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Non tutto è come sembra

Anche l’ispettore si sistemò meglio. «Ce l’hai un fucile tuo?»

La domanda sorprese Paolino. «No, Poiana, mai avuto un fucile mio.»

Gherardini si alzò e andò all’attaccapanni e spostò il gabbano di tela cerata.

Ci rimase male. Era certo di aver visto, nella precedente visita a Paolino, spuntare il calcio di un fucile da sotto quel gabbano.

Tornò a sedere. «Conosci gente con un fucile da caccia, da queste parti?»

«Oh, ce ne sarà, ma chi se lo ricorda.»

«E qualcuno che si ricarica oggi le cartucce, lo conosci?»

«Be’ sì, uno lo conosco.»

«E chi sarebbe?»

«Sarebbe Adùmas» rispose Paolino.

«Come fai a saperlo?»

«Be’, ho visto due cartucce vuote nella sua cartucciera, e se dopo aver sparato le conserva, vuol dire che le ricarica, no?»

«Quando gliele hai viste?»

Paolino cominciava a spazientirsi. «È stato mentre cercavo Cornetta. Ho incontrato Adùmas e abbiamo fatto quattro chiacchiere. Aveva la cartucciera in cintura…»

«Anche il fucile?»

«Poiana, che ci fa uno in giro con la cartucciera se non ha il fucile?»

L’ispettore Marco Gherardini pensò che non era il caso di continuare su quella strada. Avrebbe solo fatto spazientire Paolino. Ma una domanda doveva fargliela ancora.

«Ultima domanda. Quando hai trovato il corpo, ti sei avvicinato? Lo hai toccato o spostato?»

Paolino dei Campetti lo guardò preoccupato. «Ci mancherebbe anche che lo avessi toccato. L’ho guardato da lontano, ho visto com’era ridotto… Ma cosa sono tutte queste domande, Poiana? Te l’ho già detto: credevo di aver fatto il mio dovere e adesso… Tutte queste domande come se io fossi…»

«È la prassi, no? Quando c’è di mezzo un morto…»

«Sarà pure la prassi, ma io mi sto rompendo… Le fai solo a me.»

«Non è vero. Ho interrogato una quantità di persone. Ho finito. Dimmi solo dove posso trovare Giacomo. Era qui fuori e non c’è più.»

«Cosa vuoi che ne sappia io? È uno strano tipo. Sempre dappertutto e da nessuna parte. Da quando sono arrivati questi nuovi, li chiamano raminghi, spesso va su, a Collina di Casedisopra. Non so cosa stiano facendo. Lavorano, preparano per la festa, dicono, e lui dà una mano.»

Era arrivato dall’orto sudato e di cattivo umore. Le domande di Poiana lo avevano ancor più indispettito. Per lui una situazione anomala. Tanto che Marco Gherardini sentì il bisogno di dirgli:

«Mi dispiace, Paolino. Il mio dovere…».

«Lascia stare, Poiana. Ti conosco da bambino.»

L’ispettore si sentì in obbligo di bere di quel vino che non gli piaceva. Non si può andarsene senza vuotare il bicchiere che ti hanno offerto.

Mandò giù tutto d’un sorso, salutò con un gesto e uscì.

«Senti, Poiana.» Marco si voltò. Paolino era venuto sull’uscio. «Senti» ripeté, «è da tanto che volevo chiedertelo: questi ragazzi… gli elfi… Cosa vuol dire elfo?»

«È una storia lunga e complicata. Te ne parlerò un’altra volta.»

«Vuol dire mai. So come va a finire con te.»

«Stavolta è diverso. Prometto che te lo spiegherò. Quando questa storia sarà finita…»

«Aspetteremo un bel pezzo.»

Con Giacomo c’era ancora in sospeso la storia dei sandali. Lo andò a cercare a casa e nell’orto. Era proprio sparito.

Lo consolò l’idea che, per trovarlo, avrebbe dovuto salire a Collina. A piedi. Non gli dispiaceva. Una passeggiata nel silenzio dei boschi lo avrebbe rilassato. Stava vivendo un momentaccio e ne aveva abbastanza di tutto.

Passò una brutta notte. Dopo cena non andò neppure da Benito, com’era solito. Fece tardi seduto sui gradini della porta di casa, a fumare. Ricordò i due colpi di fucile uditi mentre cercava tracce del lupo. Si era detto certo che prima o poi sarebbe venuto a sapere chi li aveva sparati. Erano passati molti giorni, aveva incontrato gente e non era accaduto. Ne aveva parlato con Adùmas e neppure lui aveva saputo dargli notizie.

Eppure era uno che sapeva sempre tutto ciò che accadeva nei boschi. Possibile?

La risposta lo tormentava.

L’ultima novità: il giorno nel quale Ramingo era morto, Adùmas era da quelle parti con fucile e cartucciera.

E le due cartucce uscite dalle tasche dell’elfo morto probabilmente erano proprio del tipo di quelle sparate. E probabilmente ne avrebbe trovate di simili nella cartucciera di Adùmas.

Adùmas. Possibile?

Poi, perché?

Lo conosceva da sempre.

Rimandò altrove le domande.

Andò a letto tardi e tutto quello che gli riuscì di fare fu un sonno durato pochissimo. Controllò l’ora: le quattro. Non si addormentò più e quando si alzò ancora non aveva trovato una ragione plausibile alle sue preoccupazioni.

«Farinon!» gridò l’ispettore.

Il sovrintendente socchiuse la porta e mise dentro il viso. «Guai in vista?»

«No, i guai sono già arrivati. Vieni dentro» e aspettò che sedesse. «Salta sul fuoristrada e vammi a prelevare Adùmas. Ah, digli di portarmi un paio delle sue cartucce da caccia.»

Farinon lo guardò sorpreso. «Tu pensi…»

«Non lo so. So che è una storia lunga e complicata.»

Usava quella frase ogni volta che non aveva voglia di perdere tempo a spiegare. O quando riteneva che non valesse la pena dilungarsi. Con Farinon non funzionava mai e lo sapeva. Infatti:

«Se la metti così» disse, «ci vai tu e gli spieghi a cosa ti servono le cartucce».

Marco cercò di rimediare: «Va bene, va bene: ho paura che quel vecchio matto si sia messo in un brutto guaio. Mi serve Adùmas qui prima che le cose per lui si complichino. L’hai sentita la Frassinori, no?»

«La deve aver sentita anche Benito, dal suo bar. Pensi sul serio che Adùmas…?»

«Ho paura di sì. Adùmas o Paolino. Ci sono alcune cose da chiarire e poi…» non terminò.

Farinon, convinto il giusto, si avviò per eseguire l’ordine. Sentì l’ispettore gridare:

«E se quel vecchio matto fa il suo numero, digli che vado su io e lo prendo a calci nel culo».

Sulla scrivania aveva ancora il fascicolo lasciato dalla Frassinori che gli aveva scaricato sulle spalle quella brutta, bruttissima grana. Bestemmiò:

«Maledetto maresciallo Barnaba, che ci sei andato a fare al corso? Tanto, non diventerai mai un forestale. Resterai sempre un carabiniere».

Viveva solo alle Vinacce, Adùmas, poco fuori dal paese, in una casa che era stata di suo padre e del padre di suo padre, prima di lui. Non era nata come casa colonica: attorno aveva poco più di un mezzo ettaro e i vecchi l’avevano sempre tenuto a orto, con qualche albero da frutto. Il resto per gli animali da cortile.

Da giovane aveva trovato lavoro in un’officina in valle. Da fattorino era diventato tornitore meccanico e lo era stato fino alla morte della moglie, qualche anno prima, poi aveva lasciato l’officina accontentandosi di quel po’ di pensione maturata. Di fame non sarebbe morto: come tanti montanari, sapeva fare di tutto.

Ci stava bene alle Vinacce e aveva continuato con l’orto, le galline, i conigli e una capretta che gli teneva mangiata l’erba del terreno incolto. Fatica risparmiata per lui. Non aveva più motivo di tagliarsi la barba un giorno sì e uno no e se l’era lasciata crescere, grigia e folta.

Come previsto, Farinon lo trovò nell’orto. Adùmas era abitudinario. Il mattino si alzava presto, prima del sole, e andava nell’orto a innaffiare. Era fra quelli convinti che l’acqua del mattino facesse meglio alle piante di quella data la sera. A vedere com’era mantenuto l’orto, i risultati gli davano ragione.

Poi, c’era sempre da estirpare le piante infestanti.

«Oh, le togli e il giorno dopo sono di nuovo lì, più belle dei radicchi.»

Dopo l’orto, passava agli animali. Qualche gallina, conigli e un cane da caccia che non portava mai a caccia. Non gli serviva.

Adùmas: doveva quel nome curioso al padre, lui con un nome molto comune, Giuseppe, morto quando Adùmas era un bambino. L’aveva sorpreso, in pieno inverno e all’aperto, una bufera di neve mentre cercava di superare il passo per raggiungere casa.

Eppure quel passo lo aveva attraversato chissà quante volte, con vento, pioggia o neve. L’avevano trovato un paio di giorni dopo, finita la bufera. Era raggomitolato in posizione fetale, sepolto dalla neve.

L’Appennino non sarà come le Alpi, o le Rocky Mountains, ma ogni tanto, come tutte le montagne, richiede le sue vittime sacrificali, la vita di chi, in un momento d’orgoglio o d’incoscienza, si ritiene più forte di loro, e l’uomo, più forte dei monti, non lo è quasi mai.

Era stato minatore di galleria, in giro per l’Italia a scavare tunnel. Nella sacca della sua roba c’erano sempre un paio di camicie, un paio di maglie, calze e mutande. C’era anche una copia de I tre moschettieri, che si portava dietro e leggeva e rileggeva. Non era uomo di grandi letture, ma le storie di quegli spadaccini lo avevano sempre affascinato. Così, quando gli nacque il figlio, aveva pensato di chiamarlo come uno dei suoi eroi. Nella scelta lo aveva bloccato l’indecisione: d’Artagnan o Aramis? Athos o Porthos?

Aveva deciso per il nome dell’autore. Sulla copertina c’era scritto A, punto, Dumas. E Adùmas fu, senza far caso a quel puntolino che per lui non voleva dire niente.

Farinon, dunque, lo trovò nell’orto.

«Guarda, guarda: la forestale è venuta a darmi una mano. Accomodati, Farinon, accomodati.»

«Un’altra volta, Adùmas. Adesso lasci perdere l’orto e vieni con me che Poiana ha qualcosa da chiederti.»

«A quest’ora?»

«A quest’ora. Ah, gli servono anche un paio delle tue cartucce.»

«Questa è buona.» Sospese con l’orto. «Facciamo che finisco i fatti miei e poi mi presento in caserma, come da disposizioni dell’autorità.»

«Non finisci e vieni con me subito.»

«Metti che la cosa vada per le lunghe… Faccio morire gli animali?»

«Non moriranno per un digiuno. Andiamo, Adùmas, non farmi storie.»

Adùmas si piantò a gambe larghe e mani sui fianchi: «Vediamo come mi ci porti».

O usare la forza o prenderla persa. Farinon ci provò. «Facciamo così, tu mi dai un paio di cartucce e dico a Poiana che stai arrivando.»

«Questo è ragionare.» Si risciacquò le mani nel secchio, se le asciugò nella mimetica e si avviò verso casa.

Lo seguì Farinon e lo aspettò davanti alla porta.

«Vanno bene queste?» chiese tornando fuori e mostrando un pugno di cartucce.

«Se sono quelle che usi tu, direi di sì» e intascò due cartucce. «Se mi freghi… lo sai che non ti lascio più vivere, vero? Ti starò addosso per ogni passo che farai.»

«Vuoi che non lo sappia che con voi ci si rimette sempre?»

«Per esempio: da dove viene l’acqua che adoperi per l’orto?»

«Lo sai, dalla sorgente.»

«Lo so. E tu sai che è vietato il prelievo delle acque sorgive…»

«Lascia perdere. Ci vediamo in caserma nel pomeriggio.»

Farinon annuì e tornò al fuoristrada. Non era sicuro di aver fatto un affare, ma non se la sentiva di usare la forza della legge. Quando possibile, meglio trattare. Con gente come Adùmas, poi, conosciuta da anni, rispettata e che rispettava…

Insomma, che altro avrebbe potuto fare?