La storia culturale
Quando un uomo di oggi si trova a esplicitare i contenuti della sua coscienza finisce per usare un linguaggio pieno di metafore e di riferimenti culturali indissolubilmente legati all’ambiente sociale e culturale in cui vive. Che anche la nostra coscienza, nel suo significato di coscienza di sé, sia almeno in parte un prodotto sociale?
Uno degli elementi distintivi dell’evoluzione culturale rispetto a quella biologica è la rapidità con la quale possono succedersi mutamenti anche epocali. La nostra evoluzione culturale può avere un ritmo molto più accelerato e metterci in condizione di tenere conto delle mutate esigenze dell’ambiente in cui viviamo nel giro di decenni o addirittura di anni. Il motore dell’evoluzione culturale è stato ed è l’interazione fra individui diversi. La storia comparata dell’evoluzione culturale nelle varie aree geografiche sembra dimostrare che un fattore critico per il suo sviluppo è stato anzi la densità di queste interazioni. In quei territori e in quelle epoche in cui i contatti fra famiglie o fra tribù diverse erano più sporadici, l’evoluzione culturale ha segnato il passo. Un ritmo più elevato si è invece registrato quando gli scambi materiali e intellettuali sono stati più intensi. Oggi dalle nostre parti il ritmo delle interazioni è divenuto frenetico e il passo del cambiamento sociale e culturale sempre più incalzante.
Avere a disposizione cento o mille cervelli
Grazie alla cultura e alla sua storia, ogni essere umano è come se avesse a disposizione cento o mille cervelli affacciati sul mondo e aggregati al suo, un fenomeno analogo all’espansione di memoria di un computer. Anche se non c’è dubbio che la gestione di tale informazione spetta sempre al suo cervello e al suo impegno, il poter contare su tale massa di conoscenze, non solo acquisite ma anche adeguatamente elaborate, mette ciascun individuo in una posizione unica nel creato. La famiglia, la scuola, l’apprendistato e la disponibilità delle informazioni in senso lato sono gli elementi della nostra straordinaria capacità di avvalerci dei contributi di altri individui. Le accademie e le biblioteche sono da tempi remoti i luoghi deputati per l’acquisizione di questa conoscenza aggiunta. Oggi poi, con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e con l’espansione di Internet, la disponibilità di cultura non ha più limiti.
Il pensiero non si può sviluppare senza pensiero precedente
Come la vita non si può sviluppare senza vita precedente, così il pensiero non si può sviluppare senza pensiero precedente.
Si tratta di un’ipotesi di importanza capitale.
Se fosse vero che il pensiero si genera solo dal pensiero, l’uomo sarebbe responsabile dell’instaurazione e del mantenimento di un nuovo, inusitato, piano di realtà: il pensiero appunto, una drammatica proprietà emergente che si originerebbe come tutte le altre da un’ennesima rottura di simmetria per un accidente storico. Ma che assume questa volta una rilevanza tutta particolare, per la nostra propria storia e, chissà, per la storia dell’universo stesso.
Se poi al pensiero, inteso come precipitato di conoscenze e riflessioni collettive esplicitabili, si aggiunge il complesso delle attività artistiche o più modestamente artigiane, i riti individuali e collettivi e il senso quasi religioso della grandiosità delta macchina del creato e del ruolo che vi può svolgere la nostra specie, si perviene a quello che noi siamo soliti chiamare spirito. Lo spirito include il pensiero e sta a quello un po’ come l’anima sta alla mente individuale. Lo spirito umano ha acquistato ai nostri occhi una tale rilevanza e un tale grado di autonomia che qualcuno pensa si tratti di un’entità primaria e che al limite sia lo spirito che pone e sostiene la realtà e non viceversa. Noi non abbiamo accettato questa visione, ma comprendiamo benissimo come si possa essere di questo avviso e non abbiamo nulla contro concezioni che pongono lo spirito al centro dell’universo, a patto che l’operazione sia propulsiva e non paralizzante e promuova la tolleranza e l’apertura piuttosto che la chiusura e l’intransigenza.
Il terreno sembra pronto per l’ultimo passo, l’investigazione sperimentale dei modi in cui la nostra mente ordina e categorizza le cose del mondo, il problema conoscitivo per eccellenza.
L’impresa non è di quelle che hanno l’aria di avere un termine certo e un tempo definito, ma ne varrà la pena. Più che come un’esplorazione in campo aperto, questa si presenta infatti come una mappatura del mondo su se stesso. Per usare le parole di Ramon y Cajal: «Fintanto che il cervello resterà un mistero, resterà un arcano anche l’universo, che ne riflette la struttura».
La mente che esplora se stessa è certamente la follia delle follie, ma tutta l’esplorazione del reale si presenta con i caratteri di una follia. La realtà sembra poggiare infatti su solide palafitte che affondano nel nulla e l’evoluzione culturale nel suo complesso può essere vista come una progressiva espansione della parte tangibile di tali palafitte. Lo studio del cervello e della mente rappresentano e ancor più rappresenteranno una parte non secondaria di questo processo.
Esempi di quanto poco logica sia la nostra mente
Misurandoci con un computer si nota quanto poco logica sia a volte la nostra mente e il suo modo dì procedere. Da una parte ciò è più che conseguente. Credere che la mente proceda sempre secondo logica equivale a credere che il nostro corpo sia composto di solidi geometrici perfetti. Dall’altra, può essere istruttivo analizzare in dettaglio in che maniera siamo illogici e se la nostra stessa illogicità ha una sua logica, se segua cioè dei principi di carattere generale. È quanto hanno fatto molti ricercatori, proponendo dei problemini di logica a un certo numero di individui e osservando come questi li affrontano. Molte di tali ricerche hanno dato dei risultati interessanti e altamente istruttivi.
Vediamone un semplice esempio.
Viene chiesto a un certo numero di persone se in sei lanci di una moneta è più probabile che compaia la sequenza testa-testa-testa-croce-croce-croce o quella testa-croce-croce-testacroce-testa. La maggior parte delle persone dirà che è più probabile che si registri la seconda sequenza, anche se un attimo di riflessione rivela che le due sequenze sono assolutamente equiprobabili. Evidentemente alla base di questa risposta si trova la convinzione che gli eventi casuali devono essere sempre e comunque disordinati.
Vediamo un secondo esempio. In una scatola ci sono tre carte: una con entrambe le facce rosse, una con entrambe le facce bianche e una con una faccia bianca e una rossa. Si estrae una carta, la si poggia sul tavolo e si chiede:
1) Qual è la probabilità che la carta estratta sia quella rossa-rossa;
2) Qual è la probabilità che la faccia visibile della carta estratta sia bianca;
3) Supponendo che la faccia visibile della carta estratta sia rossa, qual è la probabilità che anche l’altra faccia sia rossa.
La maggior parte delle persone risponde: 1/3, 1/2 e 1/2, rispettivamente, per le tre domande.
Le prime due risposte sono giuste mentre la terza no. La probabilità implicata dovrebbe essere 2/3, come si conclude riflettendoci un po’. Quando si osserva che la faccia visibile della carta estratta è rossa, si esclude automaticamente che si tratti della carta bianca-bianca. Restano le due possibilità che si tratti della carta rossa-rossa o di quella rossa-bianca. Di conseguenza per la maggior parte delle persone la probabilità che l’altra faccia sia rossa è 1/2. Il ragionamento è sbagliato perché non si sta tenendo conto del fatto che è impossibile sapere se si stia osservando il lato o il lato B della carta rossa-rossa. Se si risponde 1/2, si sta sottostimando proprio la probabilità che anche l’altra faccia sia rossa. Le possibilità non sono infatti due ma tre: faccia bianca, faccia rossa del lato A e faccia rossa del lato B. L’altra faccia sarà dunque rossa due volte su tre. Si badi bene che non è una questione di intelligenza o di conoscenza delle leggi della probabilità. La maggior parte delle persone sbaglierebbe, e probabilmente avete sbagliato anche voi, indipendentemente dal livello intellettuale e culturale. Un cultore di questo tipo di ricerche ha asserito una volta che per ogni problemino elementare che trae in inganno un profano se ne può sempre concepire uno meno elementare che tragga in inganno anche una persona più esperta. Si direbbe che Errare umanum est!
Terzo esempio. Viene raccontata la seguente storiella. Carla è una trentunenne, nubile, estroversa e molto brillante. A ventidue anni era già laureata in sociologia e all’università aveva preso parte a molte manifestazioni contro l’ingiustizia sociale, la discriminazione, la guerra e l’uso dell’energia nucleare. Si chiede ora agli ascoltatori di fare delle ipotesi sull’attuale condizione di Carla, mettendo in ordine di probabilità otto diverse risposte fra le quali «Carla è impegnata in un centro sociale», «Carla lavora in banca» e «Carla lavora in banca ed è attiva nel movimento femminista». La stragrande maggioranza delle persone riterrà quest’ultima alternativa come più probabile della precedente. Il che è chiaramente una follia perché la probabilità di essere un impiegato di banca più qualcos’altro non può mai essere superiore alla probabilità di essere un impiegato di banca senza altre specificazioni. In questa loro valutazione le persone intervistate sono messe fuori strada dal fatto che la terza condizione è più individuata, più tipicizzata della seconda, che appare invece opaca e poco tipica. Diversi altri esperimenti del genere mostrano che gli esseri umani amano arrischiarsi in giudizi di tipicità, che sono in realtà giudizi di significatività, che trovano evidentemente molto attraenti, anche se basati su indizi debolissimi. D’altra parte molti esseri umani sono grandiosi nell’arrischiarsi in affermazioni estremamente circostanziate e dettagliate in assenza del minimo indizio, per non parlare della convinzione dell’intera comunità umana di essere stata creata a immagine e somiglianza del proprio Creatore.
Quarto esempio. Il signor Neri viene a sapere che ci sarà presto una rappresentazione teatrale che Io attira molto. Il biglietto costa 100.000 lire e, pur non nuotando nell’oro, il signor Neri decide che può permettersi di comprare due biglietti, uno per sé e uno per la moglie. Si considerino adesso due situazioni:
1) Il signor Neri compra i due biglietti con un certo anticipo, ma un po’ di tempo prima della data dello spettacolo si accorge di averli perduti;
oppure
2) Il giorno prima di andare a comprare i due biglietti, il signor Neri si accorge che il suo conto in banca è inferiore di 200.000 lire a quello che lui aveva pensato. In quale dei due casi è più probabile che il signor Neri vada comunque a comprare i due biglietti per lo spettacolo?
La maggior parte delle persone risponderà che ciò è molto più probabile nella seconda situazione piuttosto che nella prima, anche se il danno complessivo per il signor Neri è sempre di 200.000 lire, in un caso come nell’altro. Il ragionamento, diciamo così, che sta dietro questa valutazione è che il signor Neri aveva già mentalmente destinato una data cifra per quella voce di bilancio ed è restio ad aumentarne l’importo. Questo tipo di meccanismo psicologico, chiamato ripartizione mentale delle spese, sembra operare in moltissime situazioni, dalla decisione sulle piccole spese quotidiane fino alle trattative economiche di maggior rilievo e consistenza.
Quinto esempio. Francesco e Giovanni devono prendere due aerei che partono più o meno alla stessa ora. Vanno all’aeroporto con la stessa metropolitana che per problemi tecnici imprevisti arriva all’aeroporto buoni tre quarti d’ora dopo l’orario di partenza dei due aerei. A Giovanni viene detto che il suo aereo e partito regolarmente in orario, mentre a Francesco viene detto che la partenza del suo aereo era stata ritardata e che questo è partito di fatto solo da cinque minuti. Chi ci ha rimesso di più?
La maggior parte delle persone affermerà che è Francesco quello che ci ha rimesso di più, anche se in realtà il danno è stato esattamente lo stesso per entrambi. La giustificazione sarà che Francesco è andato più vicino a prendere comunque il suo aereo e quindi si deve disperare di più e magari mangiarsi le mani, esattamente come si dispera di più il possessore di un biglietto della lotteria il cui numero di serie differisce per una sola cifra da quello che ha vinto.
Negli ultimi due esempi è entrato in ballo un altro criterio valutativo di carattere generale che è stato chiamato principio della minimizzazione del rimpianto. Gli esseri umani odiano rimproverarsi, o sentirsi rimproverare, di aver perso un’occasione e fanno di tutto per evitarlo.
Più o meno inconsciamente tendono sempre a mettersi in condizione di diminuire la probabilità di avere qualcosa da rimpiangere o di cui rammaricarsi.
Potremmo andare avanti praticamente all’infinito con questo elenco di esempi, dal momento Es che ne sono stati studiati e commentati moltissimi. Chi fosse interessato può trovare molti qu divertenti resoconti in un numero crescente di libri. Noi crediamo di aver ampiamente illustrato lo il punto essenziale: la nostra mente è logica e consequenziale fino a un certo punto. Da un no certo punto in poi applica una logica «a braccio», molto approssimativa ma evidentemente più che sufficiente per affrontare le vicende della vita di tutti i giorni. Ciò è vero soprattutto per le valutazioni di verosimiglianza e di probabilità, quindi di rischio.
Su questo quadro generale di razionalità limitata si sovrappongono a volte anche problemi personali riguardanti singoli individui. Sono state descritte infatti delle persone reali che in seguito a un danno cerebrale hanno perso la capacità di dare valutazioni realistiche degli eventi della vita, sia nel quotidiano che nelle decisioni strategiche di fondo, quali intraprendere o meno una certa attività o acquistare un appartamento. Non si tratta di un deficit intellettivo, perché per tutto il resto queste persone mostrano di essere intelligenti e riflessive.
Evidentemente la facoltà di valutare realisticamente gli eventi della vita e l’intelligenza non sono la stessa cosa e non hanno una sede cerebrale comune.
Il fatto che la nostra mente non sia in tutto e per tutto razionale non è necessariamente solo un difetto. Funzionare per schemi mentali non perfettamente logici e approssimativi può anche avere i suoi vantaggi. In primo luogo, non siamo qui per capire lucidamente tutto e per dare giudizi di validità universale. Che noi riusciamo a barcamenarci per qualche decennio in modo da arrivare a riprodurci decentemente, all’evoluzione biologica basta e avanza. E non è detto che per raggiungere questo fine troppa razionalità sia d’aiuto. Probabilmente un essere troppo razionale troverebbe tutto ciò un po’ insulso e magari getterebbe precocemente la spugna. In secondo luogo, nell’affrontare certi problemi particolarmente complessi e che richiederebbero una lunghissima catena di ragionamenti procedere per schemi euristici prefabbricati anche se non perfettamente razionali, può comportare un effettivo vantaggio, se non altro nell’accelerare l’intero processo decisionale. Non siamo nati per giocare a scacchi né per fare gli assicuratori, ma per prendere decisioni più o meno ponderate e più o meno spedite nelle varie situazioni della vita quotidiana, in alcune delle quali la prontezza può risultare un fattore critico e la prontezza non è sempre compatibile con l’esattezza.
Certi schemi mentali prefabbricati che noi a volte mettiamo in atto costituiscono in sostanza delle scorciatoie e degli stratagemmi euristici per poter trattare in tempo ragionevole problemi che altrimenti richiederebbero una riflessione troppo prolungata e quindi troppo faticosa. Un computer funziona ripetendo un numero altissimo di volte schemi logici relativamente semplici e se Io può permettere in virtù della sua enorme velocità di esecuzione. Il cervello procede in modo molto più lento e si deve affidare a processi meno esatti ma più redditizi. Nemmeno un computer può però, al momento, permettersi di seguire in dettaglio tutti gli aspetti di certi problemi. Anche i computer che giocano a scacchi a livello superiore vengono oggi dotati infatti di programmi che permettono loro di tagliar corto di tanto in tanto in un processo logico troppo complesso. La mente umana non ha la capacità di memoria e la velocità di calcolo di un computer e ha dovuto perciò trovare di necessità una sua propria via alla decisione che non fosse totalmente e perfettamente logica.
Un primo commento alle constatazioni appena fatte è che sarà incredibilmente interessante possedere in futuro un inventano di questi schemi mentali e di questi stratagemmi euristici, nonché dei loro meccanismi d’azione. Alcuni di tali risultati riguarderanno le strategie migliori per affrontare la risoluzione di problemi, il cosiddetto problem solving, mentre altre avranno dei risvolti teorici e pratici per quanto concerne piuttosto il processo decisionale, il cosiddetto decision making.