«Brutto figlio di puttana!» gli gridò dietro Francesca.

Non fu facile rimettere in strada la Pluriel e, se uno solo degli improperi fosse arrivato a destinazione, il futuro dell'uomo in divisa sarebbe stato drammatico.

Fermò in uno slargo. Si fermava qui anche allora, quando saliva a piedi. Sedeva su un macigno, arrivato sul ciglio chissà come, riprendeva fiato e si godeva la Ca' Storta. Lo rifece. Niente più macigno. Sbriciolato dal ghiaccio degli inverni e portato via dall'acqua. Agli acquazzoni estivi, la strada diventava torrente. Oppure qualcuno aveva pensato di usarlo in altro modo, l'aveva caricato e se l'era portato davanti a casa, come sedile d'arenaria.

A guardarla di lontano, si capiva perché l'avevano chiamata Ca' Storta. La facciata pendeva paurosamente verso monte, come se la mano di un gigante avesse preso a sberle la casa. Il tetto era perfettamente al suo posto e a livello.

«Nonno, prima o poi crollerà» aveva detto un giorno Francesca. «Dopo la chiameranno la Ca' Crollata, no?»

«Tranquilla, Francesca, è sempre stata così» le aveva spiegato il vecchio. «È piantata sulla roccia da secoli e non ha mai tirato una crepa. Neppure con il terremoto del Ventisei» e doveva essere una garanzia.

Chissà poi quale Ventisei. Novecento? Ottocento? O addirittura prima? Non glielo aveva mai chiesto e adesso che la guardava di lontano e se la coccolava, le dispiacque non averlo fatto. Avrebbe voluto conoscerla meglio, saperne di più: chi ebbe l'idea di piantarla in quel luogo, perché obliqua, chi l'abitò, chi ci nacque, chi ci morì...

Ogni vecchia casa, costruita con fantasia e pochi soldi, nasconde segreti. Le case moderne, cemento e vetro, nascondono il nulla. Vuote di storia e fantasia. Be', a vederla di qua, è messa meglio di come pensavo.

Anche a vederla da vicino era messa meglio di come pensava. Anche se buona parte dell'aia era ancora invasa dai rovi, dalla mulattiera alla porta d'ingresso le erbacce erano state tagliate di recente e lo sfalcio ammucchiato ai bordi, nel posto dove nonno Musolesi sistemava il fieno che non gli era possibile mettere al coperto. Fèggna chiamava lui il mucchio di fieno che a Francesca sembrava una collina d'erba, dal centro della quale spuntava, dritto contro il cielo, uno stollo, ovvero un pertica, quasi un albero senza rami. Tutto perfetto, non una sbavatura, come disegnato.

«Sei bravo, nonno, a costruire le colline di fieno.»

«Per forza, lo faccio da una vita e ho imparato.» Francesca aveva otto anni.

Francesca guardò l'aia, guardò la Ca' e mormorò: «Non è possibile!».

Anche questa aveva l'aria di essere abitata. Intanto, le erbacce che coprivano gran parte dell'aia erano state falciate tutt'attorno alla casa e, se pure la porta era chiusa, gli scuretti alle finestre erano socchiusi, sia al piano terra che al primo, come se chi ci abitava si preoccupasse di lasciar fuori il caldo di un sole che picchiava forte sulla facciata.