Capitolo XXXIV L'ultima telefonata
In un paese semideserto le nubi e l'umidità che nella mattinata lo avevano oppresso s'erano sollevate. I pochi che transitavano dinanzi a Gherardini, seduto sul muretto della caserma, lo salutavano con un cenno del capo e tiravano dritto. Poiana rispondeva con un altro cenno e continuava a fumare. Guardò le cime dei monti e scese con gli occhi fino alla costa bruciata.
Qualche tempo prima la costa era di un verde intenso, qua e là macchiato prima dai fiori di ciliegi selvatici, nati da un seme portato dagli uccelli, e più avanti dai fiori di acacia, dal profumo tanto intenso che arrivava fino al paese, se solo scendeva un alito di vento.
Si chiese chi potesse essere tanto stupido da non capire, da non apprezzare quel paesaggio e sentì una stretta allo stomaco. Era nato fra quei monti e voleva bene a tutto, anche alle slavine, anche ai fulmini che scuoiavano le cortecce delle querce secolari. Dopo qualche anno la ferita si cicatrizzava e restava un segno verticale lungo il tronco e la vita della quercia riprendeva come se mai il fulmine l'avesse scossa.
Ma quel bosco bruciato, quanto ci avrebbe messo a rigenerarsi? Soprattutto, si sarebbe rigenerato? Poiana ne dubitava: chi l'aveva incendiato aveva i suoi progetti e sarebbe stato sempre più difficile contrastarli. Già vedeva una schiera di inutili villette incastrate sul fianco del monte pesare sul paese, togliergli il respiro e cancellare un rispetto che durava da secoli.
Schiacciò la cicca sotto la suola e si alzò: «Dovranno sputare sangue. Oppure ammazzarmi» ma, tornando dentro, capì che era solo un modo per consolarsi. Cosa poteva opporre lui all'economia? Il suo rispetto, il suo amore per i luoghi che aveva conosciuto fin da bambino? Roberta.
In ufficio lo accolse il sovrintendente eccitato: «Poiana» gli disse prima ancora che sedesse alla scrivania, «in generale il tunisino non era uno che facesse o ricevesse molte telefonate. Qualche chiamata da e per la Tunisia, i suoi familiari. Qualche fornitore edile, Badilone, l'agenzia Pieri, un tecnico del Comune... ma c'è un numero che torna spesso e più degli altri, sia in partenza che in arrivo. Da' un'occhiata» e gli mise dinanzi i tabulati telefonici.
Nel tempo di una sigaretta e di qualche pensiero in libertà che aveva tenuto l'ispettore fuori dal suo ufficio, Farinon aveva fatto un buon lavoro evidenziando in giallo una quantità di telefonate arrivate al cellulare o da questo partite, e tutte provenienti o destinate allo stesso numero, il che...
«Il che significa» concluse Farinon «che i due avevano parecchio da dirsi. Poi, guarda qua, le ultime sette telefonate provengono da quello stesso cellulare.»
L'ispettore controllò e sorrise. «Il 29 giugno Haled riceve sette telefonate a distanza di poche ore l'una dall'altra e a nessuna ha dato risposta. Sette telefonate, poi gliel'ha data su» e l'ispettore ricontrollò i tabulati.
«La prima delle sette» rifletté «è arrivata al cellulare di Haled alle nove e diciassette del mattino. Lui e Cesarino stavano per partire verso Pastorale. Haled non risponde. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, lo stesso numero chiama altre sei volte a distanza di mezz'ora l'una dall'altra poi... poi gliel'ha data su. Chi ha telefonato ad Haled si chiama... si chiama...» Lesse, guardò Farinon e: «Ti dice qualcosa sto cognome? È la seconda volta che salta fuori».
Farinon ci pensò: «Non mi dice niente e sarebbe strano il contrario, dal momento che la signora Zarellu Maria Antonia risiede a Orgosolo. Da giovane ci ho passato tre anni da quelle parti. Un paradiso e un inferno. Ci facevano fare la gavetta nei posti più bestiali».
Il silenzio durò per un po' nell'ufficio della forestale. Poiana, rilassato contro lo schienale della sedia, rigirava fra le mani una sigaretta e ragionava mentalmente sulle novità uscite dal dossier del dottor Carletti. Farinon scorreva dall'inizio il materiale cercando eventuali elementi sfuggiti alla prima lettura.
Infine Gherardini arrivò a qualche conclusione e, senza preoccuparsi dell'invito di Farinon a non fumare, almeno in ufficio, accese, tirò due boccate e disse: «Alcune riflessioni: se sta misteriosa signora Zarellu da Orgosolo ha tentato sette volte di seguito di contattare il tunisino, vuol dire che aveva un gran bisogno di parlarci. Poi, alle sette di sera, dopo l'ultimo tentativo, non lo chiama più. Come mai? Adesso senti la nuova: su richiesta di Pieri, Ce-sarino e Haled vanno a Pastorale; lo stesso giorno Haled sparisce, Cesarino qualche giorno dopo, e li ritroviamo, prima uno e poi l'altro, morti di morte innaturale. Che ti suggerisce?»
«Una quantità di ipotesi, troppe per il mio carattere.»
«A me una sola: le due vedove ne sanno più di quanto mi hanno raccontato.» Spense la sigaretta e chiese: «Che ore sono?».
Un'occhiata all'orologio appeso al muro alle spalle di Poiana e il sovrintendente rispose: «Otto meno dieci».
«Pensi che la signora Zarellu si arrabbierà se la disturbiamo mentre cena?» e l'ispettore, controllando dal tabulato, compose il numero sul telefono fisso.
Non attese molto e lo fece sorridere la voce che rispose:
«Deve essere una cosa importante se l'ispettore mi telefona mentre sono a cena con mio marito. A che devo l'onore?».
«Proprio con lui vorrei parlare.»
«Te lo passo.»
«Oè, Poiana, che succede?» chiese Badilone.
«Novità di Cesarino?»
«Niente di niente, perché?»
«Ne ho io, ma te ne parlerò domani» e, per evitare le inevitabili domande di Badilone, chiuse la comunicazione. «Indovina chi ha risposto?» disse a Farinon.
«Margherita Cariello in Badaloni. Non è così che si chiama?»
«Dovrebbe» e l'ispettore Gherardini radunò i documenti, li rimise nel faldone, che chiuse a chiave nel cassetto, e si alzò. «Per oggi direi che può bastare: abbiamo un bel po' di cose su cui riflettere. Ci torniamo sopra domattina.»
Salutarono l'agente Radici, destinato al turno in caserma, e se ne andarono. Sostarono per un attimo per il consueto "Ci vediamo domani" che quella sera nessuno dei due aveva voglia di pronunciare.
Gherardini guardò il cielo, scuro per alcune nubi che la luna faceva quasi viola e disse: «L'estate se n'è andata».
«Poiana, forse non te lo ricordi, ma succede ogni anno. Ti accompagno per un po' di strada.»
«Hai qualcosa da dirmi?»
«No, non mi pare.»
«Allora perché?»
«Non ho voglia di tornare a casa» e presero le stradine deserte del paese.
Per due volte l'ispettore si girò a guardare indietro e alla terza Farinon chiese: «Aspetti gente?». Poiana negò con il capo e il sovrintendente si fermò. «Be', io prendo per la chiesa» e, salutato con un gesto il superiore, svoltò dietro l'abside.
Prima di riprendere verso casa, Poiana si accese una sigaretta. Il tempo di una boccata e si trovò a terra con un ginocchio premuto sulla schiena e una mano sulla nuca che gli schiacciava la faccia sui ciottoli. La sigaretta appena accesa gli era finita sotto la guancia. Dalla bocca deformata uscì un borbottio, anziché la bestemmia che Poiana avrebbe voluto urlare, mentre una voce gli sussurrava all'orecchio:
«Perché, perché?»
«Lasciami, non metterti nei guai» tentò di dire, ma di nuovo gli uscì soltanto un borbottio.
Di colpo la pressione che lo teneva a terra si allentò mentre Farinon gridava: «Lascialo! Sei diventato matto?».
«Chi viene a rompere le palle a quest'ora?» borbottò l'agente Radici. Aprì e si trovò dinanzi i due superiori usciti da pochi minuti. Tenevano su di peso un uomo. «Cos'è successo?» chiese.
«È una storia lunga e complicata» mormorò l'ispettore spingendo dentro l'aggressore e trascinandolo poi nel suo ufficio. Lo gettò su una sedia, gli si piantò dinanzi e gli gridò sul muso: «Mi spieghi cosa ti salta in mente, Semir? Me lo spieghi?». Adesso Semir piangeva e farfugliava nella sua lingua incomprensibile. «In italiano, Semir, in italiano, per dio!»
«Tu hai lasciato mio fratello che muore» riuscì a dire il tunisino.
Farinon lo prese per gli stracci e lo sollevò dalla sedia. «Se lo dici un'altra volta ti spacco la faccia, il mio marocchino!»
Glielo tolse dalle mani Gherardini: «Sentiamo cos'ha da dire».
Dell'aggressione restavano sulla divisa di Gherardini tracce di sporco e, sulla guancia sinistra, il lieve segno della bruciatura di sigaretta. Gli faceva male e ci passò sopra le dita bagnate di saliva. Lo faceva anche da bambino, quando si feriva e, come accadeva allora, gli sembrò di stare un po' meglio. «Allora, Semir?»
Il tunisino alzò finalmente lo sguardo sull'ispettore, vide la bruciatura sulla guancia e mormorò: «Scusa, Poiana, scusa molto. Io non volevo fare male, ma mio fratello è morto». «E te la prendi con Poiana?» gli gridò Farinon.
«Io avevo detto a lui che per mio fratello c'era pericolo...» «Me lo hai detto troppo tardi, Semir» lo interruppe Gherardini, «e tuo fratello era già morto.» Il tunisino stava per dire altro, ma un impulso di pianto gli bloccò la gola. «Portagli un bicchiere d'acqua» disse Gherardini all'agente Radici, che assisteva immobile e stupito a un colloquio del quale capiva ben poco.
«Sì, subito, ispettore.» Semir ingoiò due sorsi e mandò indietro il pianto. «Adesso Haled è morto e io volevo fare qualche... qualche...» Non gli veniva la parola. Lo aiutò Farinon: «Stronzata, da noi si dice stronzata, Semir. Poiana sta facendo di tutto per trovare chi te l'ha ammazzato e tu...» Lasciò perdere. «Semir» cominciò Gherardini, «tu non mi hai detto che c'era pericolo per tuo fratello.
Ricordo bene cosa mi hai detto, tu mi hai detto: "Ho paura che è successo del male". Esattamente così.» Il tunisino guardò in viso i tre che lo guardavano. «Non è stessa cosa?» «No, Semir, non è stessa cosa. Tu sapevi che Haled era già morto, Semir!» «No, no, io pensavo...» «Allora vedi di essere più preciso: perché pensavi che ci fosse pericolo per Haled?» «Perché lui vedeva una persona che non doveva vedere.» Gherardini e Farinon si guardarono. Radici continuava a non capire gran che. «Chi vedeva?» chiese l'ispettore con tutta la calma possibile. «Io non so chi, lui non ha mai detto nome. Io dicevo: "Tu non puoi, loro non sono come noi, tu non puoi" e lui mi rideva e diceva: "Vedrai, vedrai che tutto anderà bene". Non è andato bene, vedi? Lui è morto e io non so come dirò alla famiglia. Si può telefonare a madre e dire: "Tuo figlio è morto"?» Si bloccò, fissò l'ispettore e chiese, sottovoce: «Com'è morto?».
«Male, Semir, male. Gli hanno spaccato la nuca con il manico di un attrezzo, forse un piccone o un badile, lo stesso che a...» Non aggiunse "Cesarino", non sarebbe servito a calmare il dolore che aveva sconvolto quel poveraccio fino a fargli perdere, per un brutto momento, la ragione. «Piuttosto, Semir, pensa se è successo qualcosa in cantiere, se Haled ha discusso con qualcuno o se mancano attrezzi con il manico...» Lasciò perdere: Semir era altrove. Eppure mormorò: «Sì, penserò, io penserò e dirò.» «Va bene, adesso vai a casa e dormici su.» Farinon e Radici guardarono Poiana e fu il sovrintendente che chiese: «Lo lasci andare così? A momenti ti ammazza che se non arrivo io...». «Vuoi che lo metta dentro? È ridotto uno straccio.»
Lo guardarono allontanarsi dalla caserma, verso la casa, un rudere abbandonato che i due tunisini avevano arrangiato e dove, fino a poco tempo prima, Semir aveva abitato con Haled.
«Poveraccio, figurati se riuscirà a dormire.» Poi al sovrintendente: «Come mai sei tornato indietro?».
«Poiana, mi prendi per rincoglionito? Mentre me ne andavo ho sentito dei passi che si avvicinavano...»
«Ti ringrazio...» Il cellulare lo interruppe. «Sì» e ascoltò, poi: «Adesso? Sai che ore sono?» Altra pausa d'ascolto. «Appunto, mezzanotte meno un quarto. Ne parleremo domattina, in caserma...» Fu ancora interrotto e poi concluse: «Una giornata infame e la notte si sta presentando inquieta. Una storia lunga e complicata. Domattina presto, in caserma». Chiuse, guardò il sovrintendente e tentò una spiegazione: «Domattina arriveranno i suoi genitori e adesso vorrebbe il mio sostegno morale».
«T'ho chiesto spiegazioni?» tagliò corto Farinon avviandosi verso casa. Due passi, si fermò, si girò: «I tempi cambiano e cambiano i modi di dire: oggi lo chiamate sostegno morale, ai miei tempi lo chiamavamo in altro modo e non avevamo problemi d'orario: quel nostro sostegno morale lo elargivamo a mezzanotte meno un quarto, alle due e mezza, all'una e tre quarti» e si allontanò continuando la cantilena oraria fino a quando si perse nel silenzio degli stradelli.