Capitolo 48

Tara Gallagher era nella sala operativa e stava lavorando a un rapporto, seduta davanti a un pc. I resti della sua cena erano sulla scrivania accanto a lei: un pacchetto di patatine ormai vuoto e una lattina aperta di Diet Coke. Era china sullo schermo e digitava usando un solo dito.

«Stai pensando a qualcuno?», le chiese Lucy.

Tara alzò lo sguardo. «Oh. Ciao», riuscì a tirare fuori, prima di tornare con l’attenzione allo schermo, imprecando a mezza voce e cancellando l’errore di battitura appena compiuto.

Lucy prese una sedia e si sistemò accanto a lei. «Tutto bene?»

«Sono bloccata qui a digitare maledette dichiarazioni di testimoni», rispose lei. «Tutti gli altri sono al lavoro su altre cose, e io sono bloccata qui a trascrivere questa merda. E metà degli appunti che mi hanno dato è illeggibile».

«Dov’è finito il resto del team?»

«Sono stati tutti riassegnati. C’è stata una serie di pestaggi, in città. Un ragazzo è stato picchiato, oggi pomeriggio, mentre andava al lavoro».

«La settimana delle feste di Natale», commentò Lucy. E si rese conto che non ci si era dedicata per niente.

Tara annuì. «Sai? Pensavo che avessi fatto la scelta sbagliata, ad andare nella ppu. Ma almeno, tu lavori a casi interessanti. Questa roba è alienante».

«È stato Burns?».

Tara annuì di nuovo, abbassando la voce e guardando furtivamente verso la porta dell’ufficio del sovrintendente capo, per essere sicura che nessuno fosse in ascolto. «È come un club di universitari. Devi avere la loro faccia, essere come loro. E la mia, di faccia, evidentemente non funziona».

«È perché sei troppo carina», commentò Lucy, ridendo. «Come potresti mischiarti a quegli scimmioni?».

Tara scoppiò a ridere a sua volta, mollando un pugno amichevole sulla gamba della collega. «Stronza», scherzò.

«Lo sai che dico davvero», replicò Lucy, contenta di essersi lasciata alle spalle il disagio che aveva provato nei confronti di Tara dopo che lei aveva fatto rapporto a Burns sul suo conto. Sapeva che la giovane detective stava facendo fatica a trovare il suo posto nel cid. Non aveva senso continuare a covare rabbia nei suoi confronti. «Allora, a cosa stai lavorando?»

«Dichiarazioni porta a porta per il rapimento di Sarah Finn».

«Ma ormai è tornata a casa», protestò Lucy.

«Dillo a lui», commentò Tara, amaramente. «A quanto pare, bisogna comunque confrontare tutte le testimonianze».

Lucy cominciò a controllare le carte ammucchiate sulla scrivania. «Il giorno in cui abbiamo arrestato Kay al Foyleside, qualcuno ha preso i nomi di chi era al ristorante. Li hai qui, per caso?»

«Li stai mettendo in disordine», la ammonì Tara, scostandole la mano con un gesto secco. «Sono in ordine inverso».

«In ordine inverso? Perché, vuoi renderti le cose più difficili di proposito?».

Tara rise. «Li ho tirati fuori dalla scatola così. Le testimonianze più recenti erano sopra. L’arresto di Kay c’è stato prima di queste dichiarazioni». Cercò tra le carte, tirando fuori, infine, una lista scritta a mano di nomi e contatti spillata a dei fogli con le dichiarazioni dei testimoni.

«Bingo», esclamò. Li posò sulla scrivania e sfogliò le pagine. «È stato Mickey a fare i controlli», dichiarò. Lesse la prima, breve dichiarazione, per poi passare alla seguente. «Santo cielo», borbottò. «Guarda che roba».

Lucy si chinò a leggere le dichiarazioni. La prima era di un insegnante cinquantacinquenne che era nel fast food per pranzo con la moglie e i figli.

Il testimone ha dichiarato di essersi accorto della presenza del sospetto quando il sospetto ha assalito un agente ed è scappato. Il testimone ha visto gli agenti inseguire il sospetto lungo il corridoio centrale del centro commerciale.

Quando Lucy girò la pagina per leggere la dichiarazione successiva, comprese il motivo della reazione di Tara. Era uguale alla precedente.

«Guarda l’orario delle dichiarazioni», riprese Tara. Lucy lesse i dettagli in fondo alle pagine. Le dichiarazioni erano state registrate a una decina di minuti di distanza l’una dall’altra.

«L’ha interrogati per telefono», commentò. «E ha copiato tutte le volte la stessa dichiarazione».

Tara si illuminò. «Quel pigro bastardo! Aspetta che lo dica a Burns», soggiunse, raccogliendo i fogli.

Lucy sollevò una mano, in un gesto pacato. «Non sarebbe ancora meglio se riuscissimo a dimostrare che il vero adescatore era stato interrogato da Mickey, e lui non si è preso neanche la briga di registrarlo?».

Sapeva che quello era un colpo basso nei confronti di Mickey, con cui non aveva particolari problemi. Tuttavia, ora che era arrivata così vicina alla lista dei nomi che le serviva, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Tara la consegnasse a Burns prima che lei avesse potuto studiarla a dovere.

Tara esitò, combattuta tra la voglia di incastrare subito Mickey e i benefici che avrebbe potuto ottenere se fosse stata capace di aspettare qualche ora in più per prendersi la sua rivincita.

«Diamo un’occhiata agli uomini con cui ha parlato, eh? Vediamo se esce fuori qualcosa di strano», suggerì Lucy.

Tara, sia pur riluttante, tornò a sedersi, posando le pagine sulla scrivania.

«Hai la lista dei nomi, innanzitutto? Sappiamo che il possibile sospetto era seduto con una donna e un bambino. Vediamo se ci sono dei gruppi di tre persone, con un uomo che ha un cognome diverso dalla donna e dal bambino seduti con lui».

Non fu così semplice, perché la lista dei nomi non era suddivisa per tavoli, quindi non si poteva determinare subito la composizione di ogni eventuale gruppo. Tuttavia, alla fine si ritrovarono con soltanto otto uomini che non condividevano il cognome con i gruppi familiari.

«Abbiamo le testimonianze di questi otto?», chiese Lucy. «Possiamo controllare anche le date di nascita e vedere se questo particolare può aiutarci».

Mettendo a confronto nomi e testimonianze, riuscirono a determinare che due degli uomini avevano più di quarantacinque anni. Quel particolare non li escludeva completamente, ma Sarah Finn aveva affermato che “Simon Harris”, come lo conosceva lei, era tra i venti e i trent’anni. Quattro degli uomini, in realtà, erano adolescenti, tra i quattordici e i diciotto anni. Quelli più vicini ai vent’anni non si potevano escludere del tutto. Degli ultimi due – Peter Bell e Gordon Fallon – il secondo, Fallon, aveva ventinove anni, mentre per il primo, Bell, non era stata registrata la data di nascita.

«Non ci ha parlato proprio», commentò Lucy. «Ha riempito il modulo senza neanche parlarci».

In realtà, Lucy poteva capire il collega. Kay era stato arrestato, ed era un pedofilo con dei precedenti. Perché perdere tempo con le testimonianze di persone che avrebbero comunque detto tutte la stessa cosa?

«Controlliamo i dati delle patenti di guida», suggerì ancora la detective. «Vediamo se le foto possono essere confrontate con l’immagine che l’ics ha ricavato dalle telecamere a circuito chiuso».

Tara contattò la motorizzazione civile, mentre Lucy metteva su il tè per entrambe. Quando tornò, le foto erano già state inviate. Entrambi gli uomini erano tra i venti e i trent’anni. Bell aveva venticinque anni. Entrambi erano piuttosto magri, nella foto della patente, entrambi avevano i capelli scuri, anche se le ombre sulle foto non facevano capire con certezza se fosse il colore naturale o soltanto un effetto della fotografia.

Secondo gli indirizzi registrati sulle due patenti di guida, Fallon era di Derry, nato e cresciuto nel quartiere di Creggan, mentre Bell era di Belfast. Tuttavia, quel giorno al Foyleside aveva dato all’agente un indirizzo del Waterside.

«Ti va di fare un giro?», chiese Lucy a Tara. «Potremmo andare prima da Fallon, che ne dici?».