15
Una cena saltata
Ripresero il fuoristrada.
«Una cosa, Poiana» disse Farinon. «Di giorno non lo troveremo. Nella sua ricerca, si sposterà continuamente in auto e a piedi.»
«Dobbiamo arrivargli addosso mentre fa la sosta per la notte» convenne Gherardini. «Cercare di immaginare dove si fermerà. Per esempio: stanotte si è fermato alla Ca’ Storta per andare dove, oggi, a cercare l’elfo?»
«Dalla Ca’ Storta, il posto più vicino con gli elfi sono i Campetti. Vuoi scommettere che è già passato di là?»
Andarono.
Solita scarpinata dalla strada comunale, dove lasciarono il fuoristrada, fino ai Campetti.
Avevano visto giusto: il mattino, presto, verso le sette e mezza, otto, Adùmas si era presentato da Paolino.
«Che voleva?»
«Ha parlato di un elfo» rispose vagamente Paolino, «che non ho mai visto ai Campetti.»
«Aveva fucile e cartucciera?»
Paolino ci pensò. «Non lo so, non ci ho fatto caso.»
«Mi prendi in giro? Ce l’aveva o no lo stramaledetto fucile?» Ancora Paolino non rispose. L’ispettore cambiò tattica. «Paolino, né io né te siamo responsabili di quello che ha o non ha fatto Adùmas. Cerchiamo di non metterci nei guai anche noi.»
«Maledetto quel giorno che Cornetta non è tornata a casa!» esclamò Paolino dei Campetti. La sua voce aveva il tono dispiaciuto di chi farebbe volentieri a meno di parlare. «Ce l’aveva, ce l’aveva, accidenti a tutti!»
Gherardini e Farinon passarono da Pietra che, assieme alla sua compagna Crepuscolo, continuava a lavorare al rudere nel quale la famigliola avrebbe poi abitato. Il piccolo Nerwain l’avevano sistemato su un telo disteso sull’erba davanti a casa. Biascicava un pezzo di pane che doveva essere piuttosto secco a considerare da come lo rumigava con i suoi dentini.
«Sì» spiegò Pietra, «Adùmas conosco. Offerto il bere, ma lui andato di fretta. Chiedeva di elfo. Dice che giovane, quasi un ragazzo, pallido di malato e biondo.»
Si fermarono anche da Giacomo, al Borgo, ma non c’era. Se n’era andato, spiegò Paolino, da due giorni. Salito a Collina di Casedisopra per dare una mano nell’allestimento della Festa dell’Arcobaleno. La data si avvicinava e c’era lavoro per tutti.
«Giacomo è come il Ramingo» commentò Gherardini sul sentiero, tornando al fuoristrada. «C’è, esiste ma nessuno l’ha visto.»
Al termine di una giornata di scarpinate, rientrarono in caserma dove i due forestali fecero il punto delle ricerche.
«A quanto ho capito» disse Farinon, «Adùmas si sposta al mattino presto e poi s’imbosca per non correre il rischio di incontrarci. Sa che lo cerchiamo. Hai notato che nessuno l’ha visto nel pomeriggio?»
«E noi partiremo domattina alle quattro e arriveremo a Purgatorio prima che Adùmas si metta in macchina.»
«Perché Purgatorio?»
«È arrivato ai Campetti e si è fermato, nascosto da qualche parte. Dai Campetti, la seconda tappa più probabile potrebbero essere gli elfi di Pastorale. E il posto più vicino a Pastorale è Purgatorio. Conosce qualcuno che può ospitarlo. Dargli anche da mangiare. Non credo che Adùmas abbia avuto il tempo per prendersi dietro un granché.»
Chiusero bottega, e andandosene Gherardini ribadì: «Alle quattro. Mi porto Ferlin e tu ti prendi un giorno di riposo».
«Cos’è, Poiana? Sono diventato vecchio dall’oggi al domani?»
«Mi prendo Ferlin» disse a voce alta, «perché è ora che si dia una mossa e impari qualcosa, se vuol fare carriera nell’Arma dei carabba.»
«Nell’Arma dei carabba ci andrete voi due» disse a voce altrettanto alta il giovane forestale. Era in cucina e dava una mano a Goldoni nella preparazione della cena.
Gherardini non l’aspettò, la cena.
Voleva sapere di Elena.
Non la trovò.
Trovò un biglietto sul tavolo:
“Grazie per tutto. Elena”.
Aveva fatto colazione e se n’era andata.
Non aveva voglia di prepararsi da mangiare e decise per Benito. Non ci mangiava da troppi giorni e la voglia della cucina dell’Adele si faceva sentire.
Vide Benito seduto sulla poltroncina di vimini appena fuori dall’ingresso del locale, un bicchiere di rosso in mano e, come al solito, apostrofava i passanti salutandoli o sparando battute non sempre attente alla privacy o alla dignità dei malcapitati, con sprezzo delle convenzioni e una voce che sarebbe stata facilmente udibile anche all’estremità della piazza.
Anche lui vide Gherardini avvicinarsi e gli urlò: «Poiana, Poiana!».
L’ispettore era di umore cupo, contrariamente al suo solito carattere. La giornata appena trascorsa lo giustificava: «Che c’è. Ti sentono fino in fondo al paese. Sei sempre qui a rompere le scatole a tutti?».
Benito per tutta risposta: «Bella la vita per voi forestali, eh, Poiana?».
«Bella sì, fin quando nessuno ci infastidisce.»
Benito non lo ascoltava. Spesso parlava per se stesso. «Oh, dentro c’è un tuo amico che ti aspetta da un po’.»
«Un mio amico? Che amico?»
«Non sei amico degli elfi? Da un po’ di tempo sei sempre su di là. Te li porti perfino in casa» e sorrise al pettegolezzo. «È lì a un tavolino con un mezzo di rosso, e s’è fatto il largo attorno. Sai che non sanno sempre di acqua di rose.»
«Ti sei mai annusato tu? Fammi passare, va là.»
Entrò e vide Joseph, seduto a un tavolino, l’aria pensosa davanti a un bicchiere. Quando Gherardini si fece avanti, alzò la mano per salutarlo e sorrise con aria ironica:
«Buona sera signor comandante».
Gherardini restò in piedi. Gli dette una rapida occhiata.
«Non comando nessuno, sono solo ispettore.»
«Perché non siedi, ispettore, facciamo quattro chiacchiere. Il nostro precedente incontro è stato troppo breve.»
Gherardini sedette. «O anche troppo lungo, dipende dai punti di vista. Ma vedo che tu, nel frattempo, hai imparato molto bene l’italiano.»
L’elfo rise, gettando indietro la testa. «Oh, quello, un piccolo gioco, taffero tifertente, parlare con accento tetesco. No, conosco benissimo la vostra lingua. Si dà il caso che mia madre fosse italiana, e che mi parlasse sempre in italiano, quando ero piccolo, così ho imparato perfettamente. Come sai, la lingua è soprattutto quella materna. Ma mio padre era tedesco, e sono cresciuto in Germania, così sono bilingue, caro ispettore.»
«E perché con me hai finto?»
Joseph fece vorticare una mano per aria. «Così, un gioco, un divertimento, te l’ho detto.»
«Mi stavi cercando?» E, non avendo avuto risposta, «Be’, continua a divertirti» e fece per alzarsi.
«No, aspetta.» Si era fatto serio. «Hai notizie di quello trovato morto vicino al fosso, nel bosco, sotto a quel piccolo dirupo? Chi era?»
«Vedo che conosci bene il posto dove l’hanno trovato. Ma a te cosa frega di quel poveretto?»
«Non so, così, per curiosità.»
«Una curiosità fuori posto. Trovano un tizio morto e tu vorresti sapere chi è.»
L’elfo chinò la testa con fare sfuggente, bevve un sorso di vino e guardò Gherardini, poi sorrise. «Dicevo così per dire. Non te la prendere, Poiana… ho saputo che ti chiamano così. Come mai?»
«È una storia lunga e complicata» e Gherardini ricambiò lo sguardo, tenendolo fisso sul tedesco. «Tu sei un tipo strano. Fingi di non sapere bene l’italiano, così per gioco. Ma giochi con me o con gli altri elfi? Dici che non ti interessa, ma poi fai domande sul morto e sostieni che anche questo è così per dire. Cosa vuoi veramente da me, visto che ti sei preso pure la briga di scendere in paese?»
Il tedesco alzò le palme delle mani davanti a sé. «No, no, è che lassù non c’è molto da fare e le chiacchiere volano, siamo una piccola comunità che vuole vivere in pace, e questa cosa, questo morto misterioso, finirà per portarci dei fastidi. Poi è un po’ che l’hanno trovato, o meglio, l’ha trovato quello della capra, e nessuno ancora sa chi sia. Tu sei della forestale, no?» Gherardini non si prese la briga di rispondere. «Com’è allora che hanno affidato le indagini a te, che dovresti occuparti di altre cose? Che so, piante, animali del bosco… Non ci sono i carabinieri o la polizia? Gente più attrezzata per questo tipo di indagine. Ci sono anche loro a investigare, hanno scoperto qualcosa più di te?»
Gherardini si alzò. «Sai anche essere offensivo, se vuoi. Se desideri avere informazioni dalla polizia o dai carabinieri, be’, chiedile a loro e sfoga con loro la tua curiosità. Ti saluto.»
Gli era passata la voglia di cenare e uscì dal locale. Il suo umore nero era aumentato. Quel tipo, quel tedesco mezzo italiano, non gli tornava del tutto.
Benito lo apostrofò: «Una bella conversazione odorosa, eh Poiana?».
«Va’ all’inferno, Benito.»
«Non senti il famoso baccalà dell’Adele?» gli gridò dietro. Gherardini non gli badò. «Oh, Poiana! Guarda che stasera è speciale!»
«Mangialo tu.»
«Già fatto. Per questo dico che è speciale.»