CAPITOLO XX

I DUE più potenti imperi rimasti sulla terra dopo le due guerre mondiali come le uniche grandi potenze, sembravano volersi reciprocamente distruggere senza pietà per avere il predominio ed erano entrati fra loro in una durissima competizione per stabilire chi di essi sarebbe riuscito per primo a bombardare la Luna e magari ridurla in frantumi, affinché non potesse essere usata come un trampolino per un assalto generale alla Terra. Nessuno pensò nemmeno per un momento che sulla Luna potessero esistere esseri innocenti che sarebbero stati uccisi senza misericordia. Che importano a noi simili bagattelle, pur di riuscire a bombardare la Luna, Marte o Venere, e mostrare all’universo che razza di superuomini siamo!

Però territori smisuratamente vasti erano ancora, sulla terra, inesplorati, e molto probabilmente idonei a offrire a centinaia di migliaia di uomini nuove e migliori possibilità di vita. L’interno della terra non era ancora noto a nessuno.

Ancora non erano stati scoperti i mezzi contro il cancro, contro la calcificazione delle arterie, contro inaspettati e tuttora inspiegabili infarti cardiaci.

Ma c’erano disponibili in quantità incommensurabile tempo, energia e denaro, specialmente denaro, per cominciare la lotta per la conquista dello spazio.

Una delle due grandi potenze possedeva già ventidue satelliti che giravano a velocità pazzesca intorno alla Terra, cercando di scacciare dai loro troni il buon Dio, il Redentore e Principe della pace con la fronte cinta d’una corona di spine e di rendere particolarmente scomoda l’esistenza ai vecchi santi barbuti e ai piccoli angioletti.

Una delle due grandi potenze, benché non fosse in grado di lanciare tanti sputnik come l’altra, ne possedeva però uno così grande che si poteva vederlo con cielo sereno a occhio nudo. Per forza di competizione era riuscita a giungere così vicino alla Luna da quasi afferrarla. Ma questo vantaggio fu presto annullato per il fatto che l’altra potenza riuscì ad aggiungere al sistema solare un altro pianeta, in certo qual modo un regalo natalizio a scoppio ritardato.

Certo questi nuovi corpi celesti creati dalla mano dell’uomo, che inghiottivano miliardi di denaro duramente guadagnato da uomini modesti e attivi, avevano un valore scientifico piuttosto scarso. Il loro valore era soprattutto di natura politica.

L’avidità di scoprire nuove armi, mille volte più devastatrici di quelle già accumulate in quantità immense, era diventata una vera malattia dell’umanità. Invece di creare nuove scuole, nuovi ospedali, abitazioni economiche, nuove ferrovie, nuovi impianti elettrici e d’irrigazione per porre fine alla spaventosa povertà di milioni di uomini nei paesi sottosviluppati, ogni mese si fabbricavano duemila bombe all’idrogeno, e in pari tempo centinaia di proiettili razzo, ciascuno dei quali poteva superare in sei minuti e mezzo la distanza di novemila miglia e in un mezzo secondo incenerire un milione di persone.

I risultati di questa sinistra gara riempivano le pagine dei giornali che parlavano di

«nuovi trionfi» per convincere anche l’ultimo scettico quanto l’umanità fosse prossima alla sua completa distruzione.

In simili circostanze naturalmente era stato dimenticato tutto ciò ch’era veramente utile agli uomini. Ci si addormentava con la descrizione di «grandi conquiste scientifiche», escogitate da certi scienziati, che non adempivano il loro vero compito di servire gli uomini, ma all’opposto facevano uso del loro sapere, delle loro cognizioni e delle loro esperienze per annientare gli uomini.

Dimenticato fu anche il grande progetto di una via di comunicazione per le navi fra l’Atlantico e il Pacifico attraverso il territorio americano. Tutto il denaro occorrente a tale scopo venne ritenuto indispensabile per altri impieghi. La situazione era press’a poco identica, anche nel campo avversario.

Quanto a questo paese, non c’era nessun rallentamento nella smisurata dilapidazione di sano, solido denaro americano. I membri del senato e della camera, che cercavano di porre un freno a questa dilapidazione, riducendo al minimo le somme che venivano stanziate, e di spostare i finanziamenti là dove il denaro poteva essere veramente utile, erano una netta minoranza. In certi ambienti erano addirittura sospettati di sentimenti antiamericani, cosa che si avvicinava molto a un’accusa di alto tradimento.

I miliardi venivano invece elargiti prodigalmente a paesi che per corruzione politica, colpevole incapacità dei governi, guerre coloniali destinate all’insuccesso, non erano in condizione di mettere ordine nelle loro finanze dissestate. Lasciate che lo zio americano, ricco, ma incredibilmente idiota, provveda a noi; tanto non sa dove buttare i suoi miliardi.

Oltre sessantacinquemila miliardi di dollari vennero così sperperati dalla fine della seconda guerra mondiale col pretesto insostenibile che solamente così le nazioni economicamente deboli potevano essere salvate dagli artigli del super imperialismo bolscevico. Coi dollari, non con l’ideologia fondamentalmente sana e con la civiltà dei popoli occidentali si tentò di fermare l’espandersi del bolscevismo. La forza del dollaro contro la forza delle idee. Una lotta impari.

Migliaia di milioni vennero profusi a favore di dittatori che angariavano i popoli schiavi con la brutale potenza dei mezzi militari e della polizia.

Sputnik, Lunik, proiettili intercontinentali, e quante altre invenzioni tecniche furono escogitate, presso nessun popolo suscitarono tanto interesse quanto presso gli americani. Ma appunto perché una invenzione o una scoperta inattesa eccitava gli americani fino allo spasimo, l’interesse non poteva durare a lungo.

Le uniche novità e le uniche conquiste che mettono profonde radici e rimangono ancorate in modo duraturo nel pensiero degli americani, sono quelle che prospettano fondatamente una utilità generale, tangibile, permanente. Cessato il clamore suscitato dagli sputnik, dai razzi Atlas, dai nuovi pianeti e dai tentativi riusciti di lanciare bombe all’idrogeno con precisione millimetrica su bersagli distanti migliaia di chilometri, si comprese che tutto ciò serviva unicamente a scopi politici e a spremere più denaro dalle tasche dei contribuenti e fu naturale che si riprendesse a parlare del progetto dell’APTC. Gli uomini normali non possono essere tenuti continuamente nel terrore dello scoppio improvviso d’una bomba all’idrogeno, senza che ne segua una sana reazione. La natura dell’uomo, il suo carattere

lo spingono a protestare e a procurarsi un motivo di distensione, non importa come e in quale forma.

Tuttavia ancor prima di arrivare a questo punto,

il popolo si trovò di fronte a un nuovo problema: il numero dei disoccupati crescente con incredibile rapidità teneva in agitazione gli animi. Dieci milioni e mezzo di disoccupati (ufficialmente la cifra era meno di cinque milioni) agivano come un incubo sulla vita economica del paese, e ogni mese il numero andava avvicinandosi rapidamente ai dodici milioni.

Che cosa bisognava fare per mettere un fermo a questo crescendo continuo?

Così Aslan si trovò improvvisamente ancora una volta al centro dell’interesse del pubblico. Il suo progetto avrebbe contribuito grandemente a risolvere per anni il problema della disoccupazione, che si sarebbe acuito con il rimpatrio di centinaia di migliaia di soldati smobilitati.

Aslan fu di nuovo sopraffatta da lettere, telegrammi, inviti a parlare per radio e televisione, in riunioni, associazioni femminili, in club, alle camere di commercio e nelle società armatoriali.

Molte cose, a cui non aveva pensato davanti alla commissione senatoriale d’inchiesta, molte a cui probabilmente non avrebbe mai pensato, perché estranee alle sue cognizioni e alle sue esperienze, ella apprese dalle lettere che le venivano inviate, spesso da gente semplice, lavoratori, autisti, impiegati e insegnanti.

Particolarmente una di queste lettere attirò la sua attenzione. Proveniva da un semplice marinaio, un uomo di coperta, ed era scritta con una calligrafia quale migliore non poteva aspettarsi da mani callose.

«Cara signora», egli scriveva, «lei ha omesso di ricordare ai senatori qualcosa che per me semplice marinaio è molto importante. Ma che una donna non può sapere.

Vede, ogni nave deve entrare di tanto in tanto in un bacino di carenaggio dove lo scafo viene scrostato dai relitti animali conchiglie alghe e simili. Le incrostazioni che rimangono attaccate allo scafo rallentano la velocità della nave più di quanto lei forse non creda. E questo costa denaro che può essere risparmiato. Poi bisogna provvedere alla bullonatura. Intere lastre allentatesi debbono essere fissate di nuovo affinché l’acqua non entri nella stiva. Poi la nave dev’essere riverniciata, per proteggerla dalla ruggine. Poi bisogna riparare le eliche o sostituirle completamente. Tutto ciò va fatto in un bacino di carenaggio. Qualche volta queste operazioni richiedono tre quattro e più settimane di lavoro. Mentre la nave è ferma in un bacino di carenaggio per le riparazioni e la riverniciatura, non soltanto non guadagna denaro, ma ne mangia. Ora lei vuole costruire una ferrovia che trasporti una nave da Galveston a Los Angeles in California. Ed è una buona idea. Ma io parlo del tempo e della perdita di denaro nel bacino di carenaggio. Se la nave viaggia sulla sua ferrovia non ha bisogno del bacino di carenaggio. Lo scafo può essere pulito riparato verniciato e le eliche cambiate mentre la nave viene trasportata, tanto più che in quelle circostanze il marinaio non ha niente da fare. Penso cara signora che se avesse detto questo ai signori del senato che di navi non se ne intendono affatto, se avesse detto quanto qui le scrivo i signori del senato avrebbero capito subito che la ferrovia dev’essere costruita e magari incominciando oggi stesso. Buona fortuna signora.»

«Amy», disse Aslan, «scriva subito a questo marinaio una bella lettera di ringraziamento e vi aggiunga un biglietto da cento dollari in compenso dell’eccellente idea che ci ha dato. Faccia fare delle copie di questa lettera e le mandi a una dozzina di giornali.»

Amy, muovendo la lettera fra le mani, rideva.

«Signora, questa sua idea è quasi altrettanto buona di quella del marinaio, il quale senza alcun dubbio sa di che cosa parla.»

Amy era appena uscita, quando fu bussato alla porta.

«Avanti!» esclamò Aslan e all’ingresso comparve Beckford.

«Buon giorno, signor Beckford. È una settimana che non la vedo. È stato ammalato?»

«Non proprio ammalato, signora. Ma finalmente ho ragionato.»

«Era tempo. Si metta a sedere! Che c’è di nuovo?»

Beckford sedette e tirò fuori una lettera che porse ad Aslan, all’altra parte della scrivania.

«Sono le mie dimissioni, signora. Rinuncio al mio impiego.»

«E perché? E così improvvisamente?» «Ho letto nei giornali che le cose cominciano di nuovo a bollire. Non fa per me. La stessa vita civile non mi va.

Finalmente l’ho capito. Ieri mi sono nuovamente messo in lista per il richiamo nel corpo dei marines. Mantengo lo stesso grado, sergente. Là non ho necessità di pensare. Ogni passo, ogni movimento della mano, delle gambe, viene comandato, e non è necessario rompersi il capo sugli ordini da dare alla propria segretaria.»

«A dire il vero, abbiamo parlato in consiglio della sua posizione. Era previsto di proporle il ritiro dal suo posto di direttore generale dell’impresa, in quanto avevamo per lei una sistemazione, che la rendeva del tutto indipendente. La nuova società, di cui lei è presidente, avrà il compito di curare l’acquisto e l’amministrazione dei materiali da costruzione necessari alla nostra impresa. Un incarico grandioso e pieno di responsabilità.»

«Ma è proprio per evitare le scocciature che ho fatto domanda di rientrare nel corpo dei marines. Io non voglio essere responsabile d’altro che di insegnare alle mie reclute il più rapidamente possibile perché si trovano nel corpo dei marines. Con incarichi, affari, materiali da costruzione, senatori, costruzioni di ferrovie, e segretarie che dicono a uno sulla porta di casa: ‘ Buona notte! ’ dopo aver passato una bella serata con chi ha speso per loro un mucchio di dollari, con cose di questo genere non voglio avere più nulla a che fare. Non sono cose per me, signora. Quando io in divisa di sergente invito al cinema una smorfiosa e poi la porto a cena, so esattamente di che cosa ella mi è debitrice e con quale moneta mi deve pagare. La vita qui è troppo complicata per me, signora. In caserma tutto è più semplice. Si ha un solo pensiero: non avere grattacapi! E per un sergente i grattacapi sono ridotti al minimo.»

«Comincio a capire. Bene, signor Beckford, accetto le sue dimissioni. Se mai il corpo dei marines dovesse venirle in uggia…»

«Per ora no, signora. Mi saranno conteggiati per intero tutti gli anni di servizio. È

un vantaggio per la pensione.»

«Comunque, se mai avesse necessità di un posto, ne terremo sempre uno libero per lei. A proposito, ha bisogno forse di denaro?»

«No, nemmeno di un dollaro, signora. La ringrazio molto della bontà che ha avuto per me e che ha voluto usarmi. Per merito suo ero lì lì per occuparmi di canali. E i canali sono sempre stati l’unica cosa che mi ha interessato oltre il corpo dei marines.

Ma a quanto vedo, signora, anche lei non costruirà canali, semmai sarà una ferrovia.

Ancora una volta, la ringrazio moltissimo.»

«Le auguro molta fortuna, signor Beckford, e tante cose buone.» Gli porse la mano. Beckford la strinse, si volse e uscì.

Aslan guardò, immersa nei suoi pensieri, per qualche istante verso la porta, per la quale Beckford si era allontanato.

Di lì a poco entrò Amy. «Signora, è stato da me proprio ora, il signor Beckford.

Era un poco commosso quando mi ha detto: ’ Good-bye, Amy. E per molto tempo ’. Che cosa intendeva dire, signora?» «Intendeva dire che ha fatto domanda di rientrare nel corpo dei marines.»

«Be’, non so proprio che cosa dire.» «Forse ha deciso per il suo meglio.»

«Comunque gli auguro ogni felicità. Non mi ha mai fatto nulla di cui debba lagnarmi.» «Non gliene ha mai dato occasione, Amy?» «Mai, signora. Non era il mio tipo.» «Non sarebbe stato nemmeno il mio», disse Aslan, senza alzare gli occhi dalle carte che cercava di riordinare sulla scrivania. «Troppo goffo. Troppo immaturo», e cambiando di tono: «Amy, ha un’idea a quanto ammonta la domanda della nuova emissione delle nostre azioni, nel caso che venga autorizzata?»

«Circa due miliardi trecentocinquanta milioni di dollari. Circa ottocento milioni sono stati versati in assegni come anticipo.»

Aslan rise e piegò tanto all’indietro la poltrona che Amy balzò innanzi temendo che cadesse. «Si è mai sentito nulla di simile? La gente manda assegni e denaro non soltanto nel nostro paese, ma anche dal Canada, dal Messico, dal Brasile, dal Venezuela, dalla Svezia, dalla Germania, dalla Francia, dall’Italia, per azioni che non abbiamo e che, se va male, non avremo mai.»

«Non sono le azioni, signora, quelle che attirano la gente come una calamita. È

l’iniziativa. L’idea. È la fiducia in lei e nel suo progetto», osservò Amy.

«Ha detto una cosa, Amy, che racchiude una massima di filosofia applicata all’economia. Non è il pezzetto di carta, l’azione, ciò in cui la gente crede, come, diciamo, nel valore d’acquisto di una banconota da diecimila dollari. Un pezzo di carta. Il più delle volte persino sgualcito e sporco. È la fede nel valore invisibile del lavoro e della produzione espresso nel pezzo di carta. Nello stesso momento, in cui la fede nei valori invisibili espressi nella banconota viene scossa, il biglietto da diecimila dollari non basta nemmeno più a comperare una saponetta. La stessa cosa è delle nostre nuove azioni che praticamente ancora non esistono. Dietro a esse sta un valore finora invisibile, e che milioni di uomini credono che un giorno diverrà concreto. Tutta questa gente che ordina azioni, e paga grosse somme per azioni non ancora esistenti, è fermissimamente convinta che la nostra impresa è attuabile e che verrà realizzata.»

«Infatti, questa è l’unica spiegazione, signora.» «Sicuramente non c’è altra spiegazione. Non abbiamo notizie dal senato, Amy?» «No, signora. Mi dispiace.»

«La commissione prende sempre molto tempo.» «Ammesso che la commissione decida in favore della società, signora, si potrà mettere in vendita la nuova serie delle azioni, non è vero?»

«Non così presto, mia ingenua agnellina. La commissione non è competente a dare il permesso per l’emissione di azioni. La commissione è unicamente un organo inquirente, insediato per motivi puramente politici. Per l’emissione di nuove azioni abbiamo bisogno dell’autorizzazione della SEC, cioè la Securities and Exchange Commission, presso la quale dobbiamo far registrare le azioni. Tutto quel che la commissione può fare è di riferire alla SEC che a suo giudizio non esiste alcun pericolo di speculazione borsistica. Vero è che la SEC deve pronunciare l’ultima parola su questa materia. Non è tenuta a riconoscere il risultato della commissione senatoriale, se è di altra opinione. Certo, se la SEC rifiuta l’autorizzazione alle nostre azioni, noi possiamo ricorrere al tribunale. Spero però che non si arrivi a tanto. In tutti i casi dobbiamo aspettare finché la commissione non avrà reso noto il suo parere.

Ciò può durare mesi, Amy, mesi.»

Aslan non sapeva, né poteva sapere come le cose andavano in senato. Meno che mai poteva sapere che cosa si macinava nella sottocommissione, che doveva decidere della vita e della morte della sua società.

I senatori e i deputati, ma specialmente i signori della sottocommissione erano sopraffatti da lettere e telegrammi. All’infuori di alcune dozzine di lettere scritte da oppositori del progetto, tutte le altre si pronunciavano decisamente a favore. Ai parlamentari erano state persino inviate lettere minatorie, non anonime, ma firmate, con nomi e indirizzi, in cui si dichiarava loro apertamente che non potevano sperare di essere rieletti se non avessero appoggiato il progetto o avessero cercato di insabbiarlo. Sempre più aumentava il numero delle persone, società e imprese che incominciavano a rendersi conto che con questo progetto centinaia di migliaia di persone, non importa di quale professione, avrebbero avuto per i prossimi dieci anni un reddito assicurato e presumibilmente buono, quale l’industria degli armamenti non poteva offrire, poiché essa dipendeva dalle mutevoli circostanze politiche.

Se dal di fuori le cose potevano sembrare tranquille, nella commissione senatoriale e nelle sedute private dei deputati procedevano invece tumultuosamente. Divergenze esasperate dividevano i politici di professione, i quali si ponevano il quesito: «Perché un progetto così gigantesco non è stato fatto proprio dal governo? Perché dovevano abbandonarlo all’iniziativa privata?»

In considerazione della chiara presa di posizione di cittadini americani, uomini e donne, tutti elettori, al senato parve poco meno che un suicidio frapporre remore costituzionali alla società di Aslan od ostacolarla in qualche modo, senza per lo meno permetterle di fare il tentativo di procurarsi il denaro occorrente per l’esecuzione del piano. L’opinione pubblica si manifestava a favore del progetto sotto la specie di un pronunciamento popolare. Una decisione sfavorevole non avrebbe certo provocato una rivoluzione; tuttavia c’era da prevedere una tale tempesta d’indignazione che il senato alla fine si sarebbe visto costretto a revocare il proprio verdetto.

La decisione doveva essere presa, in un primo tempo, entro sei settimane. Ma mesi e mesi erano passati, e nessun giudizio era stato pronunciato. Probabilmente i senatori speravano che le manovre dilatorie avrebbero stancato gli azionisti avviando così la società ad una lenta morte indolore. Se non che gli azionisti della società non erano di pasta molle e non si lasciarono scuotere dalla loro fede nella bontà del progetto. Chi perse la pazienza non furono gli azionisti, furono i senatori. Il fuoco sotto il loro seggi, che veniva instancabilmente attizzato

dalla pubblica opinione, alla fine divenne intollerabile. Si videro costretti a dare una chiara risposta.

La decisione, messa sotto gli occhi dei lettori a grossi caratteri, nella prima pagina di tutti i giornali del paese, diceva: «Dopo maturo esame e una precisa inchiesta su tutte le circostanze del caso, il programma di lavoro, per il quale la Atlantic-Pacific Transit, Corporation chiede la registrazione delle sue azioni di prossima emissione, deve essere giudicato molto audace, molto arduo, molto problematico, per cui, fino al giorno del definitivo completamento, l’impresa comporterà un notevole rischio per i possessori delle azioni di questa società. Si deve pertanto lasciare agli azionisti stessi la piena responsabilità di tale rischio. Nell’indagine sulla stabilità finanziaria della società non si è trovato per il momento nulla che possa dare motivo di inquietudine o incertezza agli azionisti della nominata società».

Aslan studiò frase per frase il testo della dichiarazione. «Amy», disse alla fine,

«ammesso il caso che nel lungo tratto di strada da Galveston a Los Angeles noi rimanessimo a secco nel deserto e che venissero a mancare i soldi per la prosecuzione del lavoro, la commissione senatoriale d’inchiesta si presenterà al pubblico col più benevolo e paterno sorriso sulle labbra, e tenendo alte le mani appena lavate, per lasciarle asciugare.»

«Non capisco, signora», disse Amy.

«È semplice, Amy. Essi se ne lavano le mani con una ingenuità infantile, quei signori del senato. Nel responso è detto: ’ Non si è trovato per il momento nulla…’

L’accento è su quel: ‘per il momento Di ciò che potrebbe accadere più tardi, gli onorevoli senatori non sono responsabili. Debbo dire che non avrei mai creduto che questi onorevoli senatori fossero cosi abili a tener lontano le mani dal fuoco, quando dovesse incominciare a bruciare.»

«Ma, signora, pare che gli onorevoli senatori non temano il fuoco.»

«Non temono il fuoco?»

«Evidentemente no, signora. Da due settimane gli onorevoli senatori Drake, Clifford e Shearer hanno depositato nelle nostre casse un assegno di duecentomila dollari ciascuno, in garanzia delle azioni di nuova serie da loro richieste.»

«E questo la meraviglia, Amy?» domandò Aslan. «Ciò che mi meraviglia è che questi tre onorevoli signori, che seppero tormentarmi così spietatamente, non abbiano depositato almeno mezzo milione. Avrebbero potuto. Questi tre signori sono i principali azionisti della società di navigazione Knutsen Kelthy Crane Jorgson, che l’anno scorso ha pagato il diciassette e un ottavo per cento di dividendi, dedotte le imposte sul reddito.»

FINE