Capitolo X Qualcosa che vale un piede

«Voglio parlare con Poiana» disse Adùmas appena il Ferlin gli aprì la porta. «Intanto più rispetto» lo riprese l'allievo agente. «È ispettore e si chiama Gherardini Marco.» «Quante seghe» mugugnò Adùmas fra sé. Alzò la voce. «Ooo, l'ho visto nascere e l'ho chiamato Poiana da quando andava con i braghini corti. C'è o non c'è?» «Te lo dirò quando porterai rispetto alla nostra divisa.» Adùmas perse del tutto la pazienza. Aveva fatto una camminata della madonna per portare a Poiana una cosa importante e sto pistolino arrivato dal paese della polenta stava a fare la punta agli stuzzicadenti. «Senti un po', tu, bella gioia! Se non mi dici subito dove trovo Poiana, io ti...»

«Cos'è sto casino, Adùmas?» urlò il sovrintendente Farinon uscendo dall'ufficio. «Che succede, Ferlin?» Ferlin Valentino, ventidue anni, era figlio di sua sorella. Aveva fatto in modo di prenderlo con sé subito dopo il corso allievi alla scuola madre di Città Ducale. Glielo aveva chiesto sua sorella. Sia lei che Farinon sapevano che era un ragazzo da tenere d'occhio.

«Devi dargli una mano» lo aveva pregato lei. «Tuo figlio ha troppi grilli per la testa.» «È tuo nipote» aveva insistito lei. «Poi, a vent'anni, chi non ha grilli per la testa?» «Io. Mai avuto grilli per la testa, io.» «Erano altri tempi, Clemente. Vedrai che cambierà, che diventerà un bravo figliolo» e Farinon

se l'era preso in carico e gli stava addosso. Il sovrintendente guardò bene in faccia i due, ancora sulla porta della stazione. «Adesso

dentro!» ordinò. «Se avete da disputare, fatelo senza che lo sappia tutto il paese.» Si fece da parte, li lasciò entrare, chiuse la porta e disse: «Allora?». «Sto fringuello vuol fare il galletto con il sottoscritto, ma ha sbagliato indirizzo.» «E tu? Pensi di venire qui a comandare? Che vuoi, Adùmas?» Il bracconiere si toccò la tasca della mimetica. Gli pesava il reperto. «C'hai ragione, Farinon, ma

ho fatto una camminata sotto il sole...» «Vieni al dunque.» «Ho da parlare con Poiana. Una cosa urgente.»

«Puoi dire a me.» Adùmas negò con il capo. «Allora non è urgente. L'ispettore lo troverai domani. E salito alla Matrogana a controllare l'allevamento.» Adùmas ci pensò su, girò i tacchi, aprì la porta e uscì in strada. «Ho ragione: non è poi così urgente» gli disse dietro Farinon.

Adùmas borbottò fra sé: «Sono affari miei». Il sovrintendente non lo intese e chiuse la porta della stazione.

Adùmas si allontanò accarezzando il cartoccio che gli pesava nella tasca destra della mimetica. Era urgente sì, era molto urgente.

La Matrogana, vecchio rudere sull'altipiano sopra il paese, era l'ultima costruzione prima del crinale. L'avevano costruita con massi a secco e legname chissà quanti secoli prima come ricovero estivo per un pastore e le sue pecore. In seguito, abbandonata la pastorizia, anche la Matrogana era andata in malora. L'aveva poi risistemata la forestale come punto d'appoggio per le necessità del servizio in alta montagna. Accanto alla Matrogana un torrente scendeva a valle con un percorso tortuoso che precipitava in molte cascate, alcune di notevole altezza. Ai piedi di una di quelle la forestale aveva ricavato anche un bacino naturale per l'allevamento di pesci e gamberetti destinati al ripopolamento di torrenti e fiumi della zona.

Ci si arrivava per una strada ripida e piena di buche, buona per scassare le sospensioni della Panda, e Adùmas, a ogni sobbalzo, bestemmiava il maledetto giorno che Benito gli aveva chiesto di procurargli un cinghiale.

«Se fossi andato a letto invece che alla posta» borbottava in risposta ai lamenti delle sospensioni.

Attraversò un fitto bosco d'abeti e, arrivato alla Matrogana, fermò l'auto dinanzi alla cancellata. Parcheggiò, prese dal sedile posteriore il sacchetto di plastica, entrò dal cancelletto pedonale e percorse i pochi metri pavimentati a sassi e in salita che lo separavano dall'edificio. La porta era chiusa, ma la vecchia campagnola della forestale era parcheggiata lì. Sedette su una panchina accanto alla porta, si accese una sigaretta e si mise ad aspettare, fischiettando un motivo.

La porta si aprì e un Gherardini assonnato si fece fuori, stropicciandosi gli occhi.

«M'era sembrato di sentir arrivare qualcuno e quel qualcuno...», guardò Adùmas. «Col casino che hai fatto mi hai svegliato.»

L'altro non rispose, tirò una boccata e cacciò fuori il fumo lentamente. «Il mattino ha l'oro in bocca. Comunque basterebbe mettere un po' d'olio ai cardini del cancelletto. Se vuoi vengo io a mettercelo, a gratis.»

«Così non sento arrivare le persone indesiderate. Come hai fatto a sapere che mi sarei fermato a dormire qui?»

«Le voci corrono.»

«Sèèè, corrono anche i bracconieri che ieri notte hanno vuotato la vasca della trota salmerino. Con la corrente elettrica, le hanno pescate. Due sono scappati ma uno ha preso la scossa, è caduto e si è spaccato un femore. Quell'imbecille, per quattro pesci, e i due che sono scappati, corrigli dietro, ma intanto so chi sono e li becco... mi sono perso una notte di sonno, fra chiamare l'ambulanza, portarlo giù in barella e tutto. Nanni e Melini sono andati a casa, ma io, accidenti ai pescatori di frodo e ai bracconieri...» Guardò Adùmas: «A proposito, l'hai preso il caffè?».

«Prenderlo l'ho preso, ma devo dire che quello che mi faccio non è tanto buono. Assaggiamo il caffè dello Stato, dev'essere meglio.» Si alzò, schiacciò la cicca sotto i piedi e seguì Poiana all'interno, e rimase meravigliato. «Avete fatto un bel lavoro. Me la ricordo com'era ridotta! Ci hai messo anche l'acqua corrente e la luce elettrica.»

«Per forza, se no come facevano a mantenere in funzione l'allevamento e il resto?»

C'era «na saletta con un tavolo e delle seggiole, al muro una bacheca piena di carte, fogli con l'intestazione del corpo forestale dello Stato, alcune riviste sulla natura, un tabellone colorato con le foto dei funghi commestibili.

Adùmas si fermò a controllare i funghi e borbottò: «Per forza poi i coglioni si avvelenano: guardano queste foto e raccolgono di tutto».

Dalla saletta si passava in un'altra stanzetta adibita a cucina, con tavolo e sedie, fornello, lavandino e cassetti e pensili per le stoviglie e le poche provviste. Nell'angolo salivano le scale per il bagno e le due camere da letto.

«Caffè di moka o con la cialda?» chiese l'ispettore.

«Come ti viene meglio.»

«Leggo ogni tanto i gialli di un bolognese» disse Gherardini mentre preparava il caffè, «c'è un questurino che la mena sempre con il caffè. Dice che come fa il caffè lui non lo fa nessuno. Si vede che noi forestali siamo diversi. Sentirai che con la cialda viene buono senza tante balle.»

«Mia madre metteva la polvere direttamente nell'acqua bollente. Quando c'era il caffè. Di acqua» e Adùmas sogghignò «ce n'era sempre tanta. Anche troppa. È il caffè che mancava. Adesso vedo le signore al bar che vogliono il caffè d'orzo. E lo pagano anche. Quello, l'orzo, non ci mancava.»

«Vedo che sei in chiacchiera questa mattina. Cos'è?» e Gherardini mise sul tavolo due tazzine con il caffè, un barattolo con lo zucchero e un cucchiaino che si scambiarono per zuccherare.

Presero il caffè in silenzio, poi Adùmas disse: «Meglio del mio» e si pulì la bocca con la mano, si frugò in tasca e si accese una sigaretta.

«Nei locali pubblici è vietato fumare.»

«E tu fa' finta di non vedere» sbuffò fuori il fumo e scosse la cenere dentro la tazzina.

«Come faccio a far finta di non vedere se adesso fumo anch'io?» Si accese una sigaretta. «Ma tu sei venuto fin qui per mostrarmi come sai infrangere le leggi dello Stato?»

Adùmas sorrise e scosse la testa. «Sono venuto per farti un regalo.»

«Che regalo?» L'altro gli mostrò il sacchetto chiuso da un nodo e l'ispettore lo prese. «Funghi?»

«Funghi speciali. C'era un altro a cercarli, là nel bosco, ma ha fatto come i tuoi pescatori di frodo. Aprilo.»

Lo aprì e ci guardò dentro. «Questa poi!» disse. Ci infilò la mano e tirò fuori una scarpa da cantiere. «E cosa mi rappresenta, questo?»

«Questo sta a significare che Adùmas quando vede un cinghiale con un piede in bocca non è ubriaco. Questo sta a significare che Adùmas ha ragione. Questo...»

Gherardini lo fermò con un gesto. «Dove l'hai trovato?»

«Dove doveva essere» e indicò la scarpa da cantiere: «Lì dentro c'era un piede.»

Pensieroso, l'ispettore si rigirava fra la mani il reperto tastandolo qua e là. Si trattava di una calzatura obbligatoria sui luoghi di lavoro, collaudata contro gli infortuni. Suola a prova di chiodi e spunterno rinforzato antischiacciamento. Quella che Adùmas gli aveva portato era sporca di terra scura che adesso, ormai secca, si sgretolava mentre l'ispettore la esaminava e saggiava la grande flessibilità della suola. Altri analoghi scarponi, capitati per vari motivi fra le sue mani, erano molto più rigidi e non si lasciavano piegare a causa della lamina d'acciaio inserita nella suola e nella tomaia.

L'ispettore rimise il reperto nella sportina e la restituì dicendo: «Hai fatto una solenne puttanata, Adùmas». L'antico bracconiere ci rimase male. «Adesso tu prendi e vai a rimetterla dov'era.»

«Dov'era? Cosa sei, matto? Tornare lassù? E poi, scusa, è la prova che non sono un visionario, che non ero ubriaco -ubriaco io?, figuriamoci! -, e adesso devo stare zitto, non solo, devo fare in modo di riportarla dov'era, questa scarpa dei miei...»

Poiana cercò di metterci tutta la sua pazienza: «'Scoltami, Dumas, tu in teoria non avresti dovuto cercarla e quindi trovarla, questa scarpa, né portarla a me. O meglio, potevi casualmente trovarla... passavo di lì, andavo a funghi, ho visto un cespuglio scarpa, mi ci sono infilato dentro... oh, non c'era una scarpa da cantiere? E invece di portarla a Gherardini, dico, dovevi correre, senza muoverla di là, perché diventa occultamento di prove, dovevi correre dal maresciallo e dirlo a lui che l'avevi trovata e dove, che ci pensasse lui».

«Correre da quel cattivo attrezzo di Cruenti, quel bagaglio, quel cioccapiatti? Ma io mando te e lui a dar via...» e Adùmas sottolineò quello che diceva con uno slancio verso l'alto del braccio destro. «Sai che se ne fa lui della scarpa? Un breve, se ne fa! La ficca da qualche parte e chi s'è visto s'è visto e io rimango il coglione che dicono.» Tacque un attimo. «E che forse sono» aggiunse a bassa voce.

«No, sta' mo' buono. Adesso fotografo la scarpa. Così rimangono le prove, data, ora, tutto. E se Cruenti non farà niente, vedrai che qualcuno farà» e cominciò a trafficare con la macchina fotografica digitale. Scattò foto della scarpa da varie angolazioni, sopra, sotto, il particolare della marca e della terra scura, lo stato della suola e dei lacci... e intanto parlava. «Sai micca niente tu dei pesci che si mangiano in paese? E dei gamberetti?»

«In che senso?» «Non fare il furbo con me, Dumas. Lo sai bene che ci vengono a rubare i pesci e i gamberetti.» «Ho capito. Adesso dovrei anche fare la spia. Per chi mi prendi?» «Faresti un piacere alla comunità.» «Quando la comunità farà dei piaceri a Adùmas, Adùmas farà dei piaceri alla comunità.» Altri scatti e poi: «Non è un modo civile di parlare». Esaminò il risultato e li mostrò a Adùmas.

«Guarda com'è venuta bella, la tua scarpa.» «Mia?» «Tua, tua. E adesso la rimetti nel sacchetto e la riporti dove l'hai trovata.» «Perché io?» «Perché tu sei pensionato e io no. Io ho delle cose da fare.» «Me lo immagino» commentò. «Sì, caro Dumas. Sto preparando una bella sorpresa ai tuoi amici bracconieri.» «Vacci piano, Poiana, con gli amici. Io, certa gente, non la voglio neanche sentir tossire. Quelli

di oggi non sono bracconieri.» «No? E cosa sono, secondo te?» «Delinquenti che massacrano e distruggono. Io ho imparato dai vecchi a rispettare gli animali.

Ai miei tempi, caro mio...» «E quali sono i tuoi tempi?» chiese Poiana porgendo la scarpa al bracconiere d'altri tempi. «Lasciamo perdere» disse Adùmas e, rassegnato, ritirò il reperto che l'ispettore continuava a

porgergli, lo rimise nel sacchetto di plastica e uscì dalla Matrogana brontolando fra i denti il

suo scontento. Gherardini lo seguì fino alla Panda, aspettò che Adùmas sedesse al volante e fece per rientrare. Adùmas si sporse per chiedere: «Tanto per sapere, cosa stai preparando a quei delinquenti che ti rubano i pesci?».

«Perché, hai qualche problema se li maltratto?»