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La mattina era iniziata con delle ciambelle piene di zucchero e caffè della moka. Io e Mariolino aspettavamo nella mia cucina l’arrivo di Drug Machine per avviarci verso Pollutri, il paese dove abitava il grafologo.
Mariolino fumava una delle sue nazionali, io guardavo fuori dalla finestra della cucina, Huan era nella campagna sottostante con i suoi amici bastardi, rognosi e indegni, ma a lui piacevano, quindi...
«Sicura di non volermi mettere al corrente, Danny?».
Lo guardai. Nonostante il sole che arroventava il paese da almeno una cinquantina di giorni, Mariolino preservava il suo colorito verdognolo.
«Ma non volevi smettere di fumare?» «Tutti i fumatori vogliono farlo. Ogni sera mi addormento deciso a smettere e ogni mattina, dopo il caffè, neanche me ne accorgo che sto fumando una sigaretta».
«Non hai un gran colorito».
«Tu invece sei molto abile a cambiare argomento».
E tirò una boccata di fumo grigio, denso e stantio. Mi misi la mano in tasca e gli lanciai il fazzoletto che mi informava della resurrezione problematica di Khanysha. Lo afferrò, lo lesse e si levò il berretto da sbirro.
«Un’estorsione, questi vanno in galera, dai tre ai sei anni».
«Anche lo stupratore doveva finirci per un bel periodo. Questa la gestiamo a modo mio». Mariolino abbassò la testa e serrò la mandibola. Ero un’infame, ma che potevo farci? Gli raccontai della storia di Gasparri, dell’incontro con Bonnie, del mezzo dente, dei cinquemila e dei trentamila.
«Se non ci stai, ti capisco, non sentirti obbligato, io però voglio andare fino in fondo».
«Non è una novità la storia che mi hai raccontato, sono cose che succedono di continuo».
«A San Buono succede di continuo di fare multe a chi fuma nei locali, non succedono di continuo estorsioni e ricatti».
Posò i gomiti sulle ginocchia e i pugni sulle ossa degli zigomi. Sembrava avere dodici anni, mi sentivo piuttosto cattiva.
«Hai parlato molto chiaramente. Siamo nella stessa squadra, sono con voi, ma sappi che questa storia mi può costare il distintivo».
«Non devi starci per forza. Ora che mi dici che potrebbero licenziarti, non me la sento nemmeno di chiedertelo».
Alzò la testa per guardarmi, eravamo amici da molto tempo. Il suo sguardo era piuttosto triste, simile a quello di Drug Machine quando aveva realizzato che non avrei mollato la presa su questa storia.
«Mi piace quello che faccio, insomma lo sai, era il lavoro di mio nonno, poi di mio padre e ora mio. Mio padre è stato molto orgoglioso quando sono entrato in polizia, c’eri anche tu e l’hai visto. Ma ho iniziato a fare il piedipiatti perché mi è sempre piaciuta l’idea di aiutare i buoni a lottare contro i cattivi, non per gestire una diatriba fra fumatori e non fumatori. Il tuo non sarà il modo più ortodosso di agire, ma capisco che dopo la storia dell’aggressione tu abbia perso fiducia nella polizia... In me».
Mi sedetti davanti a lui. Lo guardai con un certo dissenso.
«Non ho perso fiducia in te. Sono solo stata un pochino stronza, e volevo coinvolgerti, perché sei lo sbirro migliore che conosco».
«Sono l’unico che conosci, Danny».
«Questo la dice lunga». Ci sorridemmo, ci alzammo e mi venne da abbracciarlo.
«Interrompo qualcosa di motruoso fra voi due?» «Drug Machine, smettila di entrare così».
Afferrò una ciambella e sorrise, soddisfatto di sé. Nel tragitto da San Buono a Pollutri aggiornammo Mariolino sulle varie ipotesi che avevamo buttato giù. Arrivammo che il sole era già sull’asse del mezzogiorno.