Capitolo XXXII L'uomo senza un piede
Adùmas era nell'orto e, chinato, stava togliendo delle erbacce. Sentì una macchina arrivare e si alzò, per vedere chi era venuto fino a casa sua. Mario spinse il cancelletto ed entrò nell'orto. Sfottè:
«Ooo, Adùmas, siamo a fine agosto e tu stai ancora a togliere le erbacce? Speri di ricavarci ancora dei pomodori?»
«Se è per questo, le tolgo anche a novembre. Non le sopporto, nel mio orto non le sopporto. E poi, se lo vuoi sapere, ci ricavo ancora delle carote, insalata, radicchio...»
Mario tagliò corto: «Ho della roba da farti vedere» disse.
«Che roba?»
«Foto che ho scattato il giorno dell'incendio. Mi sembrano interessanti» e porse una busta che Adùmas non prese.
«Interessanti come?» chiese quello. Si pulì le mani sui pantaloni e si avviò verso casa: «Andiamo dentro che ti offro un bicchiere».
Dentro per prima cosa sciacquò due bicchieri che erano sul lavandino, senza asciugarli li posò sul tavolo, li riempì di un rosso chiaro e trasparente e borbottò, quasi per sé: «Leggero, buono per il mattino» e poi a Mario che se ne stava in piedi e con la busta delle foto in mano: «Siedi e posa lì» e intanto sedette lui.
Mario sedette, posò la busta sul tavolo, la spinse verso
Adùmas. «Guardale subito» sollecitò e sorseggiò guardando l'amico che aveva cominciato a sfogliare le foto. «Il giorno dell'incendio facevo delle foto ai boschi e in un paio di queste si intravede qualcosa di chiaro fra le foglie e le ramaglie. Guardo bene le foto e sai che vedo?» Adùmas studiava le foto e scuoteva il capo. «Come no?» disse Mario. «Guarda con questa» e gli mise sotto il naso una lente. «Ecco, lì. Io ci vedo un furgoncino che sale per il monte, e siamo a poco prima che scoppiasse l'incendio.» Tornò al bicchiere, si rilassò contro lo schienale e chiese: «Dopo, quando abbiamo fatto il sopralluogo, abbiamo trovato un furgoncino bruciato? No, nessuna traccia. Cosa ne dici?».
Adùmas stava esaminando le foto, una dopo l'altra, con cura. «Non è facile capirci qualcosa: che zona riprendono?» Rimise le foto a posto e spinse la busta verso il proprietario. «Perché le fai vedere proprio a me?»
«Perché tu conosci quei boschi meglio di chiunque altro. Se riesci a capire con precisione che il furgoncino sale verso la zona dove è partito l'incendio, abbiamo la prova che è stato doloso, no?»
Adùmas riprese le foto e le riguardò. «Da qui non saprei, bisognerebbe andare sul posto.»
«Andiamoci, che problema c'è?»
«C'è che ho cominciato appena adesso a lavorare nell'orto!»
«Dai, Adùmas, che è più importante del tuo orto!» lo sollecitò Mario battendogli una mano sulla spalla. «Ho la macchina qui fuori.»
Adùmas sospirò, vuotò il bicchiere e si avviò. Mario raccolse le foto e lo seguì.
In auto, Adùmas riprese a borbottare: «Come se fosse facile capire in che punto era il furgoncino».
«Andiamo al mio punto di osservazione, grosso modo ti indico la direzione, vedrai che sai riconoscerlo, il posto.»
«Riconoscerlo, riconoscerlo... il bosco è il bosco, e da quelle parti è anche fitto.» Poi si corresse: «Era, era fitto. Adesso...» e fece un gesto sconsolato.
«Almeno proviamoci.»
«Proviamoci pure.»
Mario fermò l'auto ai margini del bosco e prese il sentiero che portava alla cima di monte della Vecchia. Ci arrivarono dopo una ventina di minuti e ripresero fiato ai piedi della torretta. Poi: «Dai che saliamo» sollecitò Adùmas.
«T'è venuta fretta tutto d'un colpo?» disse Mario. E salì la scaletta.
Dall'alto della torretta la visione era suggestiva e arrivava lontano, sforava i tetti di Casedisopra, si distendeva nel verde dei boschi e scendeva verso la valle. Turbava, di colpo, la ferita dell'incendio che aveva trasformato il verde in un cimitero di carbone, di scheletri d'albero, di terra secca e di grigio cenere.
«Un bel disastro» borbottò Adùmas. Rinunciò a piangerci sopra e, riprese le foto, cominciò a cercare con lo sguardo. «È una parola.»
«Allora, guarda, io le foto dove c'è il furgoncino devo averle scattate in quella direzione.»
Adùmas controllò e poi: «L'unica strada che un furgone avrebbe potuto prendere è quella, vedi?». Indicò una striscia appena più chiara, nel nero dell'incendio. «Faceva anche da tagliafuoco. Hai un cannocchiale?»
«Vuoi che venga in montagna senza gli strumenti?» e dallo zainetto tolse il binocolo e glielo porse.
«Da qui, vediamo, la strada tagliafuoco dovrebbe essere in quella direzione. Là c'è, vedi?, quella piccola abetaia risparmiata dalle fiamme, al margine, però la strada non si vede, a meno che... fammi vedere le foto.» Le guardò e tornò al bosco. «L'unico punto in cui puoi aver fotografato il camioncino è, come si vede, dove il bosco si apriva in una radura, e dovrebbe essere là» e indicò col dito, «proprio là, guarda anche tu!»
Mario riprese il binocolo. «Hai fatto centro, Adùmas, e il furgoncino stava andando proprio verso il posto del primo focolaio.»
Appoggiati al parapetto della torretta, i due si guardarono.
«Adesso che si fa?» chiese Mario.
«Che si fa, che si fa! Si fa che consegniamo le foto a Poiana.»
«Non è che sto tuo Poiana poi insabbia tutto per coprire degli interessi?»
«Tu non lo conosci. Lui è come il rapace da cui prende il soprannome. Se gli toccano il bosco diventa una belva e sta dietro al colpevole finché non lo ha beccato.»
Le foto sparse sulla scrivania la occupavano tutta. L'ispettore le studiò a lungo e in silenzio e finalmente le raccolse con cura, le rimise nella busta, che consegnò al sovrintendente Fa-rinon dicendo: «Al dottor Carletti della scientifica, sue proprie mani». Poi, sorridendo: «Farinon, direi che ci siamo». Si corresse: «Ci siamo quasi». Ai due, Adùmas e Mario che l'avevano guardato in silenzio, disse: «A voi due devo molto, grazie». Adùmas, per nulla soddisfatto, chiese: «Tutto qui? Un furgone che sale e sparisce, un incendio doloso, un cadavere bruciacchiato... e non hai altro da dire che grazie?».
«Adùmas, tu non hai pazienza. Adesso la scientifica tirerà fuori tutto quello che si può e, se siamo fortunati, anche il tipo di furgone e magari la targa...»
«Sì, e anche il colore delle mutande del guidatore!» «Non solo non hai pazienza, non hai neppure fiducia.» «Io la fiducia ce l'ho nei miei occhi e in quello che mi mostrano. E quanto ci vuole per vedere sto miracolo?» «Be', ci vorrà tempo, chissà, un paio di settimane.» «Un paio di settimane!» e, preso sottobraccio Mario, Adùmas lasciò l'ufficio mugugnando chissà quali improperi contro chissà chi.
«Adùmas» gli gridò dietro Gherardini, «da Benito c'è una cena pagata per tutti e due!»
«Vattela a mangiare tu, la tua cena!» E quella sera, proprio lui, Adùmas, da Benito ordinava per due, per lui e per Mario, borbottando ancora contro la burocrazia e i burocrati.
«Due settimane, dice. Sai che vuol dire? Vuol dire che quel farabutto delinquente se la ride alle nostre spalle.»
«Ma se proprio tu mi hai detto che Poiana diventa una belva e sta dietro al colpevole finché non lo ha beccato.»
«È così, ci puoi scommettere. Solo che...» e sospese.
«Solo, che cosa?»
«... che io c'ho fretta di guardare in faccia quel delinquente.» Versò nei due bicchieri e borbottò ancora: «Ma domattina presto, te lo faccio vedere io».
Per innaffiare l'orto si alzò presto, ma guardò il cielo e lasciò perdere. «Prima di sera ci pensa lui a innaffiarlo» mormorò. Da ponente, dal così detto Buco della Giacoma, salivano rade nuvole scure che sembrava avessero tutta l'intenzione di infittire. Per precauzione si portò dietro l'impermeabile dei giorni peggiori; aveva il cappuccio e, indossato, arrivava a coprirgli i piedi.
Non era più tornato lassù dal giorno dell'incendio e gli fece male calpestare cenere e pezzi di carbone. Anche i castagni carbonizzati, che ancora tendevano in cielo rami rinsecchiti e bruciacchiati, erano come fantasmi dolorosi; prima o poi il vento li avrebbe sradicati e atterrati, a concimare terra per le prossime stagioni.
Vide qua e là stenti ciuffi d'erba affiorare fra i resti lasciati dal fuoco. Sorrise e si tranquillizzò un poco: la natura stava lavorando per riprendersi il suo bosco, senza clamori. Forse già dalla primavera seguente avrebbe visto spuntare dalle ceppaie dei castagni, scure di fuoco, qualche talea e poi, dopo un paio d'anni, un verde chiaro avrebbe cominciato a coprire le bruciature del monte.
«Se quei figli di puttana non riusciranno prima a sostituire i castagni con delle case» si disse a voce alta. E riprese la ricerca. Arrivato accanto al tronco bruciato di un grande castagno cavo, si fermò. «Se mi ricordo bene le foto di Mario, il primo focolaio è stato qui.»
Infatti, ecco là la striscia tagliafuoco ed ecco, poco più lontano, la carrareccia per la quale era salito il furgone. Adùmas si guardò attorno e mosse, con gli anfibi, la cenere. «Figurati se con il casino che abbiamo fatto qui attorno e con l'acqua che ci hanno buttato sopra si trovano ancora i segni delle gomme.»
Infatti non li trovò. La punta dell'anfibio colpì un oggetto duro. Lo raccolse: una ghiera di metallo che il fuoco aveva brunito, del diametro di circa sei centimetri e dello spessore di circa tre, quattro millimetri. La mise nella tasca dell'impermeabile e segnò con un masso il punto dove l'aveva trovata.
Lo sorprese il rumore di un ramo caduto poco distante. Si voltò e lo vide. Era appena spuntato dal cavo di un enorme castagno bruciato per metà, ma ancora solido e dritto nonostante il fuoco e la voragine che nei secoli aveva divorato il suo tronco e che scendeva sotto, verso le radici. C'era da scommettere che a primavera alcuni rametti avrebbero forato lo strato di terra bruciata per uscire a respirare.
Piantò il dito nel pulsante del campanello e lo tenne premuto fino a quando l'allievo agente Ferlin non spalancò il portone e lo aggredì: «Dove credi di essere? A te l'educazione...».
«Cavati dai piedi, mangiapolenta!» gli gridò sul muso Adùmas e, con una spinta, lo mandò a sbattere contro la parete, entrò e piombò dritto nell'ufficio di Poiana gridando: «L'ho rivisto! L'ho rivisto e ho trovato l'uomo senza un piede!».