Homines ludentes
A Eisenstadt la sera, prima che faccia buio, scendono le zanzare. Enormi, non lasciano scampo. Tutte le farmacie espongono in vetrina creme, candele, unguenti.
Caracolliamo fra banche e fruttivendoli. Certe donne espongono le varici con terrificante sicumera. Una ragazza, annoiata dietro ai genitori, distende le braccia, quasi facesse la ruota.
Davanti al palazzo ducale resto incantato. Ieri sera ho cercato di guardarlo in mezzo alle zanzare che scendevano come Stukas sui nostri corpi inutilmente protetti dall'Autan: era bellissimo con la cupola turca al centro, i posti di guardia affiancati all'ingresso, le finestre che sembravano medaglie sulla giacca di un alfiere. Fu residenza dei principi ungheresi Esterhàzy. Tuttavia, la luna a metà, il cielo stellato -blu scuro, acciaio metallo - lo fanno assomigliare alla sede di qualche emiro in rotta di collisione con altri califfati.
Per queste fantasticherie, a Plinio ricordo il Vronskij dell'Anna Karenina televisiva di Sandro Bolchi: Pino Colizzi. Ma io, fra tutti i personaggi di quel romanzo, mi sono sempre riconosciuto in Costantino Lévin. Divertito, chiedo al mio amico una citazione internazionale: Sir Walter Raleigh - risponde -, avventuriero e viaggiatore inglese del Cinquecento: occupò la Virginia; introdusse in Europa l'uso del tabacco e la coltivazione della patata; fu condannato a morte per non avere rispettato l'ordine del re di non attaccare i presìdi spagnoli, durante la spedizione da lui guidata nella Guayana.
Torno sul balcone, vicino alle vespe, per controllare se i nostri panni si sono asciugati. Togliendo le mollette, osservo dall'alto il giardino interno dove, seduti attorno ai tavoli, alcuni turisti stanno cenando. Mi chiedo se esista un rapporto reale fra l'uomo di carta che molti scrittori di questo secolo hanno vagheggiato e la volontà di potenza, scaturita dalla matrice romantica, sfociata nei massacri nazisti e staliniani Ho commesso un grave errore lavando i pantaloni: intanto credo di averli stropicciati con troppa foga; poi, quando li ho attaccati al filo, mi sono dimenticato di rovesciarli in modo tale da favorire una stiratura istantanea. Il valore spirituale che ha guidato il XX secolo è stato proprio l'interiorità. Jean Améry sostiene che i campi di concentramento segnano la fine dell'interiorità intesa come una metafisica: "Per noie dicendo noi intendo gli intellettuali privi di fede e non impegnati in una dottrina politica - la permanenza nel Lager spiritualmente non fu del tutto priva di valore. Vi abbiamo tratto l'incrollabile convinzione che lo spirito è effettivamente un ludus e che noi non siamo, o meglio, prima di entrare nel Lager, non eravamo chehomines ludentes. " (Jean Améry, 1987) Osservo i miei pantaloni rinsecchiti con una qualche commiserazione: sembrano la spugna strizzata dei distributori di benzina. Potrebbero appartenere a un burattino scomposto. Nel corridoio dalla moquette impolverata, incrociando il classico donnone austriaco, cameriera ai piani, sono tentato di chiedere la stiratura: ma poi, per non creare complicazioni, rinuncio.
Quando l'interiorità diventa un fantoccio, l'inconscio può essere più facilmente manipolato. Charlotte Beradt, analizzando i sogni di alcuni cittadini tedeschi durante la dittatura nazista, ci ha fatto capire come l'ideologia totalitaria avesse rotto gli argini entrando nell'interiorità degli individui per condizionarli.
"Sogno di non essere più in grado di parlare da sola, ci riesco unicamente in coro, insieme al mio gruppo. " ''''Tutti i compiti in classe e tutte le pagelle mi vengono resi col voto 'ottimo, ma insufficiente perché antistatale'." "Sogno di sognare ormai unicamente dei rettangoli, triangoli, ottagoni, che in un certo qualmodo sembrano tutti dei biscotti di Natale, visto che è vietato sognare. " "Mi trovo in un campo di concentramento, ma tutti i prigionieri stanno benissimo, si imbandiscono cene, si danno spettacoli teatrali. Io penso: ma allora è vero che le voci che circolano sui campi sono esagerate, ed ecco che mi vedo allo specchio: indosso l'uniforme di un medico del campo, con degli stivaloni particolari che luccicano come brillanti. Mi appoggio al filo spinato e mi rimetto a piangere. "