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Quando mi svegliai il sole era calato, insieme alla temperatura. Faceva comunque un caldo terribile. Prima di alzarmi dal divano, presi a fantasticare sul fatto che la camera fosse piena d’acqua come una piscina e che io potessi muovermi nuotando. Era un desiderio ricorrente nelle mie estati. Drug Machine interruppe la magica visione. Era entrato senza suonare e Huan continuava a spingere il muso nel didietro di Lu’.
«Me lo levi di dosso? è un maniaco, levalo». Fischiai, Huan mi guardò, lo esortai a smettere, ma non avevo una grande autorità, così Lu’ si dovette sedere per sfuggire alle molestie.
«Ma non dicono che sentono quando non ti piacciono? A me non piace, non è mai piaciuto e mai mi piacerà!».
«Vacci piano, è sensibile, lui vuole solo amarti».
«Che schifo!», disse mettendo il broncio.
«Novità?», chiese Drug Machine.
«Sì, è venuto a trovarmi Simonetti, voleva tastare il terreno, e non solo».
«Che ha detto?» «Di che parlate? Non è educato parlare di cose che non tutti i presenti conoscono», ci rimproverò Lu’ con un sorriso piuttosto tirato.
«Grane con il bar. Che ha detto?» «Di non perdere tempo».
«Che genere di grane?», chiese Lu’.
«I libri contabili non sono in ordine».
«Di’ pure che sono un gran casino». Il cellulare di Lu’ prese a suonare musica dance. Guardò il display e sospirò. Poi si alzò e scese giù in cucina. Dalla voce bassa e dal tono incazzoso non fu difficile capire chi l’avesse chiamata.
«Testa di cazzo con la gonorrea».
«Gamba di legno non molla, eh?» «Già, spero che non lo perdoni troppo presto. Anzi, ti dirò, spero proprio che non lo perdoni, sto bene con lei».
«Stai bene dentro di lei».
«Anche, ma non solo, mi piace averla intorno».
«Ti stai innamorando di Lu’ per la centottantesima volta?». Sorrise. Mentre lei da sotto continuava a urlare insulti e imprecazioni a denti stretti.
«Che ha detto il commissario?» «Ha detto, fra le righe, di farmi i cazzi miei che campo cent’anni».
«Che ne pensi?» «Cento sono parecchi, non so se ho voglia di vivere tanto a lungo. E poi penso che stiamo dando fastidio a qualcuno con le nostre ricerche, e infastidire il prossimo mi dà sempre gioia».
«Bonnie l’hai più sentita?» «No, non mi ha chiamata, ma chiamerà».
«Certo che lo farà, almeno fin quando avremo soldi da darle».
«Sottovaluti il mio fascino, non è carino».
Lu’ tornò in camera con le lacrime che le scorrevano lungo le guance e gli occhi arrossati. Si sedette sul divano, rigida e tesa, poi scoppiò in un pianto rumoroso.
«Perché piangi adesso?» «Ha detto che gli manco. E che per me lascerebbe la moglie».
«Che bello, il tuo amore nascerebbe sulle ceneri di una famiglia».
«Vaffanculo, Danny, nessuno sta parlando con te».
Giusto. Rimasi in silenzio sperando che andassero a parlare da un’altra parte.
«Cosa vuoi fare allora, Luciana?», chiese Drug Machine, serio.
Ci era rimasto male e si vedeva. Mi dispiaceva, e il fatto che l’avesse chiamata con il nome per intero mi fece pensare che era meglio scendere a prendermi una birra.
Dalla cucina sentivo piangere Lu’ e Drug Machine inasprire i toni. Poi lei scese le scale e, senza preoccuparsi di salutarmi, uscì di casa. Presi un’altra birra e salii. Drug Machine era a braccia conserte a fissare la TV spenta davanti a lui. Gli passai la bottiglia.
«Vuoi parlarne?» «No!».
«Che dici? Ci vediamo un bel B movie?» «Certo, è il tuo rimedio a tutto...».
Ordinammo due pizze cariche di salsiccia, patatine fritte, Wurstel, uova, funghi e prosciutto crudo e guardammo un film che parlava di un gruppo di ragazzi che aveva deciso di fare un viaggio in macchina per l’entroterra dell’Australia, e presto incontra il serial killer di turno. Il massacro fu uno spettacolo il cui apice fu la testa sullo stecco, quella scena la rivedemmo cento volte. Ma appena il film finì, ci ritrovammo con gli stessi problemi di prima. E non avevamo soluzioni.
«Posso restare qui? Lu’ dorme ancora a casa mia e non mi va di parlarci o tanto meno di consigliarla sul da farsi con il viscidone».
«Giusto, tanto non la puoi scopare».
«Infatti. E magari si accorge che le manco».
«Resta quanto ti pare. Ho comprato un nuovo paio di tappi per le orecchie che non vedo l’ora di provare». Sorrise, ma si vedeva che questa storia non la digeriva. Lu’ l’aveva ferito nell’orgoglio. In quel momento, il telefono squillò. Io e Drug Machine ci guardammo, l’orologio segnava le due. Chi cazzo era?
«Forse è Lu’».
«Giusto». Alzai la cornetta.
«Pronto?» «Ciao, zucchero... ti manco?» «Bonnie, cosa vuoi?» «Speravo di aver sciolto un pochino il tuo lato rude».
«Sì, ora sono tutta un miele per te... Dimmi cosa vuoi!».
«C’è un cambio di programma».
«Ti sei ricreduta e adesso vuoi solo aiutarmi e al diavolo i soldi?» «L’appuntamento a Roma è per domani sera, partiamo da San Buono a mezzogiorno». Riattaccò immediatamente dopo aver finito la frase. La sua voce era bastata per farmi venire ancora voglia dei suoi sapori.
«Che vuole?» «L’appuntamento è per domani».
«Così non possiamo studiare una strategia...».
«Già... Mi sento stordita, non ci capisco più niente».
Era come se stessi andando avanti per una strada bombardata dai fumogeni.
«Allora: il dottor Gasparri dichiara il decesso di Khanysha, di cui però mancano i documenti che ne certificano l’esistenza. Gasparri ha un’amante fissata con l’idea di avere figli ma è sterile, per cui noi ipotizziamo che, per farla felice, lui le abbia dato questa bambina senza storia e senza documenti che nessuno reclamerà perché fatta passare per morta. La curano per qualcosa che non sappiamo cosa sia. Gasparri viene poi ucciso con la soda caustica in un bar di Liscia in pieno giorno e il ragazzo che gliel’ha servita la fa in barba agli sbirri, tornando da dove è venuto».
«Sappiamo anche che Khanysha ora è in un giro strano, e non sappiamo come ci sia finita, né perché».
«Sì, è vero, ma non sottovalutare Bonnie, può averci preso per il naso e aver inventato tutto di sana pianta».
«Ma la casa e la descrizione dei mobili... Quello torna».
«Magari è pure stata là, ma non ci giurerei sul fatto che il suo racconto corrisponda a verità».
«Come conosceva Khanysha?» «Per quello che ne sappiamo noi due, possono aver fatto il liceo insieme o essersi conosciute in un bar ed essersi scambiate confidenze durante una sbornia».
«Il mezzo dente e la presuntuosa?» «La storia del mezzo dente può avergliela raccontata e la presuntuosa può averla notata al collo di Khanysha. In Abruzzo se ne vendono a pacchi».
«Secondo te, Bonnie è una perdita di tempo?» «Non dico questo, magari qualcosa di utile la sa pure, ma per me la chiave è Adelina».
«Se la chiave è lei, la prospettiva non è delle migliori. Khanysha avrebbe venticinque anni adesso e la camera non mi sembrava quella di una ragazza».
«Ci possono essere molte ragioni sul perché la stanza sia rimasta così...».
«Per esempio?» «Magari Khanysha è quel genere di ragazza fissata con gli orsacchiotti e le tende rosa, quel genere di ragazza che resta intrappolata nell’infanzia».
«Mi sembra che tu la stia appiccicando con lo sputo. E poi è mia sorella, non parlare male di lei. Comunque, sai una cosa?» «Di’ pure».
«Quando sono entrata in quella casa grande con la carta da parati a fiori e l’odore dei biscotti... Ho pensato che in fondo non sarebbe stato tanto male vivere lì... Voglio dire che non sarebbe così male se Khanysha avesse passato lì il resto della sua infanzia».