Capitolo XXIII Un'inchiesta per la forestale

Aveva dormito pochissimo. L'ultima volta che aveva dato un'occhiata all'orologio erano le quattro. Si svegliò alle otto: quattro ore scarse di sonno non erano granché, ma si consolò con un: «Meglio di niente». Diede colpa della notte infame alla minestra nei fagioli, anche se l'aveva mangiata altre volte di sera e non gli era mai accaduto di girarsi e rigirarsi nel letto. Più ragionevolmente decise che era stata la tensione di quei giorni, l'incendio soprattutto. Se l'era vista brutta, anche se non l'aveva mostrato. Se n'era accorto solo il sovrintendente che lo conosceva bene.

Non si alzò subito e il pensiero passò rapido dai pericoli dell'incendio a quel poveraccio morto bruciato.

«Ammazzato» si corresse sottovoce.

In paese non ne capitavano spesso di morti misteriose. L'ultima era stata quella del padre di Adùmas, ma tanto tempo prima che lui, Marco, ne aveva solo sentito parlare. Adesso era arrivato il cadavere senza nome, bruciato nell'incendio, ed era diventato argomento preferito nella trattoria-bar di Benito, anche mentre si mangiava, pranzo o cena che fosse.

Per movimentare la monotonia della montagna, gli esperti (nei paesi ce ne sono sempre, di esperti in qualcosa) avevano fatto la conta e stabilito che non poteva essere uno del posto. Anche i villeggianti avevano fatto la conta, c'erano tutti, s'erano dati pace ed erano tornati ai mercatini, alle fiere, ai balli e a quant'altro offriva il paese.

Con uno sforzo s'alzò dal letto. Ultimamente aveva avuto pochissimo tempo per sé e la barba di quattro giorni glielo ricordò. Non era il caso di continuare a tenerla, Farinon lo avrebbe guardato male e gli avrebbe ripetuto: "Un ispettore della forestale deve avere una sua dignità". Lui avrebbe ribattuto con la solita domanda: "Chi l'ha stabilito?". Farinon gli avrebbe dato la solita risposta e sarebbero andati avanti così per venti minuti. Non era il caso e decise per il taglio, anche se avrebbe fatto tardi in caserma. Si aspettava una telefonata da Farinon, accadeva sempre quando tardava senza avvertire, e si portò il cordless in bagno. Infatti squillò.

«Arrivo, arrivo» gridò nel microfono.

«Arrivi dove?» rispose Francesca. «Sempre così gentile il mattino presto?»

«Mattino presto? Sono le nove...»

«Quasi l'alba. Ho telefonato in caserma e mi hanno detto che non c'eri ancora.»

«Sto per andarci.»

«Ho un problema e devi venire subito.»

«Dove sei?»

«Nell'unico posto in questo buco di mondo dove c'è campo. Sono nel fienile della Ca' Storta.»

«Vengo su nel pomeriggio.» «Subito, devi venire subito! Hanno massacrato la mia casa, hanno messo tutto sottosopra...» «Lo so, ho visto.» «Hai visto? Come sarebbe?» «Sarebbe che ho visto, ma adesso ho appuntamento in caserma con il mio capo, viene su da Bologna. Mi libero e sono da te prima di mezzogiorno.»

«Siete tutti matti in questo paese?» gridò Francesca. «Prima di mezzogiorno potrei essere morta. Ammazzata!» «Calmati, calmati e ascoltami: adesso, subito, prendi il tuo giocattolo di automobile e vieni in

paese, vieni in caserma da me e poi, con calma...» «Fanculo, Poiana!» e chiuse la comunicazione. Arrivò in caserma con un altro problema da risolvere. C'erano già tutti: Goldoni Giuseppe,

agente, in cucina a preparare il caffè; Radici Carlo, agente, in ufficio assieme a Farinon Clemente, sovrintendente. C'era, anche l'allievo agente Ferlin Valentino, seduto al centralino, nell'ingresso. Si era ridotto la fasciatura alle mani.

«Che sei venuto a fare?» gli chiese l'ispettore. «I tuoi giorni di malattia non sono finiti.» «Che ci faccio a casa? Mi rompo le palle e basta. Qui posso essere utile al centralino.» «Se te la senti» e Gherardini s'affacciò dal sovrintendente: «Dormito bene?» «Benissimo, perché?» «Io non ho chiuso occhio» esagerò Poiana. «Dev'essere stata la minestra nei fagioli.» «Non credo, quella concilia il sonno.» «Ooo, signor ispettore!» gridò il dirigente, dottor Baratti, dall'ufficio di Gherardini. «Ben

arrivato. Fai con comodo, tanto io posso aspettare!»

L'ispettore accennò con il capo verso il suo ufficio e abbassò il tono per chiedere al sovrintendente: «È già qui?». Farinon annuì e confermò: «Da almeno mezz'ora». «Potevi chiamarmi. Lo fai solo quando non serve.» «Bella figura avrei fatto con il dottore.» Gherardini s'avviò ordinando al subalterno: «Vieni anche tu».

Il dottor Baratti era comodamente seduto alla scrivania dell'ispettore Gherardini. «Dottore, qual buon vento? Saranno cinque anni che non ci viene a trovare e arriva l'unico giorno che io tardo.»

«Fai lo spiritoso, Gherardini, oppure dormivi quando sono stato qui, a primavera?» Aveva già fumato parecchie sigarette, nell'attesa.

L'ispettore indicò il posacenere: «Negli uffici pubblici sarebbe vietato».

«Continui a fare lo spiritoso? C'erano già le tue cicche, Ghera. Non sono qui per divertirmi» informò. «Diventerai mai un funzionario serio?»

«Lo sono già, dottore. Il fatto è che, quando lei viene in montagna, c'è sempre un guaio per noi, in prima linea.»

«Be', un guaio c'è anche stavolta, ma prima» e fece segno ai due sottoposti, che erano rimasti sulla porta, di entrare e sedere davanti a lui, di mettersi comodi. I due ese-guirono. Ma prima la bella notizia» e, preso il tono delle occasioni ufficiali, declamò: «È stato deciso di conferire un solenne encomio all'ispettore Gherardini Marco, detto Poiana, per il lavoro svolto in occasione dell'incendio. Anche i suoi collaboratori sono stati elogiati e verranno ufficialmente premiati, assieme al suddetto ufficiale, nel corso di una cerimonia che si terrà proprio qui, fra la sua gente della montagna, riconoscente per lo scampato pericolo. Tale cerimonia si svolgerà in autunno, in occasione della piantumazione di alberi destinati a sostituire quelli bruciati nell'incendio...»

«Di chi è stata l'idea, dottore?» lo interruppe Gherardini.

«Te l'ho appena detto: la tua gente della montagna, riconoscente.»

Gherardini guardò Farinon che sorrideva felice. «Sei stato tu!»

«Io? Questa non è la mia montagna.»

«Sei stato tu» confermò e indicò il superiore, «e lei, dottore. Lei non me la conta giusta, comunque...»

«Niente comunque. Adesso la brutta notizia: il magistrato inquirente, vagliati i rapporti pervenuti, la situazione ambientale e valutate pure le specifiche professionalità e specializzazioni, ha deciso di affidare al corpo forestale lo svolgimento delle indagini relative all'incendio e a tutte le conseguenze, pertinenze e attinenze già verificatesi o che in seguito si dovessero verificare. Il che significa che ti dovrai impegnare con tutte le tue possibilità per trovare una logica spiegazione e possibilmente il o i responsabili del casino che hai messo in piedi in questo schifo di montagna. Sei contento?»

«Da matti, dottore. L'avevo detto io a quel bazurlone del maresciallo! Solo, vorrei dargli io la notizia.»

«No, adesso sfammi a sentire. Sono venuto su apposta per comunicarlo di persona, al maresciallo; si è creata troppa tensione fra voi due, bisogna stemperare questi attriti, ci sono già state un paio di telefonate... come dire, antipatiche, ma poi anche i superiori del maresciallo hanno dovuto rendersi conto che il caso è roba nostra, non è stato facile ma è così, comunque volevo dirti questo prima di andare dal maresciallo stesso e dirglielo, indorandogli un po' la pillola, mi capisci? Se glielo dicessi tu chissà cosa potrebbe succedere.»

«S'immagini! Dottore, mi conosce, sono un maestro di diplomazia.»

«Proprio perché ti conosco mi è toccato venire di persona. Gherardini, non prendiamoci in giro, lascia fare a me che è meglio.»

«Va be', glielo dica lei. Ma se venissi anch'io, potrei spiegare le ragioni per cui Cruenti non c'entra più niente. L'incendio soprattutto è roba nostra, lo sa lei meglio di me, poi...»

«Di' che vuoi venire per vedere la faccia del maresciallo quando saprà che il caso è ufficialmente tuo.»

Gherardini rise. «Be', quella non la vorrei perdere per niente al mondo.»

Baratti restò pensoso. «Va bene, ispettore, vieni pure.

Guarda che al massimo ti permetterò di assentire o dissentire con lievi cenni del capo, d'accordo? Ma se ti scappa una parola in più ti mando a fare l'ispettore sulla Sila.»

Gherardini si mise sull'attenti, ma la sua faccia tradiva l'ironia del gesto, poi col pollice si segnò una croce sulle labbra. Baratti scosse la testa. «Non fare il buffone, Gherardini. Andiamo, e che Dio ce la mandi buona» e fece l'atto di alzarsi.

L'ispettore lo fermò con un gesto d'attesa e si rivolse al suo sovrintendente. «Prima di andare da Cruenti a dargli la bella notizia, è il caso che tu ci aggiorni sugli ultimi sviluppi, no, Farinon? Così anche il dottor Baratti ne sarà informato.»

Il sovrintendente si prese qualche secondo per raccogliere le idee e partì: «Non c'è molto. Ho visitato tutti i cantieri della zona: nessuno usa scarpe antinfortunio di Kevlar».

«Vuol dire che la scarpa viene da fuori, ma va' a sapere da dove» commentò sottovoce l'ispettore.

«A meno che» proseguì il sovrintendente, «a meno che il cinghiale con il piede in bocca non fosse un migrante. Mi è capitato di incontrarne un paio nella mia carriera. Uno, un grosso solitario, l'ho incontrato anni fa, quand'ero ancora in Friuli. Lo avevano avvistato alcuni giorni prima a una ventina di chilometri.»

«Non mi convince, Farinon, per niente. Un cinghiale non fa dei chilometri con un piede in bocca. Lo trova e al più perde un po' di tempo a cercare un posto tranquillo per mangiarselo, ma non fa dei chilometri. Può darsi che i chilometri li abbia fatti il titolare del piede, non il cinghiale.»

«Pensi a uno di fuori venuto a farsi ammazzare dalle nostre parti?»

«Venuto con i suoi piedi o portato qui da morto, Farinon.»

Nell'ufficio seguì un silenzio e poi: «C'è altro, giovani?» chiese il dottor Baratti.

Farinon ci rifletté su: «Per ora è tutto».

«Oltre a quello che le ho già riferito nel mio rapporto, dottor Baratti» completò l'ispettore Gherardini.

Il dottor Baratti diede un'occhiata alle pratiche che gli stavano davanti. «Sai che sei l'ispettore più giovane della forestale?»

«Dovrei essere contento?»

«Non lo so, fa' tu.» S'alzò dalla scrivania e uscì dall'ufficio.

L'ispettore Gherardini lo seguì e, passando davanti al sovrintendente, gli sussurrò: «Fammi un favore, Farinon, fai un salto alla Ca' Storta e vedi cos'è che ha spaventato la ragazza». E, alla faccia stupita del sovrintendente: «Mi ha telefonato molto agitata: va' a dare un occhio».

«Allora, signor ispettore, vogliamo andare o ne hai ancora per molto?» gridò il dottor Baratti dall'ingresso della caserma.