Griiss Goti!
È necessario bucare a fuoco questa cartolina di pittoresche acque e splendide montagne. Seguiamo le piste ciclabili del più grande lago della Carinzia, fra castelli rinascimentali, santuari barocchi, campi folti di grano maturo, cielo azzurro. Sulla destra abbiamo la riva nord, sulla sinistra sfrecciano i treni rossi e bianchi per Klagenfurt, circa uno ogni quarto d'ora; ancora più in là compare l'autostrada volante attraverso i viadotti; in mezzo c'è la strada normale con gli autobus a orario fisso.
La ricchissima offerta di trasporti rende ancora più anacronistico il nostro desiderio di andare a piedi. Il caldo aumenta. Facciamo brevi soste lungo gli argini soprattutto per bere. A Pòrtschach, un'altra boutique urbana adagiata sui curatissimi greti, acquistiamo mele e banane in un supermercato. Mentre pago, grondo sudore davanti alla cassiera impegnata a racimolare il resto. L'unico nostro rapporto col mondo esterno avviene attraverso questi inservienti, sempre sprofondati nella noia del lavoro. Umanamente mi piacciono molto. Tuttavia avverto nei loro gesti strumentali - scegliere la merce, incartarla, fornire informazioni, piegarsi in due per allungarci il sacchetto di plastica, salutare - il tremendo pericolo della serialità.
Zygmunt Bauman ritiene che il progresso industriale di questo secolo contenga in sé, come una cellula tumorale pronta a svilupparsi, tutte le potenzialità sfociate nello sterminio; ne è così persuaso da sostenere l'esistenza di un terreno comune fra Buchenwald e Detroit, sede delle grandi aziende automobilistiche americane. A suo parere la concezione burocratica che regola l'organizzazione produttiva, certi aspetti razionali della civiltà occidentale, l'intermediariato fra volontà e azione, sono principi comuni della società moderna e dei Lager.
"Perché l'orrore non era il Male, o almeno non era la sua essenza. L'orrore non era altro che l'addobbo, l'ornamento, l'apparato. L'apparenza, insomma." (Jorge Semprun, 1996) Lungo un prato sul lago alcuni bambini giocano. Due giovani obesi stanno facendo il bagno. Uno di loro, mentre esce, sputa contro la pietra e non sull'acqua. Provvede quindi a bagnare l'argine facendo scomparire lo sputo. Ogni tanto, a dieci metri da noi, passa una locomotiva urlante. Uwe Johnson, ventun anni fa, calcolò un transito feriale di trentacinque treni fra Villach e Klagenfurt, escluso il traffico merci: adesso saranno anche aumentati.
Bauman porta sino in fondo la propria tesi ponendo in stato d'accusa la scienza sociologica in cui si è formato. Secondo la scuola di pensiero tradizionale, infatti, la morale sarebbe un prodotto della società: ma, considerato che a compiere i massacri novecenteschi furono persone ordinarie e non esseri immondi come il profano a volte crede, questo assioma risulta insoddisfacente. Per Bauman la coscienza etica s'identifica in una sorta di responsabilità assoluta.
Mi sono messo a petto nudo. L'istinto sarebbe quello di gettarsi in acqua, ma ciò renderebbe necessaria una serie di operazioni perditempo che, nelle nostre condizioni, non ci possiamo permettere: asciugatura, cambio del costume. Inoltre bisogna conservare l'energia, tesaurizzarla. Il treno sfreccia sui binari a cinquanta metri da noi sdraiati sull'erba. I vagoni che ci passano accanto sono straordinari, come metropolitane dipinte con gli spray nei sotterranei delle grandi metropoli. Il fischio, lo spostamento d'aria, i volti affacciati al finestrino, il frastuono dei macchinari, è un colpo di gong improvviso, lacerante, che, pochi secondi dopo il passaggio, fa alzare in volo dagli alberi verso la montagna grossi uccelli il cui spiegamento d'ali assomiglia al rumore dei battipanni sulle ringhiere.
L'intero meccanismo che ha reso possibile lo sterminio del ventesimo secolo è basato sulla cancellazione della responsabilità: ogni uomo, nella Germania nazista, si sentiva giustificato, non direttamente punibile. In tale modo l'autorità morale viene resa inoperante senza essere sfidata o negata.
Continuiamo a camminare sotto il sole cocente. Neutralizzo il peso dello zaino con le braccia, sollevandolo: la sera scoprirò un'ustione nella zona dei gomiti. Lasciamo sulla destra villette con abitanti da cartellone pubblicitario che prendono il sole sulla sdraio e si sbaciucchiano spensierati. Chi ci incrocia, cicloturisti, ragazzi coi pattini, anziani a passeggio, sussurra: Gruss Gotti II Wòrther-See, a un certo punto, cede il posto a una serie di parchi allineati che preludono ai canali di Klagenfurt.
Bauman, nel formulare il concetto di responsabilità assoluta, riprende alcuni spunti di Emmanuel Lévinas, il quale a sua volta si richiama a un'intuizione di Dostoevskij: ''Siamo sempre responsabili di tutto e di tutti, davanti a tutti ed io più di tutti gli altri". Da interpretare così: appena un altro uomo posa lo sguardo su di noi, ci costituiamo come soggetti. Il cosiddetto "patto sociale", da cui scaturiscono i vincoli giuridici, è posteriore a questa fase. Lo sterminio venne realizzato grazie alla cancellazione della responsabilità assoluta. Uno smantellamento che la tipologia dello sviluppo tecnologico nostro contemporaneo, in singolare parallelismo con la sensibilità artistica nel Novecento maggiormente accreditata, ha reso possibile. Da una parte il burocrate, che si neutralizza nel gesto esecutivo, dall'altra l'artista, quando pretende di potersi sganciare dai doveri dell'uomo comune, hanno oggettivamente contribuito a creare le condizioni di possibilità perché ciò avvenisse. Sembra incredibile, ma la parola Verantwortung - responsabilità - compare nei dizionari tedeschi solo negli anni Venti.
Procediamo appaiati regolando il ritmo dei passi. Davanti a me le immagini si rimpiccioliscono, la visione diventa quasi convessa. Tuttavia ostentiamo una certa dignità: segno evidente che le forze non mancano. La scritta Zentrum ci elettrizza. Seguiamo i canali camminando come pionieri. Non credevo che Klagenfurt avesse una periferia così estesa. La lunga teoria delle case residenziali sembra non finire mai. È un pomeriggio grandioso, paragonabile a quelli che viviamo da ragazzini quando si sta sei ore in giro, al vento della strada, senza immaginare che perfino il buco dentro la tasca dei pantaloni s'inciderà profondamente nella memoria.
Giro e rigiro questa idea della responsabilità senza venirne a capo; alla fine devo ammetterlo: non sono d'accordo. Entrando a Klagenfurt mi sorprendo a stilare, fra me e me, il protocollo che invece firmerei.
Articolo uno: la pretesa di poter assumere su di noi il cosiddetto dolore del mondo nasce sempre dalla spregevole arguzia di chi, dentro di sé, falsifica i conti.
Articolo due: l'inflessibilità delle risoluzioni individuali rende più fragili le difese psicologiche nel momento in cui siamo attaccati.
Articolo tre: ogni proposito etico deve saper rinunciare all'illusione di un superamento delle contraddizioni.
Raggiungiamo il centro impolverati come barboni. Le persone che ci attorniano sono incredibilmente fresche, eleganti, forse tonificate da lavaggi, abluzioni e simili; tuttavia, fra noi e loro, non c'è reale differenza. Ho l'impressione che lo sforzo in cui mi sto impegnando, paragonabile a quello dell'escursionista, sia uno dei numerosi giocattoli di cui le generazioni nate dopo la guerra hanno goduto: questo, invece di scoraggiarmi, rinsalda il desiderio di proseguire perché, oltre a misurare la distanza rispetto ai padri, precisa l'identità dei figli.
"Non so come posso camminare ancora, non so più qual è il limite delle mie forze. Sono due piedi che si trascinano l'uno dopo l'altro e una testa che pende. Potrei cadere qui, avrei anche potuto cadere prima, ma non ci sono momenti in cui si può cadere, in cui bisogna cadere. Cascherò o non cascherò; se casco, è il corpo che avrà deciso di cadere. Io non so più. Quello che so, è che non posso più camminare e cammino. " (Robert Antelme) Troviamo un piccolo hotel all'estremità opposta rispetto a quella da cui proveniamo (Liebetegger, Vòlkermarkter Strasse,). La sera, vincendo la stanchezza, scendiamo a mangiare qualcosa. I negozi stanno chiudendo. Le nostre gambe assomigliano a bastoni rigidi. Ho gli occhi velati dallo sfinimento. Senza lo zaino sembra di essere una nuvola leggera. Capisco perché i giocatori di pallacanestro s'allenano ai salti con le zavorre ai piedi.
Siamo troppo stanchi per parlare. Ho l'impressione che la normale attività quotidiana scorra sui rulli, una specie di motore sul banco di prova: giovani uomini indaffarati si dirigono verso appuntamenti che, a giudicare dalla concentrazione dipinta sui loro volti, saranno in qualche modo decisivi; i tavolini dei caffè sulla piazza stanno per essere legati con la catena; le cameriere dei ristoranti Wienerwald si allacciano il grembiule fiorito prima di entrare in azione, taccuino alla mano, sotto il pergolato.
Benché siano già le nove di sera, il cielo continua a tingersi di blu. L'aria estiva trasmette un senso di felicità obbligatoria. Ciononostante, nella piazza del Comune i taxisti fumano annoiati. Stiamo seduti sulla panchina come picari vagabondi. Dopo un po' andiamo verso l'isola pedonale. Questo cincischiare mi ritempra. Ci sono molti anziani in giro. David Rousset, a Buchenwald, restò sorpreso nel vedere come ogni gerarchia legata all'età fosse sconvolta: "Solo la potenza conta". Guardo il cardigan di cotone leggero di una vecchia davanti a me, con l'etichetta rivoltata, qualche secondo più del necessario.