Capitolo 14

La mattina dopo, Lucy andò al lavoro passando per Culmore Road. Il foglio che Robbie le aveva dato era aperto sul sedile del passeggero. La casa era su Petrie Way, in una zona piuttosto ricca della città. Joe Quigg era l’unico sopravvissuto all’incendio che aveva ucciso Mary e sua madre. Non avendo più una famiglia, era stato affidato a una coppia, nella speranza che qualcuno lo adottasse. Lucy aveva chiesto a Robbie, quando ancora erano insieme, i dettagli della famiglia a cui era stato affidato, ma al tempo lui non glieli aveva voluti fornire. Che adesso glieli avesse dati faceva capire quanto si sentisse in colpa con lei.

La casa era una villetta a due piani, con una falsa facciata Tudor. Una 4x4 grigio metallizzato era parcheggiata sul vialetto e dietro di essa si intravedeva una più compatta Ford. Lucy avrebbe voluto solo dare un’occhiata e passare oltre, ma quando si trovò di fronte alla casa, finì per parcheggiare sul bordo del marciapiede, poco più avanti, per poi girarsi a esaminarla meglio.

Proprio in quel momento, la porta d’ingresso si aprì e un uomo in completo elegante ne uscì, con una busta di plastica in mano che doveva contenere il suo pranzo. Doveva aver passato da poco i trent’anni, considerò Lucy. La moglie comparve sulla porta, con addosso un paio di jeans e una T-shirt bianca. Teneva in braccio un bimbetto. Lucy si sentì stringere la gola, mentre Joe sollevava un pugnetto e si sporgeva verso l’uomo, come se volesse farsi prendere in braccio da lui. Era poco più che un neonato, l’ultima volta che l’aveva visto. Era cresciuto molto, in un anno. L’uomo gli si avvicinò e lo abbracciò, per poi mettersi al volante della 4x4, mentre Joe si metteva a piangere, e la donna lo coccolava, cullandolo dolcemente.

Mentre Lucy guardava la donna e il piccolo rientrare in casa, il marito la superò, alla guida della 4x4, e la fissò come se avesse capito che stava osservando la sua famiglia.

Tom Fleming non era in ufficio, quando lei arrivò, né le aveva lasciato un messaggio per farle sapere dove fosse. Il telefono, comunque, stava squillando nell’ufficio principale, e Lucy corse a rispondere.

«Posso parlare con Tom Fleming, per favore?». Era una voce femminile, giovanile, dall’accento inglese.

«Temo di no», rispose Lucy. «Non è qui, al momento».

«Sa dove sia?»

«Temo di no», ripeté lei. «Posso esserle d’aiuto?»

«Sono della Euro Security. L’allarme del signor Fleming ha registrato un intruso in casa sua. Lei per caso ha le chiavi?»

«Posso dare un’occhiata. Me ne occuperò io», rispose Lucy, per poi attaccare.

Era già sulla strada a due corsie che conduceva verso casa di Fleming a Kilfennan quando si rese conto che forse avrebbe dovuto chiedere a qualcuno di accompagnarla, in caso ci fossero davvero degli intrusi nell’abitazione. Si confortò pensando che, se Fleming fosse stato lì, avrebbe fatto scattare lui stesso l’allarme. Decise di raggiungere l’indirizzo. Se ci fosse stato bisogno di supporto, avrebbe chiamato i rinforzi, a quel punto.

Quando si fermò al lato della strada, sentì lo stomaco stringersi in una morsa. L’auto di Fleming, a cui era stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, era parcheggiata sul vialetto, come si aspettava. L’allarme continuava a suonare, con la sirena blu sul davanti della casa che lampeggiava.

Nessuna delle finestre sul davanti sembrava essere stata forzata, e neanche la porta, sebbene tutte le finestre avessero le tende tirate. Lucy si spostò sul lato dell’edificio, superando la bassa recinzione intorno al giardino sul retro. Sbirciò oltre la finestra della cucina, usando la mano inguantata per farsi scudo dal riflesso del vetro.

La porta della cucina dava su un corridoio, a destra del quale si intravedevano le scale che portavano al piano di sopra. Mentre Lucy stringeva gli occhi per guardare meglio, le sembrò di vedere qualcosa, in fondo al corridoio, ai piedi delle scale. Spostandosi leggermente, riuscì infine a individuare una figura stesa in fondo ai gradini.

Prendendo il cellulare, chiamò subito un’ambulanza. Bussò forte alla porta sul retro, più volte, avvicinandosi alla finestrella e gridando il nome di Fleming, ma il corpo sdraiato sul pavimento non si mosse.

Infine, andò a cercare un sasso tra le aiuole incolte che circondavano il giardino. Con quello, ruppe il vetro della porta sul retro e, allungando una mano protetta dai guanti che usava al lavoro, aprì la serratura ed entrò in cucina.

Tom Fleming era steso a faccia in giù nel corridoio, con la parte inferiore del corpo ancora sui gradini da cui era caduto. Una pozza di vomito gli si allargava intorno alla testa, appiccicandosi ai capelli e alla pelle. Lucy si sfilò i guanti e gli posò una mano sulla guancia. Aveva la pelle umida di sudore, il respiro che puzzava di vomito e alcol.

«Ispettore Fleming», sbottò, scuotendolo. «Tom!».

Lui mugolò, ma non si svegliò dal torpore. Il suono acuto dell’allarme esterno era stato sostituito da un intenso cicalio elettronico, così alto da farle fare una smorfia.

Lo colpì sul viso con qualche leggero schiaffo, continuando a chiamarlo per nome. Infine, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a svegliarlo in quel modo, corse in cucina, riempì una caraffa di acqua fredda, tornò da lui e gliela rovesciò in testa.

L’effetto fu istantaneo. L’uomo si scosse, svegliandosi di colpo e guardandosi intorno, confuso e stordito. Vide Lucy in piedi di fronte a lui e tentò di metterla a fuoco, o di capire forse cosa ci facesse in casa sua.

Schioccò le labbra e sembrò sul punto di parlare. Ma poi si girò e vomitò di nuovo sul tappeto, con la schiena che si inarcava a ogni conato.

Lucy sentì la sirena dell’ambulanza in avvicinamento, oltre il rumore di fondo dell’allarme.

«Qual è il codice dell’allarme?», gli chiese.

Fleming alzò lo sguardo su di lei, per poi riabbassarlo precipitosamente, in un ultimo conato a vuoto. Finalmente tentò di rialzarsi, senza capire che aveva ancora i piedi sulle scale.

«L’allarme, signore», ripeté Lucy. «Qual è il codice?»

«Uno, due, tre, quattro», riuscì a gracchiare l’ispettore.

E per fortuna i poliziotti sarebbero dovuti essere attenti alla sicurezza, considerò Lucy.

Era appena riuscita a inserire il codice e a far tacere la sirena, quando quella dell’ambulanza si fece più vicina, e poi tacque bruscamente. Notò i lampeggianti blu attraverso le tende della porta principale. Le aprì, girò la chiave lasciata nella serratura e spalancò il battente, alleggerendo l’aria soffocante del corridoio con un’ondata di luce e brezza fresca.

«C’è un agente a terra?», domandò il paramedico, entrando in casa e notando subito Fleming.

«Ho pensato che fosse ferito, quando l’ho visto da fuori», spiegò Lucy. «Ma non credo sia grave come temevo».

Il paramedico gli si avvicinò. «Signore?», chiamò. «Riesce a sentirmi?».

Fleming mugolò qualcosa e tentò di nuovo di rialzarsi.

«È arrabbiato?», domandò il paramedico a Lucy, incredulo.

Lei annuì, mentre Fleming borbottava la sua disapprovazione.

«Mi dispiace», mormorò la detective. «Pensavo che fosse… ha capito, no? Ho guardato dentro e ho visto…».

«Gli daremo un’occhiata», assicurò l’uomo. «Potrebbe essersi fatto male cadendo». Tornò a rivolgersi a Fleming. «Signore, la aiuteremo a rialzarsi, d’accordo?».

Fleming mugugnò qualcosa, ma l’uomo gli si avvicinò e, afferrandolo sotto le ascelle, lo rimise in piedi.

«Si sieda un attimo qui, e chiamerò qualcuno per aiutarla», continuò il paramedico, facendo sedere l’ispettore sull’ultimo gradino della scala.

Fleming si afflosciò lì, per poi appoggiarsi di lato contro il muro. Era pallido, l’ispido accenno di barba grigio sporco di vomito.

«Sta bene, Tom?», domandò Lucy, superando con un passo la pozza sul pavimento e posandogli una mano sulla spalla.

Lui la fissò con aria di rimprovero. «Perché diavolo li hai chiamati?», le chiese.