Le donne nelle chiese postpaoline
Bart D. Ehrman
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2004 - La verità sul Codice da Vinci
La posizione di Paolo riguardo le donne potrebbe dare ai lettori moderni l’impressione di essere quantomeno ambivalente: gli uomini e le donne sono teoricamente uguali in Cristo, ma non lo sono nella realtà. Gli uomini devono comportarsi da uomini e le donne da donne. È interessante notare come dopo la morte di Paolo diversi capi delle sue chiese abbiano sostenuto l’una o l’altra versione di tale posizione ambivalente. Sappiamo di alcuni cristiani paolini di epoca successiva, per esempio, che erano in favore dell’uguaglianza per le donne, convinti che dovessero essere attive quanto gli uomini nella missione e nelle chiese cristiane. L’esempio più evidente di tutto ciò lo troviamo nei racconti leggendari incentrati su una presunta discepola di Paolo di nome Tecla.
Da queste storie, di cui vi era grande diffusione nel II e nel III secolo,2
apprendiamo che Tecla era una pagana, prossima al matrimonio, che un giorno ascolta per caso la proclamazione dell’apostolo Paolo. Stando al racconto, in base a questa proclamazione, tutti, uomini e donne, devono vivere in completa castità: gli sposati non devono avere rapporti sessuali e i non sposati devono rimanere tali. Solo rimanendo casti si può ereditare il regno di Dio.
Tecla prende a cuore tale insegnamento e rompe il fidanzamento, con grande disappunto e rabbia del promesso sposo che, mosso dal risentimento, la consegna alle autorità romane come cristiana che merita una punizione. Segue una serie di episodi affascinanti in cui Tecla è protetta dal male da forze soprannaturali quando viene gettata tra le bestie feroci e quasi bruciata sul rogo. Alla fine riesce a unirsi all’apostolo Paolo diventando per sempre sostenitrice del suo insegnamento di castità e partecipando lei stessa a una missione cristiana per diffondere la buona novella e convertire gli altri al suo credo.
È difficile stabilire il grado di attendibilità storica di ciascuno di questi racconti, ma è indubbio che avessero notevole risonanza tra molti lettori.
Alcuni studiosi ritengono che, in realtà, il pubblico fosse prevalentemente femminile, poiché la vita di castità poteva essere vista come una liberazione dai vincoli dei matrimoni patriarcali, in cui la donna doveva sottostare a ogni desiderio e capriccio del marito. Abbracciare il credo di Paolo, quindi, poteva essere una vera e propria esperienza liberatoria in un mondo dominato dagli uomini, e certamente numerosi cristiani del II e III secolo vedevano Paolo come un uomo impegnato in una sorta di liberazione delle donne.
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Ma altri cristiani lo vedevano in una luce completamente diversa, come qualcuno che approvava la sottomissione delle donne sia nel matrimonio che nella Chiesa, e questa concezione si può trovare già negli scritti del Nuovo Testamento. Ho già accennato in precedenza alle tredici lettere che portano il nome di Paolo; a partire dal XIX secolo, però, gli studiosi hanno fornito valide ragioni per ritenere che alcune di queste lettere, in realtà, non fossero state scritte da lui ma da seguaci di epoca successiva in suo nome. Molti, in particolare, concordano sul fatto che Paolo non abbia scritto le «lettere pastorali» 1 e 2 a Timoteo e quella a Tito.3 La cosa sorprendente è che questi libri ci offrono una visione di Paolo diametralmente opposta a quella che troviamo nei racconti della sua presunta seguace Tecla. Qui, infatti, si legge che sono gli uomini a dover essere responsabili delle chiese, mentre le donne devono essere sottomesse a loro in tutto e per tutto. Ecco cosa dice Paolo, o meglio l’autore che scrive in suo nome, nel passo probabilmente più noto di queste lettere pastorali:
La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquilla Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia (1 Tm 2, 11-15).
Nelle lettere che Paolo stesso realmente scrisse, così come nei successivi e leggendari Atti di Tecla, troviamo donne impegnate attivamente nel ministero della Chiesa: pregando, profetizzando, insegnando e, in racconti successivi, come quelli di Tecla, battezzando. Ma stando a questo passo in 1 Timoteo, tutto ciò è proibito. Le donne devono vivere in assoluto silenzio e in totale sottomissione; potranno conoscere la salvezza solo dando alla luce dei figli.4
E qui vorrei sottolineare due questioni importanti. Innanzitutto, questa è la visione che alla fine ha prevalso nella lotta tra le donne che richiedevano un ruolo di maggior rilievo nella comunità cristiana e gli uomini (e probabilmente le donne) che le volevano in posizione subordinata; inoltre, Bart D. Ehrman
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tale limitazione dei ruoli delle donne non si ebbe per la prima volta con l’imperatore Costantino ma era già in atto da secoli, poiché di questa visione troviamo già testimonianza negli scritti del Nuovo Testamento.
Ma come siamo passati dal Paolo della lettera ai Galati, il quale in 3, 28
affermava che in Cristo vi è uguaglianza tra uomini e donne, al Paolo delle lettere pastorali, che insiste sul dominio maschile? Vediamo la spiegazione che ne danno molti studiosi. Nelle primissime chiese vi era un fervore apocalittico che portava a ritenere imminente la fine di ogni cosa; nel regno che sarebbe presto arrivato, vi sarebbe stata completa uguaglianza, e di tale uguaglianza avrebbero dovuto esservi in qualche modo tracce anche in questo mondo, in previsione di come le cose sarebbero state in futuro. Il regno, però, non arrivò mai e la Chiesa dovette adeguarsi al lungo cammino; questo spinse i cristiani a ritornare alle loro vite normali, organizzate secondo schemi ben radicati nella società in generale, e una delle conseguenze di tutto ciò fu che le donne vennero allontanate da posizioni di prestigio e sottomesse all’uomo. Con il passare del tempo e a causa della mancata apparizione del regno, la religione si fece sempre più patriarcale, e ciò avvenne in tempi relativamente brevi, tanto che nella maggior parte delle chiese cristiane del II secolo le donne avevano già smesso di svolgere un ruolo significativo. E non fu Costantino il responsabile di questa situazione, poiché era un dato di fatto già da tempo immemorabile.
Ciò non significa che tutti i cristiani del II secolo non riconoscessero il ruolo delle donne; al contrario, le storie di Tecla e altre come lei erano molto apprezzate proprio perché in alcuni ambienti c’era chi la pensava in modo completamente diverso. Vediamo insieme due esempi.