Capitolo VIII Adùmas non ci sta
Era un tipo cocciuto, uno che se gli entrava una cosa in testa non gliela tiravi via neanche a colpi di mazza, diceva lui di se stesso. E aggiungeva: «Me lo metterete nel culo perché c'è il buco, ma non in testa».
Non che lo preoccupassero più di tanto le prese in giro di quelli della trattoria. "Di quelli e delle loro battute me ne faccio un breve, cioè meno che niente" pensava, ma lui il piede in bocca al cinghiale l'aveva visto, l'aveva visto sì, altro che balle! E non era stata una cosa da archiviare nel cassetto dei ricordi.
«O eri ubriaco o chissà cosa hai creduto di vedere» lo sfottevano.
No, no, il piede c'era, eccome se c'era!
Così era tornato nel bosco, per riguardare il posto dell'imboscata alla bestia "e senza quel rompiballe del forestale attorno ai piedi". La salita a piedi (aveva lasciato l'utilitaria in basso, nel solito posto) era stata faticosa e il sudore cominciava a scendergli a gocce dalla fronte sul collo e gli bagnava la camicia sotto le ascelle e sulla schiena.
Fece una sosta seduto su un ciocco di castagno, tirò fuori un fazzolettone e si asciugò come poteva. Si accese una sigaretta, tossì maledicendo il vizio del fumo e intanto andava rimuginando cose che si era ripetuto ormai un'infinità di volte e, se in pubblico Adùmas non era uno di molte parole, da solo si parlava spesso addosso.
«Dunque, cosa mi aveva chiesto, Poiana? "Indossavi quegli anfibi?" Che bisogno c'era di chiederlo? Sempre, quando vado nel bosco, lo sa benissimo. Poi non ha più detto niente, solo di dimenticare la faccenda.» Imitò fra sé in falsetto la voce dell'ispettore. «"Di' che non ti ricordi nessun cinghiale e nessun piede." Sì, così mi prendono anche per rimbambito. Coglione! "Indossi sempre quegli anfibi?" Vaglio questi boschi da quando tu eri alto così, cosa credi? E li conosco meglio delle mie tasche, bischero, ho visto anch'io che c'erano delle impronte di scarponi, giù, all'inso-glio, e non erano le mie. Scarponi di uno abituato ad andare per boschi, quelli. E io sono sicuro che quando sono venuto alla posta, quel maledetto giorno, all''insoglio non c'era nessuna impronta. Dopo che me ne sono andato c'è stato qualcun altro a raspare, a cercare. Ma chi, e perché? E che c'entra, o c'entrano, col cinghiale con un piede in bocca?» Si alzò, gettò la cicca spegnendola sotto al piede e si avviò alla pozza. Si accorse subito che quella notte c'erano già passati i cinghiali e non vide, nel fango voltato e rivoltato, nessuna orma di scarpa.
«C'era e non c'è più.» Scosse il capo e si allontanò dopo un'altra occhiata attorno. «Andiamo pure, Adùmas, che ci guardiamo in giro. È inutile star qui ancora, non c'è più niente da spartire.»
Prese uno stretto sentiero che, dopo un quarto d'ora, si immise in una mulattiera che era però da tempo abbandonata; crescevano, ai bordi, ciuffi gialli di ginestra dei carbonai e, in mezzo alla massicciata, spuntavano cespugli di rovi e novelle pianticine di càrpine, ornello e robinia che ostacolavano il passaggio. I muretti laterali di sostegno erano qua e là crollati e si scorgevano le piste dei cinghiali come ferite nel bosco che franava verso i castagneti malati a valle. «Sembrano passati cent'anni da quando la gente di qui teneva i boschi come giardini di casa. Oggi il mondo va così» mugugnò con un certo rimpianto.
Arrivò ansando al culmine della salita e, dopo una piccola erta punteggiata da castagni secolari, tronchi che dieci uomini avrebbero abbracciato a fatica, apparve il borgo: Pastorale. Un gruppo di una ventina di case, completamente abbandonato. O quasi, perché testardamente e al di fuori delle moderne regole del vivere, in una delle case si ostinavano ad abitare madre e figlia, vedove entrambe, senza acqua corrente, senza luce elettrica. Il sindaco del capoluogo del Comune montanaro, ben lontano dal bor-ghetto, un giorno era andato a trovarle. All'epoca era sindaco il Pieri, attuale titolare dell'agenzia Sull'Appennino. Le andò a trovare e disse loro:
«Capisco d'estate, ma se d'inverno, con la neve, il ghiaccio, il freddo e tutto, voi due donne sole vorreste venire giù in paese, una casa vi si trova, senza problemi, pensateci. Poi, magari, ci prendete gusto e vi sistemate con noi, in paese, anche d'estate.»
Le due vedove si ritirarono, confabularono, ci pensarono e dissero al sindaco: «Grazie, ma restiamo qui. Sa, siamo abituate alle nostre comodità».
Comodità che Adùmas notò subito, entrando in Pastorale, scorgendo qua e là i mucchietti di polvere di carburo esausto, che erano serviti ad alimentare le lampade ad acetilene, eredità di qualche parente minatore o nella Bel-gique o nell'America del Nord, e unica possibilità di luce.
Conosceva le due donne, erano in qualche modo, in qualche modo inteso alla maniera montanara, sue lontane parenti; sapeva che, un poco inselvatichite dalla solitudine, erano sospettose e timorose nei confronti di chi, per qualunque e forse inutile motivo, fosse passato da lì.
Un paio di galline gli razzolarono fra i piedi chiocciando. Scorse, dietro ai vetri di una finestra, il rapido alzarsi e abbassarsi di una tendina.
La maggior parte delle case attorno era crollata e non vi era segno di vita; fra le rovine crescevano ortiche e altre piante infestanti, ma quella casa era abbastanza ben tenuta e, di fianco, aveva un piccolo orto. Sedette su un sasso dall'altra parte della strada, di fronte alla porta di casa delle due vedove: sapeva che se avesse bussato, non avrebbe avuto risposta. Sedette e si accese una sigaretta.
«Beatrice!» urlò. «Genoveffa, venite fuori, sono Adùmas!» Non successe niente. Diede un calcetto a una gallina che gli becchettava fra i piedi e prese tempo. Finì la sigaretta, la spense, sospirò e tornò a gridare: «Donne, ooo, donne, non fatemi perdere tempo, sono Adùmas e ho bisogno di parlarvi».
Si schiuse la porta sul cui architrave si vedeva ancora uno stemma scolpito nell'arenaria, consumato dal tempo, segno forse di una remota nobiltà d'origine longobarda; fra le ante socchiuse apparve il viso di una donna ancora giovane, nonostante il volto recasse i segni di una vita non facile. La donna sorrise. «Ah, sei tu, Adùmas. Buongiorno, com'è?» «Buongiorno a te, Genoveffa. Finché ci si vede va bene. Dov'è tua madre?»
Genoveffa uscì e alle sue spalle s'intravide un'altra donna più anziana. «Eccomi, eccomi, cos'è tutta sta fretta? E in quanti siete, stamani, che ne sono già passati altri due!» «Sono già passati altri due? E chi erano, Beatrice? Cosa facevano? Dove andavano?»
«Quante di quelle domande tutte in una volta! Cosa vuoi che ne sappiamo noi di chi erano e cosa facevano e dove andavano? Erano due e hanno preso il sentiero che porta all'Alpe» e per lei la storia dei due sarebbe finita lì.
«All'Alpe? E che ci si va fare su all'Alpe che non c'è né uomo né animale, ma solo della sterpaglia neppure buona per le capre?»
«Prima, però» completò l'informazione Genoveffa, «hanno fatto delle fotografie a tutte le case di qui. Cos'avranno mai da fotografare delle case?»
Adùmas si guardò attorno: di case degne del nome, a Pastorale ce n'eran rimaste poche. Macerie sì, tante, e qualche tetto ancora in bilico. Disse: «Saranno stati di quei matti che si divertono a faticare sui sentieri. Ma gente diversa, magari uno che frugava, cercava, come per andare a funghi, l'avete visto?».
Le due vedove si guardarono, scuotendo entrambe la testa, all'unisono. Poi: «No, noi s'è visto solo quei due» disse Genoveffa, la più giovane.
«Mi meraviglio di te, Adùmas» aggiunse Beatrice. «Da quand'in qua si va a funghi per le strade del paese?»
«Non dico qui, ma dietro casa voi ci avete un bel bosco dove i funghi ci fanno.»
«Ci facevano, ci facevano. Adesso neanche l'ombra» lo interruppe Beatrice. Adùmas sapeva che non era così: ce ne facevano di funghi, e come! Ma la vecchia non gradiva gente fra i piedi e i funghi, se c'erano, li andava a raccogliere lei. Infatti si spazientì: «Poi funghi adesso non ne fa più, tu dovresti saperlo, Adùmas».
«Quando fanno» aggiunse Genoveffa quasi per mitigare la rudezza della madre, «noi si va un po' in giro, ma dopo la prima buttata» e si soffiò sulle dita e allargò le braccia a mano aperta come a dire: "Spariti, svaniti, 'chiappali i funghi, se sei buono".
«Siete sicure che, oltre a quei due, non s'è visto altro?»
«Che altro e altro, cosa?» rispose spazientita Beatrice. Poi fece un cenno che poteva sembrare un saluto e tornò in casa. «Genoveffa, sbrigati che c'è da finire la marmellata!» gridò da dentro.
La figlia era di una pasta più tenera e le visite, anche se improvvise come quella di Adùmas, le gradiva: almeno le davano modo di far due chiacchiere con persone che non fossero la madre.
«Ma cosa cerchi di preciso, Adùmas? Chi è che si doveva vedere da ste parti?»
«Niente, niente Genoveffa, una cosa da poco, un giorno poi ti spiego» e si allontanò agitando la mano, inseguito da un tardivo invito.
«Possiamo offrirti qualcosa, un bicchiere di vino, un caffè?»
«Un'altra volta, ora devo proprio andare.» Salutò ancora con la mano, ormai di spalle, mentre Genoveffa gli gridava dietro: «Torna a trovarci!».
Adùmas annuì e Genoveffa raggiunse la madre che riprese a brontolare.
Scendendo per la mulattiera anche Adùmas borbottava: «Non s'è visto nessuno. Devo cercare più giù. Cercare cosa, poi? Il piede? Chissà che fine ha fatto. Magari se l'è mangiato il cinghiale» e cercando delle risposte che non sapeva darsi arrivò di nuovo sul sentiero e si guardò attorno.
«Ma cosa cerco, che non so neanche cosa? Qua, altro che ago nel pagliaio. Ma se c'era un piede, e c'era, a qualcosa doveva pur essere attaccato. Ci vuole un colpo di fortuna, come vincere alla lotteria.»
Prese verso il fosso e verso la pista del cinghiale, guardando attorno, sotto i cespugli, con un bastoncello che s'era procurato perché, come sapeva bene, "mai frugare con le mani". Anche se i cinghiali le avevano in buona parte sterminate, sai mai?, andare a incocciare una vipera...
Sentì un rumore, più in basso a destra e si fermò. Fra la vegetazione qualcosa si muoveva con una certa precauzione. Ascoltò per capire cosa. "Non è un animale a quattro zampe. Questo, di zampe, ne ha solo due" e si nascose dietro un castagno. Il rumore si avvicinò e intravide, fra le ramaglie e i cespugli, un poco più in basso, un uomo camminare chino, come se stesse cercando qualcosa. Come aveva fatto lui fino a poco prima. «Quello, quello mi par di conoscerlo» e, com'era accaduto per la posta al cinghiale, il ramo sul quale aveva posato il piede si spezzò. Nel silenzio del bosco, il rumore suonò secco e chiaro e Adùmas, anche stavolta, bestemmiò fra i denti.
L'uomo chino dietro le ramaglie aveva inteso il rumore del ramo spezzato: si bloccò per un istante e poi si buttò giù, nel grotto che gli stava a destra.
Adùmas uscì da dietro il castagno e si gettò nell'intrico, seguendo il leggero rumore che la corsa dell'altro produceva sul terreno del sottobosco. Per un po' lo sentì e poi di colpo cessò.
«Non sei lontano» borbottò. «Adesso vengo e ti stano», ma per quanto cercasse e frugasse non lo stanò, come aveva promesso. Conosceva bene la zona e sapeva che non c'erano anfratti
o buche o grotte nelle quali sparire.
«Dove sei finito?» gridò. «Tranquillo, so chi sei e non mi scappi/Prima o poi t'agguanto!», ma anche l'ultima minaccia risuonò vana nel silenzio. S'era chetato ogni rumore.
Bestemmiando per la giornata nata e proseguita storta, Adùmas arrivò di nuovo all'insoglio, che trovò come l'aveva lasciato. Andò verso la tana cercando con più attenzione e dopo un quarto d'ora arrivò nel punto in cui, lo sapeva, c'era la rimessa.
«Se era qui, l'ha già abbandonata. I cinghiali sono animali sospettosi, ci mettono poco a sentire puzza d'uomo nei loro paraggi.»
Nell'intrico della vegetazione non vide nulla ma, chinandosi, gli sembrò di annusare odore di selvatico. Si mise carponi e strisciò nel piccolo varco fra un masso e la vegetazione.
«Accidenti agli spini, i cinghiali se ne sbattono bene di bucarsi la cotenna che hanno, ma io, qui, mi riduco come un ecce homo» e, rimanendo a quattro zampe come un animale, si guardò attorno. Niente. Bestemmiò, rinculò e si tirò fuori dalla vegetazione. Con poche speranze riprese a cercare e fu passando accanto al secolare, enorme castagno cavo che vide qualcosa. Non erano foglie, non sasso e non terra. Prese fuori il coltello, lo aprì e si chinò a pochi passi dalla base del castagno. Con la lama mosse le foglie e un po' di terra attorno all'oggetto e finalmente un ghigno gli distese il volto. «Ci sei, dunque!»
Tagliò due rametti, li appuntì e li piantò in terra, attorno alla cosa che ormai si distingueva, la raccolse e si rialzò. Guardò soddisfatto il suo trofeo e: «Il piede no, non l'ho trovato, ma qualcosa ho trovato, Maremma cane! Qualcosa che vale un piede».