38

 

Due giorni senza la luce del sole avevano scombussolato l'orologio biologico di Michael Tolland. Anche se era tardo pomeriggio, il suo organismo sembrava convinto che fosse piena notte. A quel punto, apportati gli ultimi ritocchi al documentario e convertito il video in formato digitale, si incamminò nell'habisfera buia. Arrivato nell'area stampa, consegnò il dischetto al tecnico della NASA incaricato di mandare in onda la presentazione.

«Grazie, Mike.» Il tecnico ammiccò sollevando il disco in aria. «Questo ridefinirà le trasmissioni "imperdibili", eh?»

Tolland rispose con una risata stanca. «Spero che piaccia al presidente.»

«Non c'è dubbio e, comunque, il tuo lavoro l'hai fatto. Siedi tranquillo e goditi lo spettacolo.»

«Grazie.» Nell'area stampa sfavillante di luci, Tolland osservò l'euforico personale della NASA che brindava al meteorite con latrine di birra canadese. Anche se aveva voglia di festeggiare, si sentiva stanco, emotivamente prosciugato. Si guardò intorno in cerca di Rachel Sexton, che evidentemente stava ancora parlando con il presidente. "Vuole mandarla in onda" pensò. E non lo biasimava: Rachel sarebbe stata un inserimento perfetto nel cast di portavoce convocati per illustrare la scoperta. Oltre a essere di bell'aspetto, possedeva una spontaneità e una sicurezza raramente riscontrate da lui in altre donne. In fin dei conti, la maggior parte di quelle che frequentava erano personaggi televisivi: donne assetate di potere oppure bellezze mediatiche totalmente prive di personalità.

Si allontanò silenzioso dalla folla entusiasta e girovagò per la rete di passatoie stesa nella cupola, chiedendosi dove fossero scomparsi gli altri scienziati civili. Se si sentivano esausti quanto lui, probabilmente erano nella zona cuccette a schiacciare un pisolino prima del grande evento. Davanti a sé, a una certa distanza, vide il cerchio di coni QUTSUC intorno al pozzo di estrazione deserto. La cupola vuota in alto sembrava riecheggiare le voci incorporee di ricordi lontani. Tolland cercò di respingerli.

"Dimentica i fantasmi" si impose. Spesso lo tormentavano in momenti come quelli, quando era stanco o solo, oppure quando avrebbe dovuto rallegrarsi per un successo personale. "Lei dovrebbe essere qui con te, adesso" sussurrava la voce. Nel buio, si sentì trascinare indietro, verso il passato.

Celia Birch era stata la sua ragazza fin dai tempi dell'università. Per un San Valentino, Tolland l'aveva invitata nel suo ristorante preferito. Al momento del dessert, il cameriere le aveva portato una rosa e un anello di brillanti. Celia aveva compreso immediatamente. Con le lacrime agli occhi, aveva pronunciato una sola parola che aveva reso Michael Tolland felice come non lo era mai stato.

«Sì.»

Pieni di entusiasmo, avevano comprato una casetta vicino a Pasadena, dove Celia aveva trovato lavoro come insegnante di scienze. Lo stipendio era modesto, ma pur sempre un inizio, e poi la sede distava poco dallo Scripps Institution di oceanografia di San Diego, dove Tolland aveva realizzato il suo sogno di lavorare a bordo di una nave per le ricerche geologiche. Quell'incarico lo teneva lontano per tre o quattro giorni di seguito ma, quando si ritrovavano, trascorrevano momenti appassionati ed emozionanti.

In mare, Tolland aveva cominciato a registrare con una videocamera alcune sue avventure per Celia, facendo minidocumentari del suo lavoro a bordo. Dopo uno di quei viaggi, era tornato con un video amatoriale un po' sgranato girato dall'oblò di un batiscafo. Presentava le prime riprese mai girate di una strana seppia chemiotropa di cui nessuno conosceva l'esistenza. Mentre le illustrava, Tolland praticamente straripava dal sommergibile con la sua animazione.

«In questi abissi vivono migliaia e migliaia di specie sconosciute» le raccontava, eccitato. «Per ora, abbiamo soltanto graffiato la superficie! Qui sotto ci sono misteri che nessuno di noi riesce a immaginare!»

Celia, affascinata dall'entusiasmo del marito e dalle sue concise spiegazioni scientifiche, aveva pensato di mostrare il video durante una lezione di scienze. Aveva riscosso un immediato successo. Gli altri insegnanti chiedevano il video in prestito, i genitori volevano farne una copia. Sembrava che tutti aspettassero con ansia la puntata successiva. Le era venuta un'idea: aveva telefonato a una compagna di università che lavorava alla NBC e le aveva spedito il video.

Due mesi dopo, Michael Tolland aveva chiesto a Celia di fare una passeggiata con lui sulla spiaggia di Kingman. Era il loro posto speciale, dove andavano sempre per confidarsi speranze e sogni.

«Devo dirti una cosa» aveva esordito Tolland.

Celia si era fermata e aveva preso la mano del marito mentre il mare lambiva i loro piedi. «Che c'è?»

Tolland non stava nella pelle. «La settimana scorsa ho ricevuto una telefonata dalla rete NBC. Mi propongono di presentare una serie di documentari sugli oceani. Per me è perfetto. Vogliono fare un lancio di prova l'anno prossimo. Non è incredibile?»

Celia l'aveva baciato, raggiante.

Sei mesi più tardi, Celia e Tolland veleggiavano nei pressi di Catalina quando lei aveva accusato un dolore al fianco. L'avevano ignorato per qualche settimana, finché non era diventato insopportabile. Era andata a fare un controllo.

In un istante, la vita meravigliosa di Tolland si era trasformata in un incubo infernale. Celia era malata. Gravemente malata.

«Un linfoma a uno stadio avanzato» aveva spiegato il medico. «Raro in persone della sua età, ma documentato.»

Avevano visitato innumerevoli cliniche e ospedali per consultare specialisti di fama. Sempre la medesima risposta. Incurabile.

"Non posso accettarlo!" Tolland aveva lasciato immediatamente il lavoro allo Scripps Institution, aveva dimenticato i documentari della NBC e dedicato tutte le sue energie e il suo amore ad aiutare Celia a guarire. Anche lei aveva lottato coraggiosamente, sopportando il dolore con una serenità che gliel'aveva resa ancora più cara. La portava a fare lunghe passeggiate sulla spiaggia di Kingman, le preparava pranzi nutrienti, le raccontava quello che avrebbero fatto non appena fosse guarita.

Ma le cose erano andate diversamente.

Soltanto sette mesi dopo, Michael Tolland si era ritrovato accanto al letto della moglie morente in uno squallido reparto ospedaliero. Non riconosceva più il suo viso. La ferocia del cancro aveva rivaleggiato solo con la brutalità della chemioterapia. Era distrutta, ridotta a uno scheletro. Le ultime ore erano state le peggiori.

«Michael» gli aveva sussurrato lei con voce velata. «È arrivato il momento di gettare la spugna.»

«Non posso.» I suoi occhi erano gonfi di lacrime.

«Sei un sopravvissuto. Devi reagire. Promettimi che troverai un altro amore.»

«Non desidererò mai un'altra.» Tolland era convinto delle sue parole.

«Dovrai imparare a farlo.»

Celia era morta in una limpida domenica mattina di giugno. Michael Tolland si era sentito come una nave strappata dagli ormeggi, alla deriva su un mare in tempesta con la bussola fuori uso. Per settimane aveva girato a vuoto. Gli amici avevano cercato di aiutarlo, ma l'orgoglio gli rendeva intollerabile la loro compassione.

"Devi scegliere" si era detto infine. "O lavori o muori."

Facendosi forza, si era buttato nell'avventura delle Meraviglie del mare. Il programma gli aveva salvato letteralmente la vita. Nei quattro anni successivi, la trasmissione si era imposta all'attenzione del grande pubblico. Malgrado i tentativi degli amici di trovargli una compagna, Tolland era uscito rare volte con una donna. Tutti gli appuntamenti si erano risolti in fiaschi o nella delusione reciproca, e così alla fine aveva rinunciato, attribuendo ai continui viaggi di lavoro la mancanza di una vita sociale. Gli amici più intimi conoscevano la verità. Michael Tolland non era pronto.

In quel momento, il pozzo di estrazione del meteorite si profilò davanti a lui, strappandolo ai suoi dolorosi ricordi. Si scosse via quelle memorie tragiche per avvicinarsi all'apertura. Nella cupola buia, l'acqua aveva un fascino magico, quasi irreale. La superficie brillava come uno stagno rischiarato dalla luna. I suoi occhi furono attratti da alcuni corpuscoli luminosi sullo strato superiore, come se qualcuno vi avesse sparso delle faville verdeazzurre. Le osservò a lungo.

Strano.

A prima vista, pensò che fosse soltanto il riflesso delle luci dall'altra parte della cupola, ma poi si accorse che non era così. Quel luccichio aveva una colorazione verdastra che sembrava pulsare ritmicamente, come se la superficie dell'acqua fosse viva, illuminata dal basso.

Turbato, Tolland oltrepassò i coni per guardare più da vicino.

In un'altra zona dell'habisfera, Rachel Sexton uscì dalla cabina mobile e si ritrovò al buio. Si arrestò un attimo, disorientata. L'habisfera sembrava una caverna aperta, illuminata soltanto dal bagliore delle forti luci dei riflettori, nella zona settentrionale. Innervosita, si diresse istintivamente verso l'area stampa.

Era soddisfatta del suo discorso al personale della Casa Bianca. Una volta ripresasi dal colpo basso del presidente, aveva riferito con calma tutto ciò che sapeva del meteorite. Mentre parlava, aveva osservato i visi passare dall'incredulità a una fiduciosa speranza e, infine, a una sbalordita comprensione.

«Vita extraterrestre?» aveva detto qualcuno. «Ma sapete che cosa significa?»

«Sì» aveva risposto un altro. «Significa che vinceremo questa elezione.»

Nell'avvicinarsi all'area stampa, immaginò l'annuncio imminente e non poté fare a meno di chiedersi se suo padre meritava davvero di essere travolto dalla forza irresistibile del presidente, che in un solo colpo avrebbe mandato in fumo la sua campagna.

La risposta, ovviamente, era sì.

Ogniqualvolta si sentiva bendisposta nei confronti del padre, non doveva fare altro che ricordare la madre. Il marito le aveva inflitto dolore e vergogna: rientrava tardi la notte, con l'aria soddisfatta e con gli abiti impregnati di profumo femminile, si nascondeva dietro un finto zelo religioso e intanto continuava a mentire e a tradirla, certo che Katherine non l'avrebbe mai lasciato.

"Sì" decise Rachel. "Il senatore Sexton sta per ricevere proprio quello che si merita."

L'atmosfera era festosa nell'area stampa. Tutti bevevano birra. Rachel si fece strada tra la folla sentendosi una giovane studentessa alla festa di un'associazione maschile. Si chiese dove fosse finito Michael Tolland.

Corky Marlinson si materializzò al suo fianco. «Sta cercando Mike?»

Rachel sobbalzò. «Be'... no... forse.»

Corky scosse la testa disgustato. «Lo sapevo. Se n'è appena andato. Credo fosse diretto a schiacciare un pisolino.» Scrutò nel buio. «Ma forse riesce ancora a raggiungerlo.» Le rivolse un sorriso sornione e indicò con la mano. «Mike resta ipnotizzato ogni volta che vede l'acqua.»

Rachel seguì il dito teso di Corky verso il centro della cupola, dove si profilava la figura di Michael Tolland, immobile davanti al pozzo di estrazione.

«Che sta facendo?» chiese lei. «È pericoloso, laggiù.»

Corky sorrise. «Magari fa pipì. Andiamo a dargli una spinta.»

Rachel e Corky attraversarono lo spazio buio. Mentre si avvicinavano, Corky gridò: «Ehi, uomo degli abissi! Hai dimenticato il costume da bagno?».

Tolland si voltò. Anche nella penombra, Rachel si accorse che aveva un'espressione insolitamente grave. Il viso appariva come illuminato dal basso. «Tutto bene, Mike?» gli chiese.

«Non proprio.» Tolland indicò l'acqua.

Corky passò oltre i coni e raggiunse Tolland al bordo del pozzo. Il suo buonumore sembrò raffreddarsi di colpo quando vide l'acqua. Rachel li raggiunse. La sorprese notare corpuscoli luminosi azzurro verdastri sulla superficie, come pulviscolo di neon che fluttuava sull'acqua. L'effetto era magnifico.

Tolland prese una scheggia di ghiaccio dal pavimento e la gettò nel buco. L'acqua divenne fosforescente nel punto di impatto, accendendosi di un improvviso bagliore verdastro.

«Mike» disse Corky, improvvisamente a disagio «ti prego, dimmi cos'è.»

Tolland aggrottò la fronte. «So esattamente cos'è, ma non so cosa diavolo ci faccia qui.»

 

La Verità Del Ghiaccio
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