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Il suono del corno per Adùmas
Davanti all’ovile, Biondorasta si fermò e indicò il cancello. Marco Gherardini pensò che gli ultimi abitanti della casa dovevano essere stati i due, marito e moglie. Dopo di loro, più nessuna mucca da governare. Infatti il cancello era di legno impagliato.
S’usava così: nella buona stagione il cancello era spoglio in modo che l’ovile fosse arieggiato. In autunno il bovaro provvedeva a sigillare le aperture fra montante e montante con mazzi di paglia arrotolata per protegger gli animali dai rigori invernali.
«C’è nessuno?» gridò Gherardini. Attese e poi spinse il cancello.
Solitario si era sistemato nella prima posta della stalla.
“Sistemato” era un eufemismo. Aveva fatto un giaciglio con la paglia e aveva collocato le sue poche cose su alcune nicchie del muro: piatti e posate, un tegame, un fagotto di abiti dai quali spuntavano i tacchi di un paio di sandali, una radiolina, una pila con qualche libro, un sacco da spalla, un cellulare scarico…
In un angolo, un pacco di vecchi giornali, una borsa di plastica con dentro stracci, un barattolo di colla vinilica e alcuni vasetti di colore.
«A che serve ’sta roba?» chiese a Biondorasta.
«Costruisce delle cose con la cartapesta. È bravo» e gli indicò alcune maschere appese a un trave di legno nella posta successiva. «Le ultime che ha fatto. Le appende lì ad asciugare.»
Gherardini andò a guardarle. Aveva ragione Biondorasta: erano ben fatte. Riconobbe alcune caricature di politici e attori di un cinema del passato che Solitario doveva conoscere bene: Gary Cooper, John Wayne… credette di riconoscere Marilyn Monroe.
«Davvero bravo» e riprese a controllare.
Trovò una torcia elettrica che provò ad accendere. Morta.
«Con questa non vede molto. Tutto qui?»
Biondorasta si strinse nelle spalle:
«Dagli il tempo di organizzarsi. Come abbiamo fatto tutti».
«Lo hai visto, oggi?»
Biondorasta ci pensò. «No» disse, «l’ho visto ieri sera seduto qui fuori. Leggeva un libro. È restato lì anche quando non ci si vedeva più ed è andato a dormire tardi. Chiedi agli altri» e, vedendo il viso preoccupato dell’ispettore, «Qualcosa non va?»
«Temo di sì.»
Marco controllò anche in tutto l’ovile e uscì. Aspettò che uscisse anche Biondorasta e chiuse il cancello.
Armonia aveva finito e stava ammucchiando la roba lavata. «Trovato?»
Marco negò con il capo e tornò a sedere sul bordo per un’altra sigaretta. Offrì al giovane.
«Avete visto in giro Adùmas?»
«Adùmas?» chiese Armonia.
«Hai ragione: abitate troppo lontano per conoscere quelli di Casedisopra.»
Descrisse il personaggio e terminò con: «Dovrebbe essere passato di qua nella mattinata o nel primo pomeriggio. Ah, porta un fucile da caccia e la cartucciera».
I due ci pensarono. Armonia scosse il capo e Biondorasta disse:
«Non mi pare. Uno così l’ho visto giù, in paese, ma senza armi».
«L’ho visto io» disse qualcuno alle loro spalle.
«Salve, Bosco. Dove l’hai visto?»
«Ce l’hai anche per me?» chiese Bosco indicando la sigaretta di Biondorasta.
Marco offrì e gliel’accese.
Un tiro lungo, soddisfatto. Non fumava da un po’ di giorni. Poi disse: «Be’, l’ho visto uscire da casa dei Fhüller» e indicò l’ultima costruzione del borghetto.
«Quando?»
«Una mezz’ora dopo il corno.»
«Che significa?»
I tre si guardarono, sorrisero e Armonia chiese: «Non lo sai?». Marco allargò le braccia: non lo sapeva. «Vuol dire che il tuo Adùmas ha pranzato con i Fhüller. Sono rimasti i soli a suonare il corno. Loro ci tengono alle tradizioni. Sai come sono i nordici, no?» Gherardini ancora non capiva. Lei continuò: «Fin dai primi insediamenti, nelle varie borgate si usava suonare il corno quando nelle case era pronto il pranzo o la cena. Chiamava al tavolo comune quelli che erano negli orti o nei campi o nei boschi a lavorare. O anche chi si trovava di passaggio, perché da noi un piatto di minestra non si nega a nessuno.»
«Mi sembra una buona usanza.»
Il Biondorasta disse: «Una volta, parlo di dieci, quindici anni fa, lo suonavano tutti. Sono rimasti pochi a farlo. I Fhüller ancora lo usano…».
Marco lo interruppe: «Come fai a saperlo tu? Quindici anni fa andavi ancora alle elementari.»
«Non proprio, ma hai ragione, non ero qua. Me ne ha parlato Giacomo. Lo conosci?»
«Sì, se è quello che fa sandali per tutti» e Poiana indicò le calzature di Bosco.
«Lui, sì. Ha imparato in Germania, da un calzolaio piemontese. Giacomo è la nostra memoria. Dovrebbe tenere dei corsi sulla nascita e la storia degli elfi di Valle.»
Marco finì la sigaretta, si alzò e si rivolse a Bosco: «Accompagnami da questi che suonano il corno».
Bosco si avviò e Marco lo seguì.
Li accompagnarono anche Armonia e Biondorasta. La sorte di Solitario era un problema di tutti gli elfi di Ca’ del Bicchio.
La famiglia aveva occupato l’abitazione al centro del borgo, la porta era socchiusa e dentro c’era silenzio.
Marco bussò, l’uscio si socchiuse e uscì il profumo di frutta in bollore. Intravide due ragazzini seduti sul pianale del focolare. Leggevano. Sollevarono appena il capo per guardare l’ispettore che aveva chiesto: «Si può?».
Rispose la voce di una donna. «La porta è aperta.»
Bionda, capelli raccolti in una treccia che arrivava poco sopra la cintura e vestita con un abito di cotone a fiori, stava rimescolando in un tegame che bolliva sulla stufa.
«Sei il benvenuto» poi vide la divisa di Gherardini e i giovani che lo accompagnavano e si preoccupò. «È successo qualcosa a Barthold?»
«Niente» la rassicurò Armonia. «Il forestale deve farti qualche domanda.»
La donna sistemò il tegame in un angolo della stufa, che non bollisse troppo, e andò incontro ai quattro. «Mi chiamo Colomba.»
Intanto i due ragazzi avevano ripreso la lettura.
«Sto preparando vasetti di marmellata… Ho del caffè caldo…»
Ne versò in quattro bicchieri. «Io l’ho appena bevuto» si giustificò lei.
Marco immaginò che avesse solo quattro bicchieri.
Bosco cominciò: «Sta cercando l’uomo che al corno è venuto da voi…».
«Si chiama Adùmas ed è importante che io lo trovi.»
La donna spiegò in un buon italiano che un uomo anziano, non sapeva se si chiamasse Adùmas, aveva pranzato con loro, poi aveva chiesto di un giovane che somigliava a Solitario e Barthold gli aveva indicato l’ovile.
«Aveva fucile e cartucciera?»
Sì, e prima di uscire aveva lasciato una bottiglia di… «Non so cosa» e andò a prenderla.
Era ancora piena per metà e Marco l’annusò. «Grappa. La sua, non c’è da sbagliarsi.»
L’appena evocato Barthold si materializzò nel vano della porta, occupandone una buona parte. Entrò, guardò i presenti e parlò a Colomba che rispose e poi spiegò agli ospiti:
«Non parla ancora bene l’italiano. Gli ho detto di voi e vi dà il benvenuto.»
Lui, un pezzo d’uomo alto e forte, capelli castani lunghi e incolti, come la barba, sorrise a tutti, prese uno dei bicchieri che erano serviti per il caffè e versò una buona dose di grappa. Lo sollevò: «Prosit».
Prima di andare Marco indicò i due piccoli. «Come fate per la loro scuola? Siete lontani dal paese…»
«Faccio io» rispose Colomba. «Sono insegnante e insegno anche a un altro ragazzo che abita qui. Suo padre è dentista ma ha scelto di vivere con la natura.» Posò la mano sulla spalla del suo uomo. «Lo stesso di noi.» Tornò ai piccoli. «Lui è Sole, dieci anni. Lei, Delfina, otto. Imparano tre lingue: italiano, tedesco e svedese, la mia. Da grandi andranno per il mondo e se la caveranno bene.»
Gherardini lasciò il borgo con più problemi di quando vi era arrivato: intanto Adùmas si era portato via Solitario. Per farne cosa? Poi: doveva assolutamente trovarlo prima che qualche altro guaio complicasse una storia già complicata di suo. Troppo.
Ancora una volta era arrivato tardi.
Mentre lui faceva uno spuntino seduto su un masso accanto al fuoristrada, Adùmas era a tavola con la famiglia Fhüller.
Farinon sentì il fuoristrada fermarsi davanti alla caserma e si fece sulla porta. Cominciava a preoccuparsi. S’era fatto buio e di Poiana nessuna notizia per tutta la giornata. Aveva provato a contattarlo col cellulare, ma l’utente non è raggiungibile. La invitiamo a provare più tardi. Ovvero, l’inutile utilità dei cellulari in montagna.
Poiana non scendeva e andò lui.
Alla luce del faretto sul palo della recinzione, si trovò un Poiana stanco. Accadeva di rado. Disse:
«Niente?».
Marco Gherardini neppure annuì. La battuta di Farinon, più che una domanda, era stata una constatazione. Disse, invece:
«Non s’è visto, immagino» e al silenzio del sovrintendente, aggiunse: «Speravo di trovarlo qui con quel poveraccio di Solitario».
«Ti ha cercato l’appuntato, ma può aspettare domattina.»
Seduto al volante riepilogò per Farinon, velocemente, la giornata e concluse: «Vado a casa con l’auto».
Non se la sentiva di andare a piedi, anche se non erano più di due chilometri.
Non rientrò. Lasciato il sovrintendente, gli venne un dubbio che volle verificare subito. Gli costava un po’ di tempo in più.
La casa di Berto era buia, solo la tenue luce del lampioncino sulla porta. Tanto perché si sapesse che lui c’era.
Si fermò nell’aia. I fari puntati sulla facciata illuminavano anche le finestre del primo piano, dove c’erano le stanze.
Aprì la portiera e urlò: «Berto! Oh, Berto!».
Pochi secondi e Berto si affacciò.
«Che c’è Poiana? Che c’è a quest’ora di notte?»
«Sono le dieci…»
«Per me è notte. Allora?»
«S’è visto? Ne sai qualcosa?»
Il dialogo continuò da auto a finestra.
«Ne so che mi ha chiesto di aver pazienza ancora per un paio di giorni…» Si rese conto di non essere stato chiaro. «Aspetta che scendo.»
«Non importa. Sono stanco e voglio andare a casa. Vuol dire che l’hai visto?»
«Oggi pomeriggio, saranno state le cinque. Mi ha detto che devo aver pazienza per l’orto e le bestie ancora per due o tre giorni. Ha detto che deve convincere qualcuno, con le buone o con le cattive…»
«Dove?»
«Questo poi non lo so.»
«Buona, Berto, torna a dormire.»
«Sì, adesso addio che dormo.»
Inutile andare alle Vinacce, come aveva pensato di fare. Se Berto doveva occuparsi ancora dell’orto e degli animali, Adùmas non ci era tornato.
Poco, ma sicuro.