casa dell’amante Marie Ennis, le inchieste della polizia sull’omicidio si focalizzarono proprio sul business della refrigerazione e della distribuzione del ghiaccio. All’epoca non furono identificati dei sospetti e nessuno venne arrestato. Ma, secondo Valachi e Bonanno, i killer che lo massacrarono a colpi di pistola erano proprio nella disposizione del potente boss di New York Giuseppe Masseria. Anche il giornalista Maas asserì che l’eliminazione di Reina fu ordinata dal boss, che temeva lo stesse tradendo con il clan di Salvatore Maranzano, emigrante castellammarese, classe 1886, entrato illegalmente negli Stati Uniti nel 1925. Reina era stato il primo a opporsi in città a Masseria ed era accusato di non spartire adeguatamente i proventi del lucroso racket.
Dopo l’omicidio Reina, Joe «The Boss» Masseria, ostile all’ascesa dell’ambizioso rivale Maranzano, per conservare la propria supremazia decretò la condanna a morte degli affiliati delle famiglie di Castellammare del Golfo, il ricco comune del trapanese da cui si mossero, oltre ai Maranzano, diversi altri clan criminali di spicco.1
Con le sue deposizioni Valachi ruppe i trent’anni di silenzio sugli eventi che avevano segnato la Guerra castellammarese e diede agli americani l’esatta dimensione dello scontro e degli interessi in gioco.
Quando, nel corso di una sessione di lavoro della Commissione McClellan, il senatore Mundt chiese al detective della polizia di New York Shanley la rilevanza per l’intelligence della ricostruzione della guerra tra Maranzano e Masseria, questi dichiarò:
È molto importante per la polizia. Le informazioni sulla Guerra castellammarese mostrano la genesi della situazione attuale. Senza tale racconto non avremmo la giusta prospettiva e non sarebbe stato possibile collocare il conflitto nella sua corretta cornice. Per la prima volta abbiamo compreso la nascita dell’organizzazione strutturata nelle cinque famiglie di New York e l’evoluzione dalla guerra che si è consumata.2
L’agguato a Masseria
Il quarantacinquenne Masseria, originario di Menfi, in Sicilia, che per primo si era autoproclamato «The Boss», nel quartiere generale di East Harlem era l’emblema della mafia che si affermava e difendeva l’area di influenza a colpi di pistola. Era l’interprete di una tradizione arcaica per le nuove leve che lui stesso aveva individuato con cura e affiliato, nomi destinati a occupare in seguito la scena criminale: Salvatore Lucania, poi Charley Lucky Luciano; Francesco Castiglia, detto Frank Costello; e Gaetano Lucchese, noto come Tommy Three-Finger Brown. All’inizio Masseria contava sull’alleanza di criminali del calibro di Ciro Terranova, Dutch Schultz, Vito Genovese e a Chicago Al Capone.
Da parte loro i castellammaresi, che combattevano sotto la bandiera di Salvatore Maranzano, con Tom Gagliano ad animare la faida, avevano reclutato un vero e proprio esercito: all’apice della guerra la forza militare di Maranzano era di seicento uomini.
Il seme della rivolta contro la guida dittatoriale di Masseria era maturato quando quest’ultimo, autoproclamatosi capo di tutti i mafiosi newyorkesi, aveva deciso di imporre il pizzo agli affiliati per la sola appartenenza, punendo i soldati recalcitranti. Valachi spiegò il sistema Masseria:
Joe «the Boss» esigeva una percentuale sui soldi guadagnati da ogni membro. Controllava gli introiti e, quando rilevava un particolare arricchimento, mandava i suoi uomini a riscuotere il denaro. Chi si rifiutava di pagare era un uomo morto.3
Maranzano riuscì a creare una fronda interna nel campo avversario, incoraggiata dal ventinovenne Luciano, consapevole che il sistema di governo di Masseria era ormai fuori tempo e della necessità della pace per condurre gli affari. Luciano, frustrato dalla mancata volontà di modernizzazione ed espansione dei business, considerava possibile la cooperazione con gruppi criminali non di origine italiana. A Luciano la guerra non piaceva, perché accendeva troppo i riflettori sugli affari dell’organizzazione. Dopo diciotto mesi di regolamenti di conti, la pace non era più procrastinabile. Così, sacrificando senza troppe premure Masseria, Luciano offrì questa opportunità a Maranzano in cambio del riconoscimento del proprio grado di comando.
Vito Genovese, Ciro Terranova, Frank Costello e Lucky Luciano attirarono Masseria nel ristorante Nuova Villa Tammaro di Coney Island il 15 aprile 1931. Gli avevano proposto l’incontro per pianificare l’assassinio di Maranzano. All’arrivo del dessert, Luciano si assentò per andare in bagno, svanirono i bodyguard che scortavano Masseria e quattro killer gli spararono alle spalle. Valachi ricostruì la dinamica dell’agguato davanti ai senatori della Commissione McClellan, spiegando come l’assassinio di Masseria avesse siglato una pace poi rivelatasi fragile.
Il sistema a New York
Durante un’affollata riunione, che aveva richiamato nel Bronx fra le quattrocento e le cinquecento persone, Maranzano, autoproclamandosi Capo dei capi, aveva delineato la struttura newyorkese di Cosa nostra: ciascuna famiglia aveva alla guida un boss affiancato da un luogotenente; c’era poi il caporegime, che aveva il compito di gestire e controllare il gruppo di fuoco; infine i soldati, che costituivano la base della piramide del clan.
Valachi aveva presenziato all’incontro:
Partecipai al meeting vicino a Washington Avenue nel Bronx. C’era una grossa sala che ospitava circa cinquecento persone. Maranzano prese posizione sul palco per parlare. Spiegò alla platea che Masseria e il suo gruppo avevano commesso diversi omicidi senza alcuna ragione, a cominciare da Reina. Poi disse: «Ora sarà diverso. Innanzitutto avremo un Capo dei capi, che sarò io». Successivamente illustrò la nuova distribuzione gerarchica del potere interno e le regole. Questo è quel che definisco il secondo governo di Cosa nostra.4
Valachi confermò che il sistema delle cinque famiglie risaliva a Maranzano, il quale immaginava una guida cesaristica dell’organizzazione. Durante la fase del suo comando, Cosa nostra contava a New York circa duemila affiliati.
Negli anni Sessanta la struttura mafiosa mutuava quella prodotta dai quattordici mesi della Guerra castellammarese. Il nuovo assetto dell’organizzazione tuttavia non soddisfaceva i capifamiglia, a causa del ruolo preponderante preteso da Maranzano, che percepì il malcontento diffuso e mostrò l’intenzione di eliminare la generazione di boss pronta a emergere, prefigurando un altro scenario di guerra.
Il Capo dei capi confidò a Valachi, diventato il suo autista dopo la morte di Masseria, che era necessario tornare a sparare. Nel memoriale Valachi ricorda la propria preoccupazione per questa scelta, sia per il costo economico sia per quello umano. Maranzano intendeva liberarsi dei sempre più ingombranti Al Capone, Frank Costello, Lucky Luciano, Vito Genovese, Vincent Mangano e Dutch Schultz. Il patto sancito con Luciano, che aveva decretato la fine di Masseria, era venuto meno.
La paura e lo scetticismo di Valachi erano condivisi da Tom Gagliano, che li esternò durante un incontro nel Bronx:
Il vecchio [Maranzano] è impazzito. Stiamo tutti per andare a morire. Le nostre vite sono in pericolo, perché vuole iniziare una nuova guerra.4
Valachi era scosso, ma ancora indeciso sulla posizione da assumere. Petrilli, molto vicino a Luciano, non esitò a suggerirgli di passare nella famiglia Genovese, che cercava nuove reclute. Anche Bobby Doyle informò Valachi dell’opportunità.
Maranzano commissionò l’uccisione di Luciano e Genovese a Vincent Coll, killer di origine irlandese che fino al 1931 lavorava per l’olandese Dutch Schultz, barone del traffico di birra durante il proibizionismo e capo del racket dei ristoranti.5
La fine di Maranzano, il Capo dei capi
La scena del delitto Maranzano, figura ormai non più funzionale nella geometria policentrica di potere delle famiglie, è eloquente. Coll avrebbe dovuto attendere e uccidere Luciano insieme a Genovese. I due erano stati convocati nel nuovo quartiere generale di Maranzano, che aveva lasciato Little Italy spostandosi in uno studio lussuoso presso l’Eagle Building Corporation in Park Avenue. La copertura legale del capomafia era una società immobiliare. Valachi, ricordando il giorno dell’iniziazione, aveva definito l’aspetto di Maranzano come quello di un banchiere.
Bobby Doyle, venuto a conoscenza del piano contro Genovese e Luciano, tradì Maranzano e all’appuntamento, al posto dei due boss, si presentarono quattro killer camuffati da agenti del fisco che, anticipando l’arrivo di Coll, freddarono Maranzano e si dileguarono.
L’11 settembre 1931, nell’ufficio di Maranzano c’erano molte persone in fila, in attesa del proprio turno per incontrarlo: i sicari lo assassinarono davanti a tutti. Doyle, testimone oculare dell’accaduto, disse a Valachi che gli esecutori materiali erano appartenenti alla malavita ebraica collegati a Meyer Lansky. Né lui né i quattro killer erano membri di Cosa nostra. Valachi spiegò al senatore McClellan quanto però fossero molto prossimi a Lucky Luciano e a Genovese.
In quel periodo esisteva un’alleanza trasversale, la Big Seven, che tracciava la rotta clandestina dell’alcol sulla costa atlantica. Maranzano, ucciso appena cinque mesi dopo Masseria, si era intromesso indebitamente nel traffico di alcol e nell’industria dell’abbigliamento, toccando gli interessi della Big Seven nella quale figuravano Luciano, lo stesso Lansky e Schultz.
Ogni famiglia di Cosa nostra aveva una propria area geografica di riferimento nella quale operava e di cui aveva la responsabilità. Il business però spesso varcava i confini geografici, assecondando le direttrici della filiera economica, le attività dunque potevano raggiungere, sulla base di accordi preesistenti, anche zone non strettamente riconducibili alla famiglia. Tuttavia una sola organizzazione come Cosa nostra, seppure ramificata e interclassista, non poteva controllare l’intero crimine organizzato negli Stati Uniti.
La Commissione
Dopo il duplice omicidio di Masseria e Maranzano, Lucky Luciano accrebbe decisamente la propria influenza e, alla fine del 1931, apportò delle riforme alla catena di comando. Parafrasando Valachi, Luciano introdusse nell’organizzazione legge e ordine dopo quattordici mesi di guerra. La figura del Capo dei capi fu abolita. Era necessario fermare il controproducente Far West della guerra fra bande degli anni Venti e Trenta. Racconta Luciano:
Poi creai la Commissione, il consiglio supremo, con i grandi boss e gli altri membri, per risolvere i contrasti tra le famiglie e mantenere l’ordine.6
Nella relazione del settembre 1963 Kennedy ne comprovò l’esistenza:
Sappiamo che la Commissione direziona le principali decisioni politiche dell’organizzazione.7
Le rivelazioni di Valachi erano state fondamentali per chiarire l’effettivo ruolo della Commissione in una fase espansiva, rispetto al precedente quadro frammentato e di scarso controllo delle guerre intestine.
Quattro anni più tardi, nel 1967, la President’s Commission on Law Enforcement and Administration of Justice, istituita dal presidente degli Stati Uniti Johnson, confermò l’impianto e il ruolo della stessa raffigurato dal collaboratore di giustizia:
La funzione di questo apparato è contestualmente giuridica e legislativa. I membri delle famiglie guardano alla Commissione come se fosse la Corte suprema, quale autorità ultima per le dispute interne organizzative e giurisdizionali. È composta dall’élite nazionale dei boss appartenenti alle famiglie. Il bilanciamento di potere dentro a questo consiglio nazionale resta in mano ai leader delle cinque famiglie di New York, che è il quartiere generale dell’intera organizzazione.8
La Commissione non aveva precedenti nella storia della mafia siciliana, che in seguito la mutuerà sul modello statunitense, confermando la duplice evoluzione delle organizzazioni.