L’attenzione
L’attenzione, abbiamo visto nel capitolo precedente, è accompagnata e sostenuta da specifici processi nervosi localizzati in regioni subcorticali, come il tronco cerebrale e il talamo, ma anche in alcune regioni corticali. Fra queste spiccano la corteccia cingolata anteriore sinistra e la regione parietale posteriore destra, quella che risulta danneggiata nei pazienti affetti da emiinattenzione, il difetto che impedisce loro di vedere la parte sinistra del mondo. Le due regioni sembrano particolarmente coinvolte in quella particolare forma di attenzione, detta attenzione esecutiva, che è necessaria per compiere un’azione che implichi una scelta fra vari comportamenti alternativi. Abbiamo visto infatti che la corteccia cingolata non è particolarmente attiva nella visione passiva di parole scritte, ma entra in ballo quando si tratta di pronunciare una frase contenente una data parola piuttosto che un’altra.
Questo tipo di circuito attenzionale è necessario per individuare un oggetto fra i tanti e portarlo al centro della propria mente. L’operazione in questione è qualcosa di più del rendersi conto che un oggetto esiste nel nostro campo percettivo, perché implica una valutazione della sua natura e di una sua possibile funzione in vista di un determinato scopo. Una lesione in tali aree riduce la coerenza del comportamento rispetto agli obiettivi, In casi estremi un paziente può dire ripetutamente: “Devo fare quella cosa, devo fare quella cosa!” e non farla per niente. Si sa inoltre che nelle scimmie questa regione è strettamente connessa con le aree implicate nella percezione del dolore, nella risposta motoria e nella vocalizzazione che rifletta stati emotivi, tutte funzioni che hanno in comune la segnalazione di un evento percepito come significativo.
Tutti sappiamo che se siamo fortemente assorbiti nei nostri pensieri o in una lettura possiamo non sentire una voce che ci chiama o un suono di campanello che altrimenti avvertiremmo senza sforzo. Si osserva qui una competizione fra vari canali sensoriali e vari processi mentali per il controllo della nostra scena mentale. Ciò vale però fino a un certo punto, poiché la concentrazione volontaria dell’attenzione non elimina del tutto l’attenzione per così dire automatica. Se infatti percepiamo un rumore fragoroso o ci troviamo in presenza di qualche stimolo che si impone di prepotenza alla nostra attenzione, quella verrà comunque distolta da quanto stiamo facendo. La presenza di un certo livello di attenzione automatica è una garanzia contro il presentarsi di pericoli improvvisi e costituisce un elemento essenziale della nostra vita di tutti i giorni. Oggi tali fenomeni possono essere studiati sperimentalmente. Uno dei modi migliori per osservare questa competizione è quello di generare a bella posta un conflitto.
Consideriamo ad esempio la situazione che dà luogo al cosiddetto effetto Stroop. Si chiede a un soggetto di leggere ad alta voce una lista di parole che denotano altrettanti colori. Anche le parole sono scritte in vari colori, che possono corrispondere o non corrispondere al loro significato: la parola “rosso” cioè può essere scritta in rosso e la parola “blu” può essere scritta in blu o viceversa. Ebbene, il soggetto impiega molto meno tempo a leggere l’intera lista di parole se ciascuna di esse è scritta nel colore che rappresenta piuttosto che se i colori delle varie parole sono stati scelti con un criterio diverso. Nel primo caso non c’è conflitto fra la percezione visiva e l’interpretazione semantica, mentre nel secondo caso è presente una sorta di conflitto interpercettivo che ha l’effetto di ritardare l’esecuzione dell’intera operazione. La PFT rivela che la corteccia cingolata anteriore è fortemente attivata in soggetti impegnati nell’esecuzione di un test del genere e si può immaginare che una particolare attenzione sia richiesta per inibire alcuni processi automatici e permettere la lettura anche di quelle parole il cui significato non corrisponde al colore con cui sono scritte.
Una lesione alla corteccia cingolata anteriore di entrambi gli emisferi è presente nei pazienti affetti da un particolare disturbo chiamato mutismo acinetico. Questi individui sono in grado di rispondere a stimoli esterni o anche di seguire con lo sguardo il movimento delle varie persone, ma non iniziano spontaneamente nessun movimento volontario, come se non avessero alcun obiettivo o alcuno scopo. Quelli che si riprendono da tale infermità non sono in grado di spiegare perché prima non facessero assolutamente niente se non affermando che allora non veniva loro in mente niente.
La corteccia cingolata anteriore è implicata in un certo numero di altre funzioni mentali, quali la capacità di orientarsi nello spazio e alcuni aspetti della cosiddetta memoria operativa, che permette di tenere in mente per qualche istante un certo numero di informazioni necessarie per Il campo visivo ristretto associato al campo tattile ristretto.
È legittimo chiedersi qual è il significato funzionale del fatto che un campo visivo, anche se campo ristretto, sia associato a un corrispondente campo tattile e che tutto ciò si rifletta sull’attività di un neurone corticale che appartiene, ricordiamoci, all’area premotoria. Si tratta in realtà di un campo visivo piuttosto ristretto e certamente particolare. La scimmia infatti può vedere benissimo anche altri oggetti presenti in altre regioni dello spazio intorno a lei, più distanti e osservabili sotto angolazioni diverse. La loro vista però non ecciterà il neurone di cui stiamo parlando, anzi non ecciterà probabilmente nessun neurone di questa area corticale, ma indurrà piuttosto una attività nervosa in quelli di un certo numero di altre aree. Stiamo parlando quindi della risposta a una categoria molto particolare di oggetti, presenti a una certa distanza e raggiungibili in linea di principio dall’animale stesso se questo «allunga una mano».
È chiaro che si tratta di un evento di integrazione senso-motoria. Per una scimmia che si trovi nel suo habitat naturale — gli alberi di una foresta — gli oggetti che stanno a breve distanza hanno una particolare rilevanza rispetto a tutti gli altri. I tronchi, i rami, le foglie o i frutti che sono a portata di mano, e che possono essere afferrati o ai quali ci si può afferrare, rappresentano istante per istante un mondo a parte, ben distinto dall’insieme degli oggetti che si trovano magari in vista, ma a rispettosa distanza. Questo spazio, che possiamo chiamare peripersonale. è un tutt’uno con una parte de] nostro corpo, con la sua sensibilità tattile e con il suo movimento e ne costituisce una sorta di prolungamento. Si è visto a tale proposito che il campo visivo corrispondente a un campo ricettivo tattile può anche essere esteso artificialmente. Alcuni ricercatori giapponesi hanno addestrato un macaco giovane a prendere le cose situate a una certa distanza utilizzando un bastone o un rastrello. In conseguenza di questo addestramento il campo visivo dei neuroni bimodali dell’area premotoria F4 dell’animale si è ampliato di una lunghezza corrispondente. Alcuni di questi neuroni sanno dove l’animale può arrivare adesso e il suo spazio peripersonale appare ricalibrato di conseguenza. Per un animale anche evoluto come una scimmia il mondo rappresenta un oggetto di azione prima che di osservazione. Solo l’uomo può arrivare talvolta a osservare il mondo in maniera più o mèno indipendente da un suo possibile intervento.
Lo spazio peripersonale ha una sua realtà quasi fisica e certamente organica. Può essere interessante osservare come nella vita di tutti i giorni e in particolare nella relazione amorosa si imponga spesso la Violazione dello spazio peripersonale e chiedersi quindi quante reazioni irrazionali o apertamente nevrotiche di alcuni individui si possano in ultima analisi ricondurre a una violazione di questo spazio.
Studiando il comportamento dei neuroni delle varie aree premotorie del macaco sono state fatte molte altre interessanti osservazioni. Alcuni neuroni dell’area premotoria F5, ad esempio, sono stati chiamati neuroni specchio perché si attivano tanto quando l’animale sta compiendo in prima persona una data azione elementare, quale afferrare un oggetto con tutta la mano, con la punta delle dita o con le labbra, quanto nel momento in cui vede la medesima azione compiuta da un’altra scimmia o da un uomo. Sembra cioè che un determinato neurone sia in grado di riconoscere una particolare azione in astratto, sia che venga compiuta dal soggetto stesso che da altri. Il comportamento di questa particolare classe di neuroni potrebbe quindi rivelarsi d’importanza fondamentale per la percezione del «sé in azione» riflesso nelle azioni dell’altro. D’altra parte, vedere il sé nell’altro è anche il primo passo per lo sviluppo della facoltà di vedere l’altro in sé che è alla base dell’empatia, cioè della capacità di immedesimarsi nell’altro e quindi di prevederne e magari prevenirne le mosse, e di quella che oggi si chiama teoria della mente, ovviamente altrui, di cui dovremo parlare in seguito.
Ma nel comportamento di questi neuroni premotori si può anche scorgere una codificazione somatica dei vari tipi di azioni elementari e quindi una possibile primordiale matrice biologica della concettualizzazione e della verbalizzazione delle azioni. E noto che anche negli esseri umani l’osservazione dei movimenti di un altro essere umano comporta l’attivazione dell’area di Broca. Il linguaggio è una forma di attività motoria che richiede l’interessamento e il coordinamento di un gran numero di aree corticali. Per quanto sia appannaggio esclusivo della nostra specie, questa facoltà non può che essere nata dalla trasformazione e dal rimodellamento di strutture anatomo-funzionali preesistenti. Per ora non si sa ancora niente.