132
Lo Studio Ovale era buio, illuminato solo dal fioco bagliore della lampada d'ottone sulla scrivania del presidente Herney. Davanti a lui, Gabrielle Ashe, a testa alta.
Fuori dalla finestra, il crepuscolo stava scendendo sul prato di ponente.
«Ho sentito che ci lascerà» disse Herney, in tono accorato.
Gabrielle annuì. Benché il presidente le avesse generosamente offerto ospitalità alla Casa Bianca, lontano dalla stampa, Gabrielle aveva preferito non rifugiarsi proprio nell'occhio del ciclone, in attesa di tempi migliori. Voleva andare il più lontano possibile, almeno per un po'.
Herney la scrutò con ammirazione. «Gabrielle, il suo gesto, stamattina...» Si interruppe, come se non trovasse le parole. I suoi occhi erano diretti e limpidi, completamente diversi dai due profondi ed enigmatici specchi d'acqua che l'avevano una volta attratta verso Sedgewick Sexton.
Eppure, perfino contro lo sfondo di quella sede del potere, Gabrielle notò nel suo sguardo una genuina gentilezza, un'onestà e una dignità che non avrebbe dimenticato. «L'ho fatto anche per me stessa» disse infine.
Herney annuì. «In ogni caso, le devo i miei ringraziamenti.» Si alzò, facendole cenno di seguirla nel corridoio. «Veramente avrei voluto che rimanesse per poterle offrire un posto nella divisione Bilancio e programmazione.»
Gabrielle lo guardò dubbiosa. «Stop alla spesa, cominciamo la ripresa?»
Herney ridacchiò. «Qualcosa del genere.»
«Presidente, sappiamo tutti e due che, al momento, io costituirei più che altro un intralcio.»
Herney alzò le spalle. «Lasci passare qualche mese e tutto sarà dimenticato. Tanti grandi uomini, e grandi donne, hanno sofferto momenti difficili sulla via della gloria.» Le strizzò l'occhio. «Alcuni sono diventati addirittura presidenti degli Stati Uniti.»
Gabrielle sapeva che aveva ragione. Disoccupata solo da poche ore, quel giorno aveva già respinto due offerte di lavoro: una di Yolanda Cole della ABC, un'altra della casa editrice St Martin's Press, che le aveva offerto uno scandaloso anticipo per scrivere un'autobiografia molto esplicita. "No grazie."
Mentre si avviava con il presidente lungo il corridoio, Gabrielle pensò alle sue foto, che in quel momento venivano sbattute su tutti gli schermi televisivi.
"Il danno sarebbe stato peggiore per il paese" si disse. "Molto peggiore."
Gabrielle, dopo essere andata alla ABC per recuperare le foto e prendere in prestito il lasciapassare della stampa, si era intrufolata di nuovo nell'ufficio di Sexton per assemblare i duplicati delle buste e stampare copie degli assegni che attestavano i finanziamenti illeciti. Poi, dopo l'incontro al Washington Monument, aveva consegnato le copie degli assegni allo sbalordito senatore insieme alle sue richieste. "Dia al presidente la possibilità di spiegare i suoi errori sul meteorite, altrimenti verrà divulgato anche il resto." Sexton aveva dato un'occhiata al fascio di prove, poi si era chiuso nella sua limousine per allontanarsi in fretta. Da quel momento, era scomparso dalla circolazione.
Ora, mentre giungeva con il presidente alla porta sul retro della sala stampa, Gabrielle sentì il mormorio della folla in attesa. Per la seconda volta in ventiquattr'ore, il mondo si riuniva per ascoltare un messaggio speciale del presidente.
«Cosa dirà?» chiese Gabrielle.
Herney sospirò. La sua espressione era straordinariamente calma. «Col passare degli anni, ho notato più volte che...» Le mise una mano sulla spalla e sorrise. «... La verità è sempre la cosa migliore.»
Inaspettatamente, Gabrielle si sentì riempire d'orgoglio mentre lo guardava avanzare a grandi passi verso il podio. Zach Herney stava per ammettere il più grande errore della sua vita, eppure, stranamente, non era mai apparso tanto autorevole.