Essere un elaboratore di informazione come elemento fondamentale delle funzioni mentali
Howard Gardner ha tracciato una storia che rappresenta anche un tentativo di definizione e sistematizzazione delle scienze cognitive. Secondo l’autore le scienze cognitive nascono verso la metà egli anni Cinquanta dalla confluenza di tematiche derivanti da un certo numero di discipline, che ne accompagneranno peraltro anche successivamente il cammino: la filosofia, la psicologia, la linguistica, le neuroscienze sperimentali, l’antropologia e l’intelligenza artificiale. Cogliendo spunti e suggerimenti e mutuando metodiche da un po’ tutti questi tipi diversi di approccio allo studio della mente, le scienze cognitive hanno fornito una visione relativamente omogenea della mente e del modo di studiarla.
Quali sono i tratti salienti di tale visione? Sempre secondo Gardner vi si possono identificare almeno cinque temi essenziali. Al primo posto l’autore pone proprio la convinzione, condivisa da tutti gli studiosi della nuova disciplina, che per comprendere il funzionamento della mente sia necessario condurre l’analisi muovendosi su un piano d’indagine particolare, che è appunto quello delle rappresentazioni mentali che hanno una loro realtà e possono essere studiate in maniera autonoma. Immediatamente dopo viene l’influenza che su questa disciplina in fieri ha avuto Io studio del computer e il complesso di riflessioni che lo hanno accompagnato. La caratteristica principale di un computer, quella di essere un elaboratore di informazione, è stata assunta dagli studiosi come elemento fondamentale, anche se non unico, delle funzioni mentali. Per loro la realizzazione di calcolatori sempre più potenti ha rappresentato come minimo un «teorema di esistenza», cioè la prova tangibile del fatto che attraverso una semplice elaborazione di dati e di simboli è possibile portare a termine un numero non trascurabile di operazioni mentali. E’ ovvio altresì che in questa ottica si tende a privilegiare il ragionamento e la logica a spese dell’emotività e di ogni elemento contingente. Il terzo tema che Gardner individua è proprio la tendenza da parte del cognitivismo a non sottolineare più del necessario, o secondo alcuni a non considerare affatto, elementi quali l’emozione e il contesto e più in genere la cultura e la storia. È abbastanza ovvio che se si voleva iniziare un nuovo corso nello studio della mente qualcosa doveva essere lasciato fuori e la cosa più facile da lasciare fuori in ogni analisi rigorosa è il contingente e il cangiante. Il motivo che si adduce in tali casi, in maniera più o meno convinta, è che questi aspetti possono poi sempre essere ricuperati in un secondo momento.
Il quarto tema è la fiducia nell’utilità di un approccio profondamente interdisciplinare. Non sarebbe possibile che fosse altrimenti, viste le origini e la natura stessa del, movimento. Va detto però che quello dell’interdisciplinarità è spesso un sogno se non un mito, o peggio ancora un alibi. Una vera interdisciplinarità è molto difficile da realizzare e spesso nasconde un’essenziale eterogeneità di assunti e prospettive, come già è successo per la cosiddetta Scienza della complessità, sotto il cui ombrello si possono trovare argomentazioni di matematica pura accanto a professioni di fede ispirate al misticismo più sfrenato, nonché cultori di logica accanto a pensatori che possono solo essere definiti come nostalgici del tempo che fu, o che più probabilmente non fu mai. Il quinto e ultimo tema individuato da Gardner è infine un profondo radicamento dei temi trattati dai cultori di questa disciplina nelle problematiche del pensiero filosofico, intesa soprattutto come riflessione sui fondamenti della conoscenza, della verità, dell’identità e della comunicazione. Tra i cosiddetti scienziati cognitivi si può trovare una percentuale di filosofi e di logici che non si osserva in nessun altro campo non strettamente filosofico. Come contraltare a tale inclinazione si può notare anche la tendenza, che noi porremmo come sesto tema sullo stesso piano degli altri cinque, a tenersi il più possibile aggiornati sulle scoperte delle neuroscienze sperimentali, che rappresentano un versante un po’ più hard della ricerca sul cervello.