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«Inizio a non capirci veramente nulla».
«Non è che ci abbiamo mai capito un granché, però una cosa è certa: i conti non tornano, e se i conti non tornano, vuol dire che non abbiamo tutti i numeri».
«Andiamo da Mariolino, dobbiamo parlargli e raccontargli di Simonetti e Vicentini».
«Sì, ci servono alleati lucidi, io non mi fido più nemmeno delle mie palle».
Il fuoristrada tornò sull’asfalto, verso San Buono.
«Cosa c’entra tutto questo con Khanysha?» «Ancora non lo so, ma mi sembra sempre più improbabile che non la riguardi».
«Perché? Voglio dire, non ci trovo una connessione logica».
«è proprio quello che ho intenzione di scoprire».
Il pomeriggio avanzava e ormai eravamo arrivati in paese. Ci avviammo in questura alla ricerca di Mariolino. Lo trovammo nel suo sgabuzzino intento a ordinare uno schedario.
«Ciao ragazzi, che brutte facce avete».
«Prenditi il pomeriggio, ti dobbiamo parlare».
«Ahia...». Mariolino lasciò gli schedari aperti e, sbattendo di qua e di là, riuscì a venir fuori dalla trappola a incastro che era il suo ufficio.
Tutti e tre salimmo sul fuoristrada avviandoci verso casa mia. Scendemmo portandoci dietro la sacca e lo zaino. Aperta la porta, Huan non fece nemmeno per salutarci, scorrazzò fuori con entusiasmo. Poggiammo le valigie sul tavolo di legno, Drug Machine prese tre birre e io aprii la sacca rivelando le armi che conteneva. Mariolino strabuzzò gli occhi celesti e la sua faccia prese una piega di meraviglia e paura.
«Non mi piace molto questa storia».
«Credimi, è lontana anni luce dal piacere anche a noi». E gli raccontammo di Bonnie e della festa a cui dovevamo presentarci armati fino al midollo, di Adelina che aveva accudito Khanysha e del ricettario pieno di calmanti ed eccitanti che avevo trovato nel doppiofondo del cassetto di Gasparri, poi gli dicemmo di Simo-netti e Vicentini. Alla fine del racconto, il tramonto colorava le pareti di arancione, mentre la faccia di Mariolino aveva raggiunto un punto di verde indecifrabile.
«Avete pestato di botte il commissario?» «Hai sentito quello che ti abbiamo detto? è corrotto e ha coperto Vicentini, almeno due volte».
Mariolino mi fissò.
«Le ha palpato il sedere», aggiunse Drug Machine.
«Il commissario...».
«Lo stesso che ha rilasciato Vicentini dopo il tentato stupro».
«è per questo allora che l’ha lasciato andare in fretta e furia dopo che ti ha aggredita. Altro che questura di Roma e ordini dall’alto, si stava parando il culo. Ragazzi, posso pure perderci il distintivo, ma mi sa che la giustizia stavolta non porta la divisa».
Annuimmo.
«Però non sottovalutate Simonetti, è uno stronzo vendicativo. Il fatto che l’abbiate ridotto male può costarvi caro...».
«Sinceramente, mi spaventa di più una verruca che quel palle mosce».
«Be’, almeno sapete che dovete buttarvi un occhio alle spalle. Che facciamo ora? Come ci organizziamo?». Mariolino si passò una mano sulla fronte, liberandola dal sudore.
«Aspettiamo che Bonnie si faccia viva».
«Non avete nessun modo per rintracciarla?» «No, è molto prudente, ma non credo che tarderà a farsi sentire».
«Siete stati bravi a condurre le indagini. Cazzo, quasi come due professionisti».
Le birre erano diventate calde e comunque ne avevamo bevute già troppe. Tagliai spesse fette di ventricina e un po’ di formaggio. Mariolino sembrava sconfortato e io ero molto confusa, Drug Machine era entrato in un loop di rutti da campionato mondiale.
«Come sta Lorri?» «È la solita mina vagante, fin quando è in mezzo al bosco comunque puoi dormire tranquillo, va solo a caccia di animali».
«A giudicare dalle armi che vi ha dato, è bello carico».
«Sì, le sue passioni sono immutate».
In quel momento bussarono alla porta. Drug Machine prese la sacca per nasconderla, io andai ad aprire.
«Lu’, che piacere vederti».
«Ciao Danny, ciao Mariolino, come va?».
Mariolino abbozzò un sorriso poco convincente, senza riuscire a risponderle. Luciana entrò in casa e si accomodò senza aspettare un invito formale. L’aria nella stanza era pesante come un pachiderma, ma lei non se ne accorse, era presa dal suo mondo e concentrata sul motivo della sua visita.
«Sono venuta per salutarvi, ragazzi. Penso sia giunto il momento di tornare a casa mia. Come si dice, dopo un po’ l’ospite è come il pesce: inizia a puzzare».
Drug Machine, a capotavola, la guardò con affetto.
«A me piace la tua puzza».
«Andiamo, lo sappiamo tutti e due che è meglio salutarci».
«Non hai più paura di trovare Gamba di legno a casa tua?» «Non chiamarlo così», sorrise in un rimprovero bonario, del tutto ignara delle nostre preoccupazioni.
«Gli ho detto che se lo trovo a casa mia, faccio una lunga telefonata a sua moglie. Gli ho anche ricordato che gli costerà una bella quota di alimenti. Non l’ho più sentito da allora, è stato... liberatorio».
«Sono contento per te, meriti di meglio».
«Forse me lo sto facendo scappare, il meglio che posso avere, ma ho proprio bisogno di tempo per rimettermi in piedi». Lu’ si alzò, tirandosi su i jeans e in giù la canottiera, inclinò la testa da un lato e sorrise.
«Non mi abbracci?».
Io e Mariolino seguivamo intontiti, come se stessimo guardando un reality in TV, senza sentirci a disagio o di troppo. Drug Machine si alzò, facendo pressione con le mani sul tavolo, a passi lenti e pesanti si avvicinò a Lu’ e l’abbracciò forte, sembrava intenzionato a non lasciarla più andare via.
«Dai, non fare così, non è mica un addio».
Di questo non sarei stata tanto certa, visti gli impegni che avevamo preso per l’immediato futuro, ma lei non poteva saperlo. Drug Machine alla fine mollò la presa.
«Stammi bene Lu’, e non pestare più merde così grosse, ok?» «Sembro una calamita per gli uomini-merda, presenti esclusi ovviamente, comunque starò attenta. Alla prossima, allora».
Drug Machine sorrise, triste.
«Sì, alla prossima».
Lu’ se ne andò, lasciandoci al nostro clima funereo, ormai incapaci di parlare. Ognuno era perso nei propri pensieri, che, ne ero certa, erano simili. Ci stavamo infilando in un vicolo cieco, pensare a quello che ci teneva legati alla vita era una cosa che mi parve naturale. Una cosa che ci avrebbe dato forza al momento opportuno. Ora la notte era nel pieno del suo buio, e i nostri ricordi ci riecheggiavano dentro come preghiere mantriche, in me riecheggiava il nome di Khanysha accanto alla chimera di rivederla rediviva e salva.