Capitolo 60

Lucy contattò l’An Garda per spiegare loro i sospetti che aveva riguardo alla scomparsa di Annie Marsden. L’ispettore con cui parlò, un uomo dalla voce gentile, le promise che sarebbe passato a casa dei Marsden per controllare se Liam Tyler fosse un vero amico di Annie, o se fossero di nuovo davanti a un account fasullo.

Cooper stava lavorando sul pc di Bell con un hard disk esterno nero che aveva collegato al computer con un cavo usb. Borbottava tra sé, nel mentre.

«Che stai facendo?», gli chiese Lucy.

«Sto decifrando la password di Bell», spiegò lui. «Il sito deve avere in memoria la sua password, in modo che quando si collega, possa sapere che è lui. Viene fuori come una serie di asterischi. Questo programma che sto usando cerca di decodificarla usando ogni possibile lettera, cifra o simbolo per ogni asterisco».

«Come quando si apre una cassaforte?»

«Più o meno. Indovina ogni lettera ad alta velocità. Poiché stiamo usando il suo computer, l’username è stato completato automaticamente».

«Notevole», commentò Lucy.

«Ma lento», ammise Cooper. «Come sta il tuo ragazzo?».

Lucy annuì. «Non male», rispose, sentendosi avvampare le guance. Non capì se fosse per il pensiero di Robbie, o perché era stato Cooper a chiederle di lui.

Sullo schermo, la serie di sei asterischi lampeggiò, e il primo si trasformò in una l.

«È un inizio», mormorò Cooper.

Pochi secondi dopo, la password lampeggiò di nuovo, e il secondo asterisco divenne una o.

«Ora si comincia a ragionare», commentò lui. «C’è qualcuno, qui, che se la cava bene con le parole crociate?».

Lucy fissò la parola: lo****. Alcuni degli altri agenti si erano avvicinati al computer e osservavano lo schermo, alle spalle di Cooper.

«Lolita», suggerì uno di loro. Cooper provò, ma la schermata della password tornò vuota.

«Louisa», disse Lucy.

Cooper la guardò e annuì. Inserì il nome. Per un attimo non comparve nulla, poi la schermata cambiò, e comparve una serie di cartelle. Ognuna aveva sopra un nome diverso. Una di esse era denominata “Karen”.

«Apri quella», affermò Lucy.

Riconobbe alcune delle foto come parte della collezione ritrovata in casa di Gene Kay. Ce n’erano anche altre, tuttavia, in cui l’uomo che commetteva gli abusi si vedeva chiaramente in faccia. Lucy avrebbe voluto coprire Karen in ogni foto, nasconderla agli occhi degli agenti che guardavano lo schermo in silenzio, mentre Cooper controllava le foto.

«Dobbiamo proprio guardarle?», domandò.

«C’erano due case in cui venivano fatti gli abusi», le ricordò Cooper. «Sto cercando di capire se c’è qualcosa che possa aiutarci a identificare la seconda».

Lucy annuì. «Prova con Sarah», gli suggerì. «È stata lei a dirci che ricordava di essere stata in due case diverse».

Cooper tornò indietro e aprì la seconda cartella. Le immagini all’interno erano simili a quelle nella cartella di Karen. In una di esse, Lucy riconobbe Carlin. Ogni possibile pietà che poteva aver provato per la sua morte nell’Enagh Lough svanì all’istante.

«Ecco», disse di colpo Cooper.

Si fermò su una foto e, con un doppio clic del mouse, la ingrandì. Era stata scattata in una stanza diversa da quella che si vedeva nella gran parte delle altre immagini. Era più luminosa, con il letto su cui era distesa Sarah Finn posizionato accanto a una finestra. Cooper stava indicando qualcosa che si vedeva attraverso la finestra, in lontananza.

Sulla destra dell’infisso, quasi completamente fuori dall’inquadratura, c’era una 4x4 grigio metallizzato.

«È su una strada», disse uno degli agenti.

«No», lo corresse Cooper. «Guardate accanto alla macchina».

Lo spazio circostante era grigio, ma si vedeva chiaramente che si trattava di una distesa d’acqua, con le creste bianche delle onde appena visibili.

«Come potrebbe starci sull’acqua una 4x4?», domandò Cooper.

«Su un traghetto per le macchine», ribatté Lucy. «E ce n’è solo uno abbastanza vicino a Derry».

«Magilligan Point», annuì Cooper.