La Commissione McClellan
Dalla crociata anticomunista alla lotta contro la corruzione
Già dopo l’elezione al Senato di John Fitzgerald Kennedy, il padre Joe si era preoccupato del futuro del terzogenito. Nel mese di dicembre del 1952 aveva telefonato al senatore repubblicano Joseph McCarthy, che aveva sostenuto durante le elezioni e al quale il presidente Eisenhower aveva assegnato la carica di capo della sottocommissione permanente d’inchiesta della Commissione del Senato per il controllo delle attività governative (Permanent Subcommittee on Investigations of the Senate Government Operations Committee), per chiedere di considerare la candidatura di Robert come consulente giuridico.
La nomina andò in porto. Il discredito assunto dalla deriva illiberale del maccartismo avrebbe potuto macchiare il percorso politico di Robert Kennedy; proprio in quel periodo infatti iniziarono a formarsi i pregiudizi sulla natura del suo impegno. Ma lui seppe smarcarsi in tempo. La collaborazione con McCarthy durò appena sei mesi. Al giornalista Peter Maas, che non si capacitava delle possibili convergenze tra Kennedy e il senatore del Wisconsin, Robert spiegò in seguito di essere stato convinto che incombesse una reale minaccia comunista interna al paese e contestò pubblicamente le modalità operative della sottocommissione McCarthy.
Quanto affermò nel libro The enemy within non lascia molte possibilità di fraintendimento:
Nella commissione ho resistito solo sei mesi. La maggior parte delle investigazioni erano istruite sulla base di nozioni preconcette del capo consulente giuridico o dei membri del suo staff. Cohn e Schine rivendicavano di sapere dal principio che cosa fosse sbagliato, e non permettevano che i fatti e le prove reali interferissero con la loro costruzione accusatoria. Di conseguenza non fu intrapreso nessun vero lavoro di ricerca, che avrebbe potuto distruggere alcune delle loro teorie predilette. Ritenni che il senatore McCarthy sbagliasse a consentire che la commissione operasse in questa maniera. Glielo dissi e rassegnai le dimissioni.1
Nel 1955 John McClellan successe a McCarthy. Il senatore dell’Arkansas aveva raggiunto la notorietà a livello nazionale l’anno prima, quando era membro della minoranza democratica della sottocommissione. Osteggiando l’impostazione maccartista, McClellan per protesta aveva portato fuori la delegazione dei democratici, i quali erano rimasti lontani dall’aula per sei mesi ed erano rientrati solo dopo aver ottenuto delle garanzie sullo sviluppo dei lavori. Dopo le elezioni di medio termine del 1954, quando i democratici ripresero il controllo del Senato, McClellan scalzò McCarthy come presidente della sottocommissione. Sotto la sua presidenza l’organo spostò l’investigazione dalle ombre del pericolo rosso all’inquinamento delle relazioni nel mondo del lavoro e del crimine organizzato.
McClellan, classe 1896, e Kennedy rappresentavano due generazioni lontane, ma trovarono subito l’intesa.2 Così, nel gennaio del 1957 il Senato statunitense istituì il Select Committee on Improper Activities in the Labor or Management Field, presieduto da McClellan con la collaborazione del trentaduenne Kennedy nella veste di primo consulente giuridico. L’attività della commissione – nota come Commissione antiracket o Commissione McClellan – mediante la televisione raggiunse milioni di americani, riscuotendo un evidente consenso. Dal 26 febbraio, quando si aprirono i lavori con una serie di interrogatori e audizioni pubbliche in diretta televisiva, si affermò come la commissione investigativa più radicale ed efficace che il paese avesse conosciuto, mostrando agli americani la diffusa corruzione nei vertici dei sindacati più influenti e nel mondo dell’impresa.
La caduta di Dave Beck
Minacce, abusi di potere, tangenti, proliferazione di cariche illegittime, infiltrazione della criminalità organizzata: Robert Kennedy entrò nel sistema deviato del più grande e ricco sindacato nordamericano investigando e sfidando pubblicamente i suoi vertici. La International Brotherhood of Teamsters, che negli anni Cinquanta e Sessanta contava un milione e seicentomila iscritti, controllava soprattutto il settore nevralgico dei trasporti, dunque la distribuzione merci nelle maggiori aree metropolitane.
La prima mossa di Kennedy consistette nell’allestire una squadra di investigatori all’altezza dell’ambizione di indagare un fenomeno così complesso ed esteso, come avrebbe fatto successivamente nel ruolo di procuratore generale. In sei mesi il numero degli investigatori della Commissione McClellan crebbe da sei a trentacinque. Dalla stanza 101 negli uffici del Senato le indagini si diramarono in tutto il paese con la ricezione di un flusso crescente di denunce.
Tra gli uomini di fiducia di Robert Kennedy c’era l’ex agente dell’Fbi Carmine Bellino, cognato di Angie Novello, storica segretaria di RFK. Bellino fu una figura chiave nelle inchieste sul sindacato Teamsters fino al Watergate, applicando il fondamentale metodo d’indagine di smascherare la corruzione seguendo il denaro e i suoi movimenti.3 Nel dicembre del 1956, prima dell’apertura ufficiale dei lavori della commissione, Kennedy e Bellino cominciarono le investigazioni proprio da una banca per provare la condotta illecita di Dave Beck. Il presidente (dal 1952 al 1957) del sindacato Teamsters era un personaggio apicale della vita politica, sociale ed economica statunitense, come scrisse lo stesso Kennedy nel suo libro autobiografico:
Il mondo sa che era un disonesto, ma fino al dicembre del 1956 era una figura rispettata a livello nazionale, fotografato insieme al presidente Eisenhower. Era membro di consigli di amministrazione universitari e in virtù della sua carica in Teamsters deteneva una forza considerevole nell’economia statunitense. Chiese un autografo sul libro di mio fratello Profiles in courage.4
Gli accertamenti compiuti presso la National Boulevard Bank of Chicago, sui conti di un associato di Beck, Nathan Shefferman, dimostrarono l’uso a fini personali dei fondi del sindacato:
Abbiamo dovuto ricostruire le manipolazioni finanziarie di Beck, assemblando gli assegni o gli esborsi e tracciandoli. Spesso è stato possibile farlo solo attraverso i dati bancari. Di frequente, transazioni che appaiono innocenti rivelano qualcosa di molto significativo. Il genio investigativo di Bellino ha consentito alla commissione di provare la sottrazione di 370.000 dollari dalla Western Conference of Teamsters.5
Il 5 gennaio 1957 Kennedy incontrò informalmente Beck presso l’hotel Waldorf-Astoria di New York. Questi si professò pronto a bonificare il sindacato Teamsters dalle infiltrazioni criminali, ma si rifiutò di rispondere sull’impiego dei fondi. Nel corso dell’audizione davanti alla Commissione McClellan, Kennedy reiterò tre volte la domanda sull’appropriazione indebita di 370.000 dollari da parte di Beck, iscritto all’organizzazione dal 1914. Ma il sindacalista invocò centodiciassette volte il Quinto emendamento per evitare l’autoincriminazione.
Condannato nel 1959 per frode fiscale e per l’incasso di duemila dollari dalla vendita di una Cadillac di proprietà del sindacato, Beck trascorse trenta mesi in carcere fino alla libertà condizionata concessagli nel 1964. Il milionario, foraggiato da una pensione d’oro del sindacato e riabilitato nel 1975 dal presidente Gerald R. Ford, morì nel dicembre del 1993 all’età di novantanove anni.
L’acerrimo nemico Jimmy Hoffa
Della caduta di Beck approfittò Jimmy Hoffa, spregiudicato protagonista per vent’anni della vita economica, politica e criminale americana, eletto il 14 ottobre 1957 a capo dell’International Brotherhood of Teamsters dopo un’ascesa prepotente.
Hoffa non si pose scrupoli riguardo allo spessore criminale degli uomini con cui si alleò per raggiungere i suoi obiettivi mediante la violenza e l’intimidazione mafiosa. Il fondo pensioni di Teamsters, creato da Hoffa, divenne una ricchissima fonte di finanziamento degli affari di Cosa nostra, dai casinò alla speculazione edilizia. La mafia arrivò a usufruire di una delle principali istituzioni finanziarie del paese.
Nel cuore degli anni Cinquanta, all’apice della sua popolarità, Hoffa aveva costruito con le lotte sindacali e l’avvento della televisione il mito dell’uomo semplice capace di affrontare l’establishment, di cui i Kennedy erano un’espressione. Il sindacato Teamsters, ancora oggi presieduto dal figlio di Hoffa, Jimmy Hoffa Jr., si trasformò in una sorta di possedimento personale.
Nelle accuse della McClellan è forte il richiamo alla mancanza di partecipazione e di procedure democratiche all’interno del movimento sindacale. Robert Kennedy, prima come consulente della commissione d’inchiesta, poi come procuratore generale, fu l’acerrimo nemico di Hoffa.
Il primo contatto fra i due avvenne per un tentativo di corruzione che a Hoffa costò l’arresto, anche se poi uscì indenne dal processo. Il sindacalista aveva offerto mille dollari all’avvocato newyorkese John Cye Cheasty per penetrare nella Commissione McClellan in qualità di investigatore e spia, poter conoscere in anticipo le indagini e quindi schivarle. Per l’intera durata dei lavori, Hoffa lo avrebbe lautamente stipendiato. Cheasty, appena ricevuta la proposta, incontrò Kennedy a Washington e iniziò a collaborare con la commissione, provando il passaggio di denaro e successivamente il trasferimento di informazioni a Hoffa, il tutto sotto l’egida dell’Fbi. Di quell’indagine si occupò Courtney Evans, appartenente alla divisione investigazioni speciali dell’agenzia. Da quel momento tra Evans e Kennedy si sviluppò un rapporto di fiducia e negli anni successivi l’agente gli fece da tramite con Hoover.
Hoffa, assolto da molte incriminazioni, si sentiva un intoccabile grazie alla sostanziale rete di protezione di professionisti, avvocati, figure di relazione intermedie e banche di cui godeva. Robert Kennedy li definiva middlemen, gli uomini cerniera tra diversi mondi che garantivano servizi al malaffare.
La Commissione McClellan mosse nei riguardi della sua gestione soprattutto i seguenti capi d’accusa: la presenza di mafiosi in posizioni di vertice nel sindacato, la distrazione e lo sperpero di migliaia di dollari dai fondi di Teamsters, le strette relazioni con imprenditori con i quali aveva instaurato un regime di scambio di reciproci favori economici a danno dei lavoratori.
Kennedy non esitò a definire il sistema Hoffa, che non era circoscritto al sindacato Teamsters, un pericolo mortale per gli Stati Uniti. Furono chiamati a testimoniare numerosi boss, dello spessore criminale di Tony «Ducks» Corallo, Johnny Dio, i fratelli Gallo, Tony Provenzano, riconducibili e legati al sindacato. Le inchieste non toccarono solo il settore dei trasporti, ma si estesero al tessile giungendo perfino ai panettieri. Emerse il pieno coinvolgimento del racket mafioso in un ambito, tuttora particolarmente appetito dalle mafie, come la gestione dei rifiuti urbani.
Robert Kennedy pose la propria attenzione sull’incapacità del mondo economico di evitare il contagio e di fare pulizia dei legami pericolosi:
Nessuna associazione di categoria ha mosso un passo per liberarsi dei membri coinvolti in accordi collusivi. Nessuna azienda è stata interdetta ed esclusa dalle associazioni industriali per gli atti illeciti di cui gli stessi capitani d’impresa spesso hanno ammesso l’esistenza. Gli imprenditori corrotti partecipano ancora ai pranzi e alle cene dei principali gruppi industriali nel paese. Riscuotono ammirazione invece che censura.6
L’infiltrazione criminale nel sindacato
Già dopo un anno di indagini della commissione, il senatore McClellan ammise come fossero maturate le evidenze della progressiva presa di controllo dell’associazione mafiosa sull’economia americana:
Le informazioni in nostro possesso mostrano la vasta cospirazione dei gangster al fine di acquisire un’influenza deleteria per l’economia nazionale. Esiste un sindacato criminale che ha corrotto aspetti fondamentali della vita del movimento dei lavoratori e del mondo dell’impresa. Occorre fermare il riciclaggio. Dobbiamo prevenire l’utilizzo da parte dei gangster della loro consistente potenza economica. E rafforzare il sistema antiracket.7
La commissione riuscì a provare la corruzione all’interno di quindici sigle sindacali e circa cinquanta imprese, ottenendo nel 1959 il passaggio al Congresso del Labor Reform Act, la riforma del sindacato conosciuta come Landrum-Griffin.
In tre anni di lavoro come primo consulente della Commissione McClellan, Robert Kennedy interrogò 1525 testimoni dopo una cospicua preparazione preliminare, ingaggiò e diresse gli investigatori, pianificò la strategia e gestì tutto il flusso informativo, coordinò lo staff più numeroso – oltre cento persone – che il Congresso abbia mai conosciuto per una commissione d’inchiesta:
Quando finii la facoltà di Legge, considerai la vita pubblica come una delle diverse possibilità. Pensavo seriamente di praticare l’avvocatura, associandomi a uno studio privato. Ma nulla mi sembrava che promettesse una vera carriera quanto la possibilità di assumere responsabilità in giovane età o di ottenerle lavorando per il governo. Quando sono diventato primo consulente della Commissione antiracket del Senato nel 1957 ho maturato il desiderio di lavorare per il governo il più a lungo possibile. Jimmy Hoffa era una delle ragioni principali, con lui ho scoperto le conseguenze dell’uso irresponsabile del potere, come minaccia alla libertà collettiva, e ho compreso che cosa è richiesto a ognuno di noi per affrontarlo.8
Il 20 ottobre 1959, all’alba della lunga corsa del fratello verso la Casa Bianca, Robert Kennedy scelse il confronto diretto nella tana dell’associazione nazionale di categoria del trasporto, l’American Trucking Association, coinvolta in casi di corruzione:
Quel che è accaduto al nostro sistema economico, sia sul fronte sindacale che su quello imprenditoriale, è inquietante. Lo sviluppo dell’America dipende dalla vitalità di un’economia sana, mentre oggi ci sono chiari sintomi che qualcosa non va nella vita nazionale. Durante la sua storia, il lavoro sindacalizzato ha conosciuto il sacrificio di uomini e donne che hanno lottato e sono morti affinché i propri compagni potessero liberarsi dal giogo della schiavitù economica. Tuttora gli ideali del movimento dei lavoratori sono portati avanti da sindacalisti credibili. Malgrado ciò, coloro che si ritrovano nelle posizioni apicali hanno tradito la loro fiducia trasformando i sindacati in possedimenti personali collusi con esponenti del crimine organizzato.9
I contenuti e i risultati del comitato McClellan avvalorarono la campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy, al fine di ottenerne la nomination fra i democratici ma, soprattutto, diedero un assaggio manifesto delle attitudini di Robert. Nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali, il giovane Kennedy tematizzò nella piattaforma programmatica dei democratici la lotta al crimine organizzato, facendo emergere quanto incidesse negativamente sullo stato di salute della democrazia.
Il 31 luglio 1959 il candidato John Fitzgerald Kennedy intervenne a Milwaukee in una convention di procuratori distrettuali. Il discorso del futuro presidente delineò il lascito della Commissione McClellan, ma soprattutto sottolineò la dimensione nazionale del problema, che richiedeva una risposta corale sul fronte investigativo, giudiziario e civile:
Parlo del vero cuore della questione: il crescente potere del crimine organizzato, il sindacato criminale che ha ottenuto un controllo sempre più ampio dell’economia legale. Troppi criminali di rango non sono direttamente riconducibili ai servizi illegali – narcotraffico, estorsione, prostituzione e gioco d’azzardo. Queste attività illecite ora si celano o sono associate con legittime imprese commerciali: l’edilizia, i trasporti, l’industria cinematografica e quella dell’abbigliamento. Frequentemente la natura di queste imprese serve a coprire le operazioni illegali. Il narcotraffico è agevolato dal controllo dei porti, che sono aree franche. È impossibile combattere il crimine organizzato con una strategia frammentaria.10