CAPITOLO XIII
ASLAN, accompagnata dalla sua segretaria Amy, chiamò un tassì e si fece condurre all’albergo. Fece un rapido bagno caldo, si gettò sul letto, chiuse gli occhi e bandì dai suoi pensieri tutto ciò che potesse avere la minima attinenza con l’inchiesta senatoriale.
Quaranta minuti dopo, esattamente come Aslan aveva desiderato, Amy comparve al suo letto: «Signora, è ora. La colazione è servita.»
Aslan scelse un nuovo abito. Quando entrò nella sala di soggiorno, trovò Amy già seduta al tavolo, con davanti a sé un piatto con del rosbif e quattro specie di verdura.
«Peccato, signora, che non possa prendere un pasto così appetitoso. È eccellente, e io sono affamata come un lupo del Manitoba settentrionale in pieno inverno.»
«È stata mai nel Manitoba, Amy?» «Tre anni or sono. Ma d’estate. Era bello. Molti laghi. Molte zanzare. Abitanti simpatici. E il mangiare! Con ogni piatto che davano, avrebbero potuto sfamarsi quattro persone.»
Aslan guardava, osservava la grossa porzione di carne, da cui in quel momento Amy stava tagliando una robusta fetta, grondante d’un sugo rossiccio.
Sbirciando con avidità il piatto di Amy, Aslan disse: «Per questa sera, Amy, ordinerete per me la stessa portata. Ma per la colazione e in vista dell’agitato pomeriggio che mi si prepara all’udienza, preferisco non sovraccaricare il mio stomaco e accontentarmi della colazione d’ogni giorno, alla quale sono abituata».
In realtà era uno spuntino molto liscio per una giovane donna sana come Aslan, ch’era in piedi dalle sei del mattino: un uovo sodo, un panino imbottito con prosciutto e formaggio, tre foglie d’insalata, una pera, una banana, una mela e un grande bicchiere di latte.
«Ha telefonato al signor Beckford, Amy?» chiese Aslan togliendo il formaggio dal panino e mettendolo sul piatto per timore di riempirsi troppo.
«Sì, signora, mentre lei dormiva. Sarà puntualmente sul posto, come ha detto, col materiale da lei indicato nell’elenco per la seduta di questo pomeriggio.»
«Tenere in ordine il materiale e averlo pronto per il giusto momento, è ciò ch’egli sa fare molto bene. Anzi è l’unica cosa, per la quale sembra essere veramente utile.»
«Può darsi. Ma, sa, signora, ch’è veramente incorreggibile questo signor Beckford?
Durante l’udienza mi ha chiesto di nuovo se sono disposta a sposarlo, oppure, se proprio non voglio sposarlo, almeno gli conceda di pranzare con lui stasera.» «E lei, Amy, naturalmente ha risposto di sì.» «Ma non ci penso nemmeno. Non è il mio tipo.
Troppo grossolano per la mia sensibilità.»
«Troppo grossolano per la sua sensibilità?» Aslan la scrutò, evidentemente per scoprire che cosa intendesse con quelle parole. Ma Amy era troppo occupata col suo rosbif per pensare a una risposta.
«È proprio», disse Aslan, «il tipo, dal quale non si potrebbe ricavare nulla di più di un sergente dei marines e probabilmente nemmeno uno dei migliori. Non ha la minima idea a che cosa serve il cervello.»
«Però, signora, egli ha qualcosa del fanciullone. Si sente irresponsabile, qualunque cosa faccia o intenda fare. Vive alla giornata. Del domani non si dà alcun pensiero.»
«Può darsi. Da questo punto di vista non l’ho ancora analizzato. Me ne è mancato il tempo. E l’interesse. Può essere divertente per un quarto d’ora. Poi fa venire i nervi.
Ma per me e per i miei progetti è la persona più adatta che abbia potuto trovare.
Senza cervello, senza fantasia, senza idee. Un vero sergente istruttore.»
«Signora, temo sia tempo d’andare», disse Amy, mandando giù l’ultimo boccone con un sorso d’acqua.
Aslan si alzò stirandosi. «Mi sento come rinata. Il peggio è passato. Gli onorevoli mandarini mi ascoltano e mi lasciano dire. Questo è già un bel successo.»
Quando furono in tassi, Amy chiese con aria innocente: «Signora, crede di avere proprio convinto quei signori che la società è su basi sicure e che non esiste il più piccolo indizio di frode?»
«Amy», disse Aslan, consultando in uno specchietto il suo volto appena rinfrescato, «Amy, lei è una piccola creatura innocente. Non ha ancora capito che con questi onorevoli signori io sto recitando la più allettante e divertente delle commedie?»
«Che cosa intende dire, signora?»
«Propaganda, sciocchina. Eccoci arrivati. Paghi l’autista.»
Pochi minuti dopo, Aslan era nuovamente nella sala. Alcuni senatori si presero ancora un po’ di tempo per dare ascolto a postulanti e calcolare a mente quanto una promessa avrebbe fatto loro guadagnare e quali vantaggi personali poteva procurare anche una mezza promessa.
Le telecamere intanto trasmettevano il taglio del nuovo abito di Aslan, e alcune dozzine di attente spettatrici non sapevano fare di meglio che prendere nota con rapidi tratti di matita delle linee dell’abito che a loro giudizio era stato confezionato certamente a Parigi; infatti non s’era mai visto qualcosa del genere a New York. In realtà quella creazione celestiale proveniva da Vienna.
Presiedeva il senatore Drake. Quando vide Beckford che si dava da fare con carte, tabelle e diagrammi ricordò la seduta nella quale avrebbe quasi messo a terra Beckford se Aslan non fosse venuta in suo aiuto. Egli diceva tra sé: «Questo giovanotto mi è cordialmente antipatico. Non lo posso soffrire. Non mi ha fatto nulla, ma se potessi metterlo al fresco sei mesi per ’ mancanza di rispetto verso questa onorevole commissione forse potrei liberarmi dai miei crampi di stomaco. Che carattere impossibile! Ma dove l’avrà pescato! Penso che originariamente sia stato un fattorino della società, benché ella qui volesse farne uno dei capi. Ormai è troppo tardi. Gli ha dato il cambio al momento giusto. Ora è lui a far suonare l’organetto. E
come lo suona bene! Invece di avere paura di noi e tremare in tutto il corpo, siamo noi che dobbiamo incominciare ad averne paura. Una parola fuori posto e ci ha messi nella stoppa. Trenta, Dio, che dico, forse sessanta milioni di persone stanno a vedere e si prendono gioco di noi per il modo come questa ‘ principessa delle eredità ’ ci sa far ballare».
Il molto onorevole senatore Drake possedeva, come si vede da questo monologo, più saggezza e spirito d’osservazione di quanto se ne potesse supporre in un rappresentante del popolo.
«Signorina Norval», incominciò, «dimentichiamo gli altri canali, dimentichiamo i prezzi del frumento, del cotone, della canna da zucchero e del caffè! Dimentichiamo anche il Drainage Canal dell’Illinois e veniamo finalmente al canale che la società da lei fondata si propone di costruire.»
«Se sono stata fraintesa, prego, con tutto il rispetto dovuto all’onorevole commissione, di volermi scusare. Ma io non posso difendere con successo il nostro progetto senza confrontarlo con analoghi progetti che sono stati attuati.»
«Non crede dunque, signorina Norval, che il canale di Panama che ci appartiene e che attraversa una zona che pure ci appartiene, adempia completamente il suo scopo e renda perciò superflui altri canali?»
«Se il canale di Panama adempia completamente il suo scopo, è una domanda a cui fino a oggi non si è risposto.»
«Che interpretazione dobbiamo dare a quanto lei dice, signorina Norval?»
«Siccome il canale di Panama è di nuovo in discussione e lei, signor presidente, ha testé ricordato che esso attraversa una zona che ci appartiene, mi sembra di enorme importanza, tanto per l’inchiesta in sé quanto anche per la difesa del nostro progetto, di esaminare più a fondo questo problema. La questione insoluta se il canale di Panama abbia raggiunto effettivamente il suo scopo, forse obbligherà il nostro governo a esaminare se non gli convenga partecipare attivamente al nostro progetto.»
«Non le sembra di andare troppo lontano, signorina Norval?»
«Niente affatto, signor presidente.» Aslan mosse una mano e alle sue spalle apparvero la carta del Panama e tre tabelle con cifre.
«Onorevoli senatori, nelle cifre che qui citerò, sono compresi i costi per la costruzione del canale di Panama. Le somme che cito, sono semplicemente quelle di risarcimento, mercé le quali abbiamo cercato di conservarci l’amicizia e il benessere della repubblica di Panama.»
«Risarcimento, signorina Norval?» «Sì, somme di risarcimento. Più esattamente dovrebbero essere chiamate ‘mance’. Contiamole: il nostro governo ha pagato nel 1904 al Panama dieci milioni di dollari per il diritto di utilizzare la zona del canale.
Dal 1914, anno in cui il canale fu aperto al traffico, fino al 1936 il nostro governo ha pagato al Panama duecentocinquantamila dollari all’anno. In oro, aggiungo io.
Questo fa cinque milioni settecentocinquantamila dollari. Nel 1936 il governo di Panama pretese un aumento di questi indennizzi e così il nostro governo dal 1937 al 1955 pagò ogni anno quattrocentotrentamila dollari. Bisogna dire non più in oro.
Nell’anno 1955 il nostro governo si obbligò a pagare al Panama annualmente un milione novecentotrentamila dollari. Qui bisogna notare che prima della stipulazione del contratto del 1955 il Panama esigeva il pagamento di cinque milioni di dollari.
Oggi il Panama insiste già su un risarcimento annuo del cinquanta per cento dei profitti netti.
«Tutto sommato, onorevoli senatori, il nostro governo ha pagato al Panama dal 1904 circa trenta milioni di dollari. In questa somma non sono compresi venticinque milioni di dollari in oro, che il nostro governo ha pagato nel 1921 alla Colombia come risarcimento per la perdita del Panama, ch’era una provincia della Colombia prima che il nostro governo se ne impadronisse. Alla fine del 1960 noi avremo pagato dunque complessivamente per il diritto di utilizzare la zona del canale, all’incirca sessantaquattro milioni di dollari. Una somma veramente gigantesca per una striscia di terra poco fertile, larga sedici chilometri e lunga ottanta, di cui circa metà è acqua.
«E ora, onorevoli senatori, in considerazione di questa somma elevatissima che noi abbiamo
pagato
al
Panama
e
che
indubbiamente
aumenterà
ancora
considerevolmente, io domando: ha il nostro governo una qualsiasi garanzia che il Panama un giorno inaspettatamente e senza preavviso non ci chieda la restituzione della zona del canale? Chiederne la restituzione avanzando la pretesa indiscutibilmente legittima che questa zona è una parte inalienabile del Panama, e perciò: ‘Tutti gli stranieri, via dal Panama, e specialmente gli yankees ’?»
«Signorina Norval, le assicuro che questo non avverrà mai.»
«Non avverrà mai? Ne è proprio sicuro, signor presidente? Non commettiamo l’errore di negare questa possibilità. Noi non abbiamo alcuna durevole garanzia circa i nostri presunti diritti sul Panama. Nessuna garanzia e nessuna sicurezza, signor presidente. Ciò che fece l’Egitto alcuni anni or sono può benissimo ripetersi in qualsiasi momento nel Panama.»
«Mai, signorina Norval. Mai. Le condizioni sono sostanzialmente diverse e non possono in alcun modo essere paragonate a quelle del canale di Suez.»
«Prego volermi scusare, signor presidente, se sono d’altro parere. Le condizioni non sono affatto così diverse come può apparire a un esame superficiale.»
«Diverse o no, signorina Norval, noi sapremo difendere i nostri diritti acquisiti lealmente con una reciproca convenzione.»
«Naturalmente, signor presidente. Naturalmente. Noi invieremo le truppe del nostro corpo dei marines nel Panama, come le abbiamo mandate anche nel Nicaragua, quando avevano intenzione di costruire un canale attraverso quel paese.
Onorevole commissione senatoriale, l’America Latina, la nostra vicina che sta crescendo in maniera davvero preoccupante, non è più debole, sprovveduta, economicamente dipendente da noi, quale era quando il nostro governo commise l’errore imperdonabile di bombardare il porto messicano di Vera Cruz per poi occuparlo, e di commettere, tredici anni dopo, l’errore ugualmente penoso di tenere occupato per sei lunghi anni il Nicaragua, sostenendovi un dittatore e tiranno della peggiore risma fino al giorno in cui venne assassinato.
«L’America Latina, onorevoli senatori, oggi è una potenza di circa duecento milioni di uomini estremamente attivi, pervasi di un nazionalismo che da noi attecchisce a malapena soltanto in tempo di guerra.
«Facciamo l’ipotesi che la repubblica del Panama ci faccia capire che l’amicizia con noi, una amicizia imposta, sia finita, e che il nostro governo cerchi di sistemare la disdetta di questa amicizia ricorrendo al corpo dei marines, e avremo tutta l’America Latina contro di noi. In misura ancora maggiore di quando gli inglesi e i francesi ebbero contro di loro il mondo arabo, allorché tentarono di riconquistare il canale di Suez con l’aiuto di aeroplani, navi da guerra e carri armati. Noi non dobbiamo farci illusioni sui popoli dell’America Latina. Essi non ci odiano, questo è vero. Ma, nonostante tutti i bei discorsi e le reciproche visite d’amicizia, noi non siamo minimamente amati da loro. Uno dei motivi per i quali diffidano di noi è che il nostro governo sostiene e mantiene al timone ogni dittatore, per quanto sanguinario possa essere e quali che siano i sistemi tirannici con cui governa, fin tanto che esso serve gli interessi di certi nostri circoli, politicamente e finanziariamente forti. È il nostro governo che cerca di impedire con abili maneggi che i popoli dell’America Latina si uniscano, come fanno ora i popoli arabi. Si ha l’impressione che la parola d’ordine del nostro governo sia: tenere divisi quei paesi ed essi saranno più facilmente ligi ai nostri voleri e ai nostri interessi. E che
noi si possa contare, in caso di conflitto con l’America Latina, sul Canada, è cosa di cui io dubito molto.
«Sono passati i tempi, e oserei aggiungere, sono definitivamente passati i tempi, in cui gli errori politici potevano essere regolati con le armi. Se le armi siano mai riuscite in un qualsiasi luogo, in qualsiasi tempo, a decidere qualcosa che avesse un valore duraturo, è cosa da mettere grandemente in dubbio. Per parte mia non ricordo un solo caso in cui una guerra o un’occupazione militare o il decreto di un tiranno abbia maturato risultati che entro poche generazioni non siano andati nuovamente perduti, o in seguito a una nuova guerra o a causa di ribellioni e sommosse o attraverso l’abile sfruttamento di complicazioni politiche ed economiche. Osservino, signori, l’India, l’Indonesia, l’Indocina, l’Egitto, il Sudan, la Tunisia, il Marocco, la Libia, Cipro, l’Algeria. Ed è noto che anche gli Stati satelliti della Russia non rimarranno sempre come sono oggi. Nemmeno uno rimarrà così. Nessun sistema politico e nessun sistema economico, e nemmeno una delle religioni oggi esistenti prevarranno a lungo. Si tratta di fenomeni insiti nella natura dell’uomo. La storia dell’umanità non manca di metterceli sotto gli occhi. Ma sembra che noi non si voglia prestare agli insegnamenti della storia l’attenzione che meritano. Egoisti e ostinati, sconsiderati, gli uomini al potere si comportano come giocatori di roulette credendo di poter seguire la loro buona stella.»
Il senatore che sedeva alla destra del presidente, l’onorevole Clifford, gli toccò leggermente il bracciò per obbligarlo a rivolgergli lo sguardo. Il presidente fece cenno al senatore Clifford d’avere capito, prese il martelletto e picchiò energicamente sul tavolo.
«Signorina Norval, perché ci viene a raccontare tutto questo? Ciò non ha veramente nulla a che fare con l’argomento della nostra inchiesta.»
«Signor presidente, tengo in alto conto la sua interruzione, ma dichiaro apertamente che credevo gli onorevoli membri della commissione avessero già capito a che cosa miravo. Mi permetta comunque di spiegarlo in poche parole: supponiamo il caso che la repubblica del Panama, non soltanto il suo governo, ma anche il popolo del Panama, che in tutte queste faccende, dalle origini piuttosto oscure di quella repubblica fino a oggi, non ha mai potuto interloquire, si accorgesse di avere dei diritti inalienabili sulla sua terra e insistesse per la restituzione, che cosa accadrebbe allora, signor presidente? Terremo conto del diritto di autodecisione del popolo del Panama? Oppure i nostri marines imporranno ai panamegni il necessario rispetto dei cosiddetti ‘ sacri ’ trattati con le mitragliatrici, le baionette, e se proprio indispensabile, anche con le bombe atomiche? Io non sono profeta, onorevoli senatori, ma sono convinta da come le cose vanno in tutto il mondo, che fra non molto il nostro governo verrebbe a trovarsi a causa della zona del canale di Panama in condizioni veramente spiacevoli.»
«Signorina Norval», l’interruppe il presidente, «penso che non è nostro compito romperci la testa su complicazioni e difficoltà che probabilmente non interverranno mai.»
«Probabilmente mai, come lei dice, signor presidente. Ma il suo ‘ probabilmente ’
lascia aperta la possibilità che un giorno queste o simili complicazioni possano sorgere.»
Il presidente fissò Aslan con occhio assente. Evidentemente egli non sapeva che cosa doveva rispondere o domandare. Guardò l’orologio, confrontò l’ora con quello che pendeva alla parete, gettò uno sguardo sui suoi colleghi, picchiò col martelletto sul tavolo e disse: «La commissione ha deciso di aggiornare la seduta fino a lunedì, alle ore undici, alla quale ora l’interrogatorio verrà ripreso».
Picchiò ancora una volta sul tavolo. I presenti si levarono in piedi, e i senatori, seguiti da tutte le telecamere, scomparvero per consultarsi sulle domande del prossimo interrogatorio.
«Dio mio, come sono felice», disse Aslan volgendosi a Beckford. «Come sono lieta che la seduta sia stata aggiornata. Mi sentivo così esaurita che effettivamente non sapevo se sarei riuscita a ritrovare il nostro canale. Con le domande dirette, so cavarmela meglio.»
«Che cosa le occorre, signora, per lunedì?» chiese Beckford.
«Tutte le distanze del nostro progetto.» Anche Beckford era soddisfatto del rinvio.
Egli credeva che una delle assistenti in uniforme, che continuamente gli scodinzolava intorno, non fosse aliena dall’accettare un invito a cena. Forse, così pensava, avrebbe potuto più facilmente piegarla alle sue mire, offrendole un posto nel suo ufficio.
Aiutante segretaria o qualcosa di simile. Tanto lo stipendio non usciva dalle sue tasche.
L’assistente accettò l’invito. Ma giunta al suo albergo, gli disse in fretta: «Buona notte!» e scomparve.
E fu tutto.
Durante la cena ella l’aveva tenuto sulla corda. Forse, chissà, perché no? L’avrebbe invitato a salire nella sua stanza? Quel tira e molla gli aveva messo addosso mille fermenti. Che gli rimaneva da fare, se non correre dietro a una falena con abbondante scollatura e appartenente «alla migliore società», disposta a dimenticare per un momento l’intatta reputazione e mettersi d’accordo sul prezzo? Più spiccio e meno faticoso dei logoranti forse, chissà, perché no? Argomento decisivo in favore della falena: era più accomodante, più abile e, tutto sommato, costava molto meno.