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Ritorno imprevisto
Si svegliò che era quasi buio, il sole stava tramontando. Non sapeva che ora fosse, non aveva portato l’orologio. Si lavò la faccia nell’acqua del lago; il silenzio regnava attorno, solo lo stridio rapido di un uccello, poco lontano.
Aveva fame: tirò fuori dallo zaino una scatoletta e l’accompagnò con un paio di gallette e con alcuni sorsi d’acqua. Si pentì di non aver portato con sé un frutto, allora si strizzò in bocca un po’ di latte condensato e finì la cioccolata.
Mise un po’ d’acqua nel gavettino, che era incastrato sul fondo della borraccia, e lo posò sul fornellino accendendo sotto la meta. Quando l’acqua bollì, vi versò il caffè liofilizzato e la bottiglietta di anice. Zuccherò e bevve di gusto, accendendosi subito una sigaretta.
“L’anice dell’Istituto farmaceutico militare è proprio buono” pensò.
Si sdraiò fumando.
Era ormai buio e il cielo era pieno di stelle. Le guardò a lungo, pensando a quella giornata, al suo mestiere di forestale, alla camminata che aveva fatto.
Pensò a Elena. Rimpianse di non averla invitata, ma ce l’avrebbe fatta con tutta quella strada?
Forse sì. Era una ragazza in gamba, davvero.
“Mi piace.”
Con Elena nella mente si infilò nel sacco a pelo. Guardò ancora per un poco le stelle, cercò la Polare.
“Chissà com’è la Croce del Sud” pensò.
Si addormentò.
La sera del terzo giorno alcuni nuvoloni scuri convinsero Gherardini a cercarsi un riparo dalla probabile pioggia. Dormire sotto l’acqua non era il massimo.
Lo trovò: un rudere che era forse stato il rifugio per un pastore. O la tana di un eremita.
Ce n’erano anni fa. In paese se ne aveva ancora una memoria tramandata dai nonni.
Da lontano gli era sembrato un cumulo di massi. Da vicino, una piccola tana, un ricovero provvisorio. Quattro muri a secco protetti da lastre che il tempo aveva annerito e coperto di muschio.
«Non sarà un quattro stelle, ma terrà fuori l’acqua.»
La notte passò senza pioggia. Solo tuoni lontani e lampi appannati dalla distanza.
Lo svegliò un raggio di sole che passava da una fenditura del muro a secco.
Restò infilato nel sacco a pelo a goderselo mentre il raggio si spostava sul suo corpo.
Era l’alba del quarto giorno delle vacanze che Baratti avrebbe voluto fargli trascorrere al mare e che, sempre secondo il comandante, avrebbero dovuto essere distensive.
In parte così era stato. E neppure si era stancato né lo avevano stancato le montagne. Anzi, aveva ritrovato il mondo che gli piaceva: le creature, la vegetazione, i silenzi e gli improvvisi rumori del bosco.
Ogni sera si era addormentato sotto lo schermo di un cielo stracolmo di stelle e si era svegliato con il frullo di ali in partenza da un nido pigolante di minuscoli passeri.
Aveva mangiato mirtilli bagnati di rugiada.
Incontrato una volpe…
Stava attraversando il sentiero una decina di metri davanti a lui. La seguivano quattro volpacchiotti. Alla vista di Poiana, la volpe s’era bloccata e i volpacchiotti l’avevano imitata. Immobile, aspettò alcuni secondi, lo sguardo fisso sull’animale uomo, e poi aveva attraversato il sentiero. Aspettò che anche i piccoli passassero e scomparissero dentro la bassa vegetazione e poi li raggiunse.
Una sera, il sole stava tramontando e Marco, sdraiato sull’erba, guardava il cielo d’un azzurro intenso, quasi scuro. Nel suo campo visivo entrò una poiana, ali spiegate come vele al vento. Dopo alcuni ampi cerchi, puntò come un fulmine verso terra. Sparì dietro gli alberi e riapparve pochi secondi dopo puntando il cielo. Dagli artigli pendeva una serpe che si agitava senza riuscire a liberarsi dalla presa. Sparì di nuovo dietro un agglomerato roccioso, dove, forse, aveva il nido e i piccoli che l’aspettavano.
La coincidenza gli piacque. Lui, Poiana, che catturava la serpe…
La serpe poteva essere il colpevole dell’omicidio di Ramingo.
Un presagio, avrebbero detto le più anziane del paese.
Vide anche un branco di lupi, cinque, sei. Si fermò: non era un incontro piacevole. La mitologia del lupo è dura a morire.
Si fermò anche il capobranco. Valutò la presenza e abbandonò il sentiero, seguito dagli altri.
Insomma, era stato bene.
Sarebbe stato bene se di tanto in tanto non gli fosse tornato il pensiero del Ramingo. Venuto dalla Germania per l’affetto verso la sorella uccisa da qualcuno che Marco Gherardini non avrebbe mai trovato. Arrivato per avere giustizia, lui stesso era stato ucciso.
E all’alba di quel quarto giorno, decise che era tempo di tornare.
Il raggio di sole che l’aveva svegliato era sparito dalla tana dove aveva passato la notte e, senza che se ne rendesse conto, il suo pensiero andò a un altro sospetto: Giacomo.
Il giorno stesso che lo avevano esonerato dall’incarico, Giacomo si era presentato a casa sua…
Anzi, gli era entrato in casa.
Perché?
Cosa voleva da lui?
Che senso aveva l’accenno a prossimi guai che sarebbero capitati durante la Festa dell’Arcobaleno?
Aveva fornito a Solitario due paia di sandali: perché non glielo aveva detto?
Giacomo parlava il tedesco…
Arrivò in paese a tarda sera dopo una camminata non da poco e quindi stanco e con una gran voglia della doccia. Di passare in caserma, neppure ci pensò. A fare cosa?
Già da lontano vide le luci di casa sua accese, sia dentro che la lampada sulla porta d’ingresso.
Ci arrivò da dietro e dalla finestra di cucina cercò di vedere chi abitava la casa in sua assenza. Dallo spiraglio usciva il profumo di erbe aromatiche. Capì prima di vedere.
«Ciao» disse aprendo la porta.
Elena, china sul fornello, sussultò e lasciò cadere il cucchiaio.
«Mi hai fatto paura, accidenti! È il modo di presentarsi?»
«In casa mia?» e, fermo sulla soglia, le aprì le braccia.
Elena lo raggiunse e ricambiò l’abbraccio e i baci successivi.
«Puzzo come una puzzola» disse lui staccandosi.
Elena lo annusò divertita: «È un odore che mi piace».
«Mi sono lavato, ma non è come fare la doccia e ho una barba di quattro giorni.»
Lei gli passò la mano sulla guancia. «Mi piace anche la barba di quattro giorni» poi, come se ricordasse solo in quel momento, corse al fornello. «Sto bruciando la cena.»
«Ce n’è anche per me?»
«Ho preparato per due. Fra dieci minuti è pronto…»
«Prima una doccia.» Lasciò cadere lo zaino sul pavimento e andò in bagno.
«Anche per me» mormorò Elena.
Spento il fornello, andò nell’antibagno, si spogliò e lo raggiunse.
Tornò fra le sue braccia e passò un po’ prima che uscissero.
Il tempo per fare l’amore.
«Sparire così, senza dirmi niente» disse Elena mentre mangiavano.
«Avevo pensato di passare a chiederti di venire con me…»
«Lo avrei fatto. Non ho molti impegni.»
«Scusami. Me ne sono andato per disperazione.»
«Lo immaginavo. Ti dispiace se mi sono impadronita della tua casa?»
«Non è così che fate voi elfi?»
«Tu non sei un elfo. Tranquillo, me ne andrò domattina. Sono venuta per aspettarti. Anche Adùmas è venuto ogni sera a chiedere di te. Era in pensiero e ha deciso che domattina verrà a cercarti…»
«Sono stato via quattro giorni…»
«Troppi per chi ti vuole bene. Dovresti avvertirlo prima che si metta in giro.»
«Quel matto meriterebbe che lo lasciassi fare. Chissà poi dove sarebbe andato?»
«Dice che sapeva dove cercarti. Ah, mi ha anche raccontato tutto.»
«Cioè, cosa?»
«Più o meno come sono andate le cose.»
Marco restò in silenzio. Non sapeva che dire.
Tanto per fare qualcosa, andò al telefono e chiamò Adùmas.
«Eri già a letto?»
«Dove dovrei essere a quest’ora? A ballare?» e la voce era impastata di sonno. Forse non aveva ancora capito chi lo avesse svegliato.
«Sono io, Poiana.»
Alcuni secondi di silenzio. Il tempo per capire la situazione. «Dove sei?»
«A casa mia. Non importa che domattina vai a cercarmi…»
«Meglio così. Alla mia età dovermi mettere a cercare un Poiana perduto nei boschi… non sarebbe stato il massimo né per te né per me.» Posò il ricevitore e tornò verso la camera borbottando un «Buonanotte» che voleva dire altro.
«Fatto» disse Marco sedendo di nuovo a tavola. «Che ne diresti se andassimo a letto. Ne ho un bisogno…»
Elena non lo fece finire. Lo prese per mano e si avviò alle scale.
A letto gli si rannicchiò accanto: «Novità?».
«Sì, sono stato esonerato dall’incarico…»
«Non è una novità. In paese lo sanno tutti. Intendo se hai qualcosa di nuovo sulla morte di Ramingo.»
L’insistenza di Elena per avere informazioni gli fece tornare quel sospetto che aveva respinto durante la camminata: Elena. Possibile?
«Anche se avessi delle novità, non servirebbero: l’inchiesta è archiviata.»
Elena si strinse ancora di più a lui e sussurrò: «Peccato».
«Perché?»
«Non credi che abbiamo di meglio da fare?» e gli porse il viso.
«Davanti a certi argomenti…» Si baciarono. Le sussurrò sulle labbra: «Ne parleremo dopo».