Capitolo 56
«So che è lui», dichiarò Lucy, dopo aver spiegato a Cooper perché non serviva più che controllasse i computer in casa di Bell.
Lui stava risalendo Limavady Road, e rallentò prima della rotonda del Foyle Bridge. «Burns però ha ragione, lo sai», le fece notare.
«Questo non mi fa sentire meglio», borbottò lei. «Siamo così vicini ad arrestarlo. Dobbiamo soltanto ricostruire gli ultimi tasselli del mosaico».
«Prova a fare un passo indietro», le suggerì Cooper. «Dimenticatene per un po’. Sarà la tua mente a risolverlo, non appena smetterai di dedicarvi tutta l’attenzione. Prenditi una serata libera».
Lucy sbuffò, pensando che stesse scherzando. «Gavin lo sta cercando», riprese. «Scommetto quello che vuoi che è stato lui a provocare quel litigio, stanotte. È andato a casa sua ad affrontarlo».
«E come faceva a sapere chi era?», le chiese Cooper.
«Cosa?»
«Come faceva Gavin a sapere chi era?».
Lucy si strinse nelle spalle. «Non lo so», mormorò. «Sapeva che Karen vedeva qualcuno, nelle settimane prima della sua morte. Forse lei gli ha rivelato il nome di Bell».
Cooper annuì. Oltrepassarono il Gransha Hospital, che sfilò alla loro destra. Lucy si guardò alle spalle, sentendosi in colpa per non essere più tornata a trovare il padre.
«Cosa ti è successo?», le chiese Cooper. Sollevò la mano dalla leva del cambio, sfiorando con attenzione le dita fasciate di Lucy, per farle capire ciò che intendeva.
«Ho avuto un incidente», spiegò lei, arrossendo mentre si chiedeva perché non gli avesse detto la verità. Perché non gli avesse detto di Robbie. Una nuova ondata di sensi di colpa la afferrò quando si rese conto di non aver chiamato ancora l’ospedale per sapere come stava.
«Stai pretendendo troppo da te stessa», le fece notare Cooper, indugiando per un attimo ancora con la mano su quella di lei, prima di andare a cambiare marcia. «Dovresti prenderti una pausa».
«Dovrei prendermi una tazza di tè», lo corresse Lucy.
«Non ho latte», la avvertì lui. «A meno che non ne abbia tu nell’ufficio della ppu».
«Forse sì», rispose Lucy. Era Fleming quello che di solito riforniva l’ufficio di latte e biscotti. Lei non sapeva neanche se lo facesse di tasca sua. Non aveva mai pensato di chiederglielo.
«E allora avrai il tuo tè», la rassicurò Cooper, superando i cancelli della stazione di polizia e accennando un saluto all’agente di guardia all’entrata.
L’edificio sembrava freddo e triste, senza Fleming. Le luci erano spente, le stanze buie. Lucy accese l’interruttore principale e condusse Cooper verso la cucina.
«Stavo aspettando un fax», spiegò poi, ricordando che le scuole le avevano promesso una lista degli eventi accaduti nelle settimane precedenti al primo contatto di Karen e Sarah con “Bradley”. O “Harris”. O Bell.
Quando raggiunse il suo ufficio, Mary Quigg la fissò in silenzio dal suo spazio nella bacheca sul muro. Il fax era ancora acceso, e diverse pagine stampate erano ammonticchiate nel cassetto alla base della macchina. Le controllò. Alcune erano foto di persone scomparse inviate da altri distretti: perlopiù bambini scappati da case famiglia, genitori adottivi, o semplicemente da casa. Allegate alle foto c’erano le solite richieste di stare all’erta. Molte venivano dall’Inghilterra o dalla Scozia, ma una era dell’An Garda Síochána, la polizia irlandese. Una ragazzina di quindici anni di nome Annie Marsden, scomparsa dalla casa famiglia in cui viveva a Stranorlar. Qualcosa, nel nome dell’adolescente, le sembrò familiare, anche se Lucy non riuscì a dare un contesto a quella sensazione. In ogni caso, mise da parte quel fax per ricordarsi di mandare un annuncio a tutte le unità in servizio, considerando la vicinanza al loro distretto.
Infine, Lucy trovò la lista delle due scuole. Quella di Karen le aveva già fornito una lista degli eventi avvenuti nella settimana precedente alla richiesta di amicizia di “Bradley” su Facebook, ma con quel fax le aveva inviato anche tutti i dettagli riguardanti ciascuno di essi, comprese le persone coinvolte. La segretaria aveva anche aggiunto una nota sul fondo della pagina, facendole sapere che erano stati fatti tutti i necessari controlli preventivi, prima di far entrare chiunque in contatto con gli alunni. E poi, Lucy sapeva che qualcuno del cid aveva controllato la scuola di Karen, e qualsiasi irregolarità sarebbe venuta fuori in precedenza.
Controllò subito dopo la lista degli eventi della scuola di Sarah Finn. Era decisamente più lunga, e sembrava quasi il calendario degli appuntamenti di tutto un semestre, invece che quello della sola settimana precedente al primo contatto con l’adescatore. Mentre Lucy la controllava, un unico nome le balzò all’occhio. Un nome comparso anche sulla lista della scuola di Karen: Country Photographers.
La detective si sedette alla scrivania e chiamò la scuola, chiedendo di parlare con la segreteria. Se gli istituti scolastici erano anche solo lontanamente come le stazioni di polizia, chi lavorava nell’ufficio più a contatto con il pubblico avrebbe avuto più sotto controllo ciò che succedeva nella scuola rispetto a chiunque altro.
Dopo che si fu presentata, la donna che le rispose, e che disse di chiamarsi Rose, la interruppe. «Le ho già mandato la lista che aveva chiesto».
«Lo so. E la ringrazio», rispose Lucy. «Ma volevo farle qualche domanda sul Country Photographers».
«Sì?», replicò la donna, lentamente.
«È uno studio nuovo, che collabora con la scuola?»
«Santo cielo, no. Collaborano con noi da anni. Perché?»
«E immagino che siano stati accuratamente controllati, prima di firmare un contratto con voi».
«Certo», rispose Rose. «Perché, di cosa si tratta?»
«Dove posso trovarli?», chiese Lucy.
«Non ha un elenco telefonico?», scattò Rose. «O un computer?»
«Ho una penna», controbatté la detective. «Pronta a scrivere un indirizzo che, ne sono sicura, conosce a memoria».
Ci fu un attimo di silenzio, poi la donna le diede l’indirizzo in tutta fretta e attaccò.
Cooper era seduto sul divano della sala interrogatori a bere il tè. Una seconda tazza era posata sul tavolo, il latte che sembrava essersi cagliato sulla superficie del liquido.
«Temo che il tuo latte sia andato a male», le fece sapere lui, quando la vide scendere le scale.
«Ti va di darmi un altro passaggio?», gli chiese lei, tendendogli i fax. «Ho la macchina fuori uso».