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A mano a mano che l’acqua calda scorreva, mi sentivo tornare le forze. Non riuscivo a smettere di farmi domande. Forse Drug Machine aveva ragione e io non ero altro che un facile bersaglio, al momento ero pure debilitata. Probabilmente qualcuno del paese che aveva saputo del tentato stupro stava provando a fare il furbo... Tutte le ipotesi che mi passarono nell’anticamera del cervello durante la doccia non mi levavano quella sensazione nuova che mi si era annidata sotto pelle, una sensazione pericolosa per una nei miei panni. La speranza, una volta che ti si insinua dentro, può crescere esponenzialmente, diventare metastatica e farti credere reali cose improbabili. E quando la realtà, presto o tardi, si rivela in tutta la sua tristezza, al posto della speranza resta un vuoto a perdere. Ti accorgi di avere in mano delle armi di cartone e non riesci a capacitarti di come le tue promettenti illusioni si siano tramutate in un bel cazzo di niente. Ma una cosa era certa, in quel momento ero nella fase migliore, avevo la sensazione di una dinamo incandescente dentro le vene.

Ma la speranza e le domande che mi prudevano dentro non potevano darmi le energie di cui avevo bisogno. Uscii dalla doccia per entrare nel mio accappatoio verde bottiglia, due taglie più grande della mia. Di fronte allo specchio, passai la mano per levare la patina di condensa creatasi con il vapore, il mio volto era ancora gonfio ma almeno mi riconoscevo. Avevo vari tagli sulla fronte, che troneggiavano su un unico, grosso bernoccolo, sotto il labbro inferiore avevo un gonfiore livido, mai scuro quanto l’ematoma sulla coscia. Mi chiesi come sarebbe stata Khanysha se fosse stata ancora viva, se ci saremmo assomigliate, che donna sarebbe diventata, se l’Africa era rimasta anche dentro di lei, come una ferocia espansa e passita, pronta a rivelarsi... Khanysha.

«Ho preparato le uova, scendi».

«Sì, ho fatto».

In cucina Huanito era tutto intento a leccarmi le gambe, adora il momento in cui esco dalla doccia, tutta profumata di sapone... In realtà, adora il sapone. Una volta, aveva ingoiato una saponetta intera. Eravamo a spasso e lui aveva iniziato a emettere dei singulti fino a quando non l’aveva rimessa insieme a una schiuma verdastra.

«Oggi devo aprire il bar, e tu devi recuperare le energie».

«Mi sento debole ma non so se riuscirò a starmene buona».

«Ti ho portato questa per la fronte».

Prese un piatto sul quale era posata una bistecca cruda alta cinque centimetri.

«Vedrai, i vecchi metodi funzionano sempre».

«Huanito, via! Sbava da far schifo!».

«Mettitela in testa e guarda un po’ di televisione, torno con un doppio hamburger e patatine fritte».

«E con la birra».

Si alzò dal tavolo, mi diede una pacca sulla spalla e aprì la porta di casa.

«Grazie per quello che stai facendo».