CAPITOLO IX

IL governo dell’Indonesia aveva in programma di costruire una vasta rete di moderni aeroporti, e a tale scopo si rivolse a note imprese di costruzioni del Giappone, dell’Inghilterra, dell’Olanda e degli Stati Uniti.

Holved presentò i suoi progetti e il calcolo delle spese. Il preventivo da lui predisposto superava del sette e mezzo per cento quello di una società giapponese.

Superava anche quello delle ditte degli altri due paesi. Tuttavia il contratto venne concluso con la sua società, non già perché gli Stati Uniti godessero in Indonesia di particolare simpatia, ma perché gli altri tre paesi erano di gran lunga meno ben visti, anzi in effetti letteralmente odiati. Si consideri inoltre che Holved poteva accordare all’Indonesia maggiori facilitazioni di pagamento ed era in grado di compensare una non irrilevante parte delle spese acquistando prodotti del paese. Holved riuscì a convincere i competenti indonesiani che la sua società aveva una maggiore e più lunga esperienza in questo genere di imprese, che egli poteva eseguire il progetto complessivo in un periodo di tempo inferiore a quello di qualsiasi altro concorrente e che si assumeva la piena garanzia per la qualità e la durata dei materiali da costruzione, che egli avrebbe impiegato.

Certamente si vide costretto a dover essere presente durante il periodo della costruzione a più riprese nelle diverse isole dell’Indonesia per sei o otto settimane onde sorvegliare personalmente l’andamento dei lavori; ciò appariva tanto più necessario in quanto si era impegnato a occupare, nei limiti del possibile, capomastri, tecnici, artigiani e operai indigeni.

Pensava di partire il mercoledì per Giacarta in volo. Era domenica e egli voleva passarla tranquillamente con Aslan per discutere con calma tutto ciò che sarebbe potuto accadere durante la sua assenza.

«Sotto molti aspetti mi rincresce veramente», disse nel corso del colloquio, «di dover partire proprio ora. Ti posso dire con certezza che non appena renderai noto, e dovresti farlo senza indugi, che l’APTC ha in progetto di costruire un canale di navigazione attraverso tutto il continente nordamericano, ti troverai presa in un vortice spaventoso.»

«Vi sono preparata e non aspetto di meglio», disse Aslan, sorseggiando il caffè.

«È molto probabile che avrai addosso tutto il senato. Non ti risparmieranno.»

«Penso che del senato mi libererò presto, non appena il piatto comincerà a scottare.»

«Brava. Non farti mettere sotto i piedi. Restituisci colpo per colpo, se tentano di schiacciarti. Anch’io ho dovuto fare la stessa esperienza.»

«Lo credo. E laggiù, a Giava, a Kalimantan, a Sumatra, nelle Celebes e come altro si chiamano tutte quelle isole, ci saranno dei giorni in cui ti troverai in tali difficoltà che al confronto preferirai essere qui a lottare col senato a Washington.»

«È possibile, anzi probabile. Sarò lieto se non ritornerò a casa coi nervi a pezzi.»

«L’Indonesia del resto è molto più civilizzata di quanto in genere non si creda qui in America.»

«Hai ragione. Una civiltà che risale a due o tremila anni or sono. E ciò che la gente vi ha fatto dopo la conquista dell’indipendenza, è più di quanto abbia mai potuto ottenere negli ultimi sessant’anni di dominazione olandese.»

«Comunque, Holved, ti auguro pieno successo.» «E io a te, Aslan. Ah… penso sempre come mai ti è venuta l’idea di costruire questo canale? Sebbene io sia parte in causa, talvolta, in qualche notte insonne, penso che questa tua idea ha proprio del pazzesco.»

«Forse. Ma meno di quanto tu credi. Dipende con quali occhi tu la consideri.»

«Ma qualcuno deve pure averti suggerito quest’idea del canale. Forse Beckford?»

«Beckford? Quello lì! Non farmi ridere. Lui? Un sergente del corpo dei marines dimesso dal servizio militare con l’attestazione d’aver servito con fedeltà e onore?

Lui? Non essere ridicolo, Holved. L’idea è soltanto mia. Senza l’intervento di estranei. È nata, direi, dalla mia reazione contro gli antiquati insegnamenti che ho avuto dalle mie insegnanti. La cosa è andata semplicemente così. Avevo dodici anni.

C’era lezione di geografia. La professoressa si chiamava Johnson. Ne ricordo ancora esattamente il nome. Essa richiamò la nostra attenzione sulla grande influenza che esercitavano sull’economia di molti paesi i due canali più importanti, quello di Suez e quello di Panama. Ci mostrò sulla carta geografica quante migliaia di miglia marittime, e quindi quanto tempo e quanto denaro, con questi canali risparmiava il traffico marittimo. Ci spiegò come, senza questi canali, centinaia di prodotti di ogni genere sarebbero costati il doppio o anche il triplo a Londra, a Parigi, a New York, a San Francisco.

«Io mi alzai per domandare a chi appartenevano questi canali. Al che la professoressa Johnson mi spiegò che i canali appartenevano alle compagnie che li avevano costruiti e che avevano poi ottenuto di amministrarne il traffico. Domandai allora se i paesi, attraverso i quali i canali passavano, in particolare quindi l’Egitto e la repubblica del Panama, non avessero maggiori diritti su questi canali delle compagnie estere. La sua risposta fu: questi paesi ricevono una parte degli utili che danno i canali, e inoltre determinate somme di riscatto fissate anticipatamente. Io mi dichiarai insoddisfatta della risposta e volli sapere che cosa sarebbe avvenuto, se questi paesi un giorno non avessero più permesso a navi straniere di passare per il canale, allegando il pretesto che questo ledeva i loro diritti di sovranità e proprietà, per non dire il loro prestigio nazionale. Allora la professoressa Johnson disse che questo non sarebbe mai potuto accadere, perché quei paesi erano troppo deboli militarmente ed economicamente per opporsi a grandi potenze come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda, l’Italia, il Belgio, e che potevo mettermi tranquillamente a sedere e non porre altre domande, poiché esse disturbavano l’ordinato andamento della lezione e in ogni caso erano del tutto fuori di luogo.

«Quando ritornai nella mia camera, presi l’atlante, mi misi a guardare le carte più da vicino e a studiarle principalmente in rapporto ai canali esistenti e ai canali che si potevano o si sarebbero potuti costruire. E, vedi, Holved, da quel giorno la geografia divenne per me la materia più interessante.»

«Ma di questo non mi hai mai fatto parola; perché?» chiese Holved.

«Perché avrei dovuto farlo? Tu non mi hai mai chiesto che cosa m’interessava di più a scuola, e nemmeno di che cosa mi occupo quando rimango a casa da sola.»

«Talvolta, quando sto a guardarti, Aslan, penso che ancora non ti conosco a fondo, e non ho nemmeno la più lontana idea di ciò che si agita nel tuo intimo», disse Holved, gettando uno sguardo investigatore non soltanto sul suo volto, ma su tutta la sua persona.

«Come vedi, i motivi che ho di occuparmi di questo progetto hanno radici profonde. Una volta portato dinanzi alla pubblica opinione, forse scuoterà fin nell’intimo le ideologie correnti, guaste e incurabilmente confuse, in cui noi oggi siamo irrimediabilmente incapsulati e che si occupano quasi esclusivamente delle prospettive di una guerra.»

«Aslan, tu parli magnificamente, davvero magnificamente. Non comprendo una parola di quel che dici in modo cosi sciolto e fluente. Ma amo infinitamente ascoltarti quando parli. Go on, my dear. Continua. Possiedi una voce che mi incanta sempre. È

così morbida, ha un tono così melodioso, come… come…»

«So che cosa vuoi dire. Melodiosa come il suono di un gong di puro bronzo, fatto con una ricca lega d’oro e d’argento e con l’aggiunta di una buona dose di quarzo purissimo. Lo so. So tutto. Dimmi qualcosa di più originale! Qualcosa che sia assolutamente nuovo. Ad esempio che mi ami da morire.» «Questo non è nuovo. È

vecchio di tre anni.» «Ma lo sai, Holved, che una donna non è mai stanca di sentirselo ripetere. Lo dici un milione di volte e la donna ti scongiura di dirglielo almeno ancora una volta.»

«Ebbene, te lo dirò una volta ancora: ti amo più che mai.»

Erano le stesse parole che Holved disse quando si congedò da lei all’aeroporto di Idlewild per partire in volo verso l’Indonesia.

Frattanto l ’Atlantic-Pacific Transit Corporation, come esigeva l’atto di garanzia, era stata legalmente registrata, e le sue azioni potevano essere trattate in Borsa.

Ma nessun’azione venne messa sul mercato, poiché quelle della prima emissione si trovavano già in mani sicure. Finché nulla era noto in pubblico dei progetti della compagnia, non era possibile aspettarsi che le azioni cambiassero di proprietà per scopi speculativi. In simili circostanze bisognava restare in attesa. Per il momento non c’era alcuna necessità di far registrare nuove serie di azioni per offrirle al pubblico. Ora nelle pagine riservate alle notizie commerciali di parecchi giornali di New York, Boston, Chicago, San Francisco apparve una breve notizia. Essa diceva che l’APTC aveva intrapreso la costruzione di un grande canale, che, come si poteva prevedere, avrebbe facilitato la navigazione in genere, ma soprattutto doveva contribuire a mantenere bassi i noli nonostante i costi in continuo aumento.

Chi leggeva questa notizia, ed erano esclusivamente uomini della finanza e dell’industria, si domandava anzitutto che cosa fosse l’APTC, ancora del tutto sconosciuta, e chi fossero i fondatori della compagnia. Questa gente era meno interessata a ciò che la società voleva. Essa era assai più interessata a sapere, se avrebbe potuto speculare con profitto sulle azioni. Altri, leggendo la notizia, pensavano, ammesso che a qualcosa pensassero, che si trattasse di un canale da costruire in una qualche parte del paese, probabilmente nella regione dei laghi del nord. Nessuno diede ulteriore importanza alla notizia, che compariva sui giornali ogni due settimane se non considerandola come riguardante una costruzione che doveva essere intrapresa e che, comunque, doveva essere di importanza locale e servire agli interessi di qualche gruppo di imprese industriali. Alla notizia venne data così poca attenzione che non pervenivano nemmeno domande di informazioni da parte di ditte fornitrici di materiali da costruzione per opere del genere.

Holved, benché molto conosciuto nei circoli industriali e finanziari e stimato come impresario serio e degno di fiducia, non si metteva in primo piano. Egli non amava mai sedere nelle poltrone di prima fila, nella vita degli affari e in società. Neanche i due suoi divorzi avevano suscitato clamore nel pubblico.

Con Aslan le cose erano andate diversamente. Ella era stata per giorni e giorni il

«fatto sensazionale», ogni qualvolta «la principessa americana delle eredità» entrava in possesso di un nuovo ingente patrimonio per via ereditaria. Sfuggire ai cronisti e ai fotografi dei giornali, le costava molta fatica; ma vi era sempre riuscita. Riusciva così bene a eludere le colonne giornalistiche dello stupido pettegolezzo salottiero che perfino il suo matrimonio con Holved era rimasto un suo segreto e probabilmente sarebbe rimasto tale per molto tempo.

Era quindi naturale che quando venne comunicato per telefono ai giornali più importanti che ella aveva da fare alla stampa dichiarazioni di grande importanza, più di una settantina di cronisti maschi e femmine si trovassero presenti a un ricevimento dato nella sala delle conferenze del Waldorf.

Il cocktail di champagne, eccellente, interessava certamente i giornalisti, che erano tutti capaci bevitori, ma molto di più essi bruciavano dalla voglia di sentire che cosa Aslan avrebbe loro comunicato.

I cronisti scommettevano fra loro, e non ne facevano mistero, che Aslan avrebbe finalmente reso noto con chi si era fidanzata e che il fortunato era senza dubbio uno dei cinquecento figli di imperatori, re detronizzati, duchi, principi e conti decaduti, che si offrivano in Europa a ventimila dollari la dozzina, al mercato libero.

Nemmeno una decina di cronisti sarebbero comparsi se avessero immaginato che Aslan avrebbe semplicemente fatto loro una comunicazione di puro carattere commerciale, buona soltanto come riempitivo. Ma il fidanzamento della «principessa americana delle eredità» era materia ghiotta da riempirne mezza pagina.

A Hollywood Aslan aveva imparato parecchie cose che in realtà non rientravano del tutto nella sua competenza di capufficio della supervisione. Presente molto spesso a riprese cinematografiche, in cui essa doveva correggere errori in fatto di costumi storici e di precedenze nei cerimoniali, vide e imparò molte cose interessanti, specialmente l’effetto di scena della prima attrice, un effetto che veramente in un istituto d’educazione per le figlie delle cinquecento prime famiglie del paese sarebbe stato giudicato plebeo, volgare e assolutamente sconveniente per una vera dama.

I giornalisti bevevano i loro cocktails come fosse stata acqua. Nell’atto che con la sinistra deponevano il bicchiere vuoto, ne afferravano con la destra uno pieno vuotandolo così in fretta che nel medesimo istante in cui il cameriere, dal volto profondamente mesto e serio come un accompagnatore funebre, si voltava, non restava che mezzo secondo per acchiappare dal suo vassoio un nuovo bicchiere.

Cocktail di champagne, e specialmente uno così eccellente fatto con del Madame Cliquot d’importazione, non era cosa di tutti i giorni, specie se offerto con tanta generosità.

Due giornalisti che parlano tra loro, si sentono a distanza di mezzo chilometro. Se sono tre, a due chilometri. Non passarono dieci minuti che il poliziotto privato dell’albergo apparve sulla porta per domandare atterrito quante ambulanze doveva chiamare urgentemente per trasportare i feriti.

Per tutta risposta gli venne offerto un cocktail, e ciò lo convinse che aveva a che fare con gente per bene e non con gangsters, i quali lo avrebbero accolto con la rivoltella in mano.

Sotto l’effetto sempre crescente dei cocktails, parecchi giornalisti, per natura pacifici, s’investirono coi pugni tesi rimproverandosi a vicenda di essersi fatti scrivere da altri certe corrispondenze e certi articoli e di averli venduti sotto il proprio nome. Ma in quel momento attraverso una porta, che fino allora era passata inosservata e ch’era stata spalancata da un uomo in livrea sprofondatosi in un inchino, apparve Aslan, con sulle labbra un sorriso, che il giorno dopo due cronisti descrissero «non essere di questa terra».

Per rafforzare l’effetto del suo ingresso, Aslan, restando alcuni secondi sulla porta spalancata, fece scorrere i suoi grandi occhi scuri sui presenti in modo che ognuno dei convocati credette in cuor suo che quegli occhi si fossero fermati su di lui e su nessun altro.

Come se tutti si fossero pietrificati, nella sala dominava un silenzio di tomba, che dopo l’assordante vocio e schiamazzo di poco prima, fece un effetto conturbante che durò per alcuni interminabili secondi.

Poi scoppiò uno strepitoso applauso che si ripeté più volte, prima che gli ammiratori si rendessero finalmente conto che non erano venuti per eleggere una Miss Universo, ma per ascoltare da Aslan chi avesse scelto, fra le centinaia di milioni di uomini celibi sopra i vent’anni viventi sulla terra, come suo futuro sposo.

Piegando lievemente il capo in tutte le direzioni e mantenendo il suo velato sorriso da Monna Lisa, che non lasciava trasparir nulla, Aslan avanzò di alcuni passi, circondata da una settantina di falsificatori della verità e inventori di calunnie, che agitavano in aria quaderni di appunti, matite e stilografiche con una tale espressione sul viso, come se fosse loro apparso Dio in una nube per annunciare nuove leggi.

Talker, uno specialista del pettegolezzo e delle storie piccanti, si fece strada avvicinandosi tanto ad Aslan da riuscire a sfiorare le sue forme in una maniera così studiata che Aslan, a causa della ressa, non poté accorgersene.

Barker, però, aveva osservato la bassa manovra di Talker e più tardi a quattrocchi gli disse: «Specialista nella tecnica del contatto?»

«Ognuno fa quel che può», replicò Talker, «se non riesci a fare al momento giusto l’operazione giusta, che uomo sei!»

«Talker, sei un maiale», continuò Barker.

Talker fece una smorfia con le labbra e grugnì: «Maiale e maiale. Sbagli nei nomi.

Il maiale è più educato dell’uomo, se vuoi saperlo».

Intanto il degno discendente di antenati patrizi, che un destino crudele aveva fatto diventare un cameriere, porse ad Aslan con l’inchino di un cavaliere della corte di Re Sole il vassoio d’argento, così abilmente, che ella non ebbe bisogno che di alzare la punta delle dita per afferrare il bicchiere. Il modo aristocratico di porgere tradiva la vera origine del cameriere, nato per svolgere questa mansione.

Aslan alzò il bicchiere pieno; toccando leggermente con chi le stava più vicino e lo vuotò in un solo sorso. Il dignitoso cameriere, che in dignità superava tutti i gazzettieri presenti presi insieme, si avvicinò ad Aslan, le porse il vassoio questa volta in modo tale che a lei bastò aprire le dita perché il bicchiere scivolasse sul vassoio, mentre nello stesso tempo eseguiva un inchino più profondo e ancor più degno di Re Sole.

«Ladies and gentleman of the press», disse Aslan rivolgendosi con voce calma ai suoi ospiti, e sembrava che fosse abituata a parlare due volte al giorno in assemblee come quella. « Ladies and gentlemen: la comunicazione che desidero è breve, chiara e inequivocabile. A qualcuno di loro sarà noto che io sono presidente dell’ Atlantic-Pacific Transit Corporation, da poco fondata, e che dato il numero delle azioni di questa società in mio possesso, influisco in modo determinante sui progetti e sull’attività della società stessa. La società, accettando le mie proposte, ha deciso di costruire un canale che dovrà unire l’oceano Atlantico con l’oceano Pacifico attraverso il continente nordamericano. Un canale che renderà superfluo il canale di Panama, per quanto riguarda la nostra nazione. Io invito tutti coloro che s’interessano a questo progetto, americani e non americani, a partecipare moralmente e finanziariamente a questo progetto utile e necessario per il benessere generale.

Questo, ladies and gentlemen, è (pianto avevo da dire. Ringrazio per la cortese attenzione e prego di gustare il cocktail. Grazie infinite!»

Detto questo, Aslan si ritirò rapidamente, senza fare rumore.

I giornalisti si guardarono in viso sorpresi. I fotografi sobbalzarono come se fossero punti da spilli, appena si accorsero di avere dimenticato di fotografare Aslan.

Tutto si era svolto troppo all’improvviso mentre i pensieri di ognuno erano rivolti al nome che Aslan avrebbe pronunciato come quello del suo fidanzato.

Tre persone con un salto acrobatico raggiunsero la porta, l’aprirono gridando dietro a lei: « And the engagement? E il fidanzamento? Quando ci sarà il matrimonio? Chi è l’infelice ragazzo, signorina Norval?»

La signorina Norval era già seduta in un tassì, che in quello stesso istante la portava via rombando.