Pensiero e azione

 

Continuiamo a camminare da una parte all'altra del fiume. La gènte va e torna dal lavoro. Nel mercato della piazza cerco di decifrare il flusso: i ciclisti, gli edicolanti, i giocolieri, le donne, gli anziani col cane. Mangiamo un wurstel seduti al banco, attraversiamo le strade, percorriamo la periferia. L'albergo, vicino alla stazione, appare grigio, sbilenco, tutt'altro che confortevole: i bagni nel corridoio assomigliano a quelli di una caserma. Eppure, nonostante l'ambiente sembrasse poco formale, stamattina, uscendo dalla doccia ancora seminudo, ho incrociato una coppia diretta al breakfast: entrambi, marito e moglie, mi hanno guardato con fiera disapprovazione.

Perché non partiamo immediatamente? Non lo so nemmeno io. C'è qualcosa nell'aria di questa città. Restano nella memoria i negozi d'elettrodomestici e i lavori urbani, i grandi magazzini, i tetti rossicci delle case, le insegne dei ristoranti, le targhe dei medici sui portoni, un cancello, una scalinata, la fontana arrugginita. Quanti chilometri avremo coperto? La colonna di fanteria SS ne faceva cinque all'ora nelle marce lunghe e sei e mezzo nelle corte distanze. Secondo Ricciotti Lazzero, in condizioni normali una divisione era in grado di spostarsi per circa trentacinque chilometri al giorno; quelle sovietiche potevano raggiungere i quaranta quotidiani. Ieri sera ho dato un'occhiata alle piante dei piedi: sotto la pelle screpolata si sta formando una specie di crosta più resistente, come se il mio corpo cominciasse a prendere atto soltanto ora del nuovo impegno a cui ho deciso di chiamarlo.

In una nicchia del colonnato esterno della chiesa dei Francescani scopro la statua di Massimiliano Kolbe. Prima di partire avevo studiato la sua vita. Si tratta di celebri eventi che ho avuto la fortuna di conoscere tardi, senza incappare nella cortina retorica nella quale talora sono avvolti.

Lugliol941. Klos, detenuto ad Auschwitz, fugge verso le paludi circostanti. Come sempre in questi casi, i suoi compagni vengono privati del rancio e obbligati a restare sull'attenti per tutto il giorno. L'indomani, nuovamente richiamati sul piazzale, attendono per ore le disposizioni. Alle tre del pomeriggio il comandante Karl Fritsch annuncia che dieci reclusi sarebbero andati a morire nel Bunker. l'Hauptsturmfuhrer, circondato dalle SS, lentamente percorre le file degli uomini stremati. Nel silenzio grida: "Heraus!", fuori. Gerhard Palitzsch, suo aiutante, scrupolosamente annota il numero del condannato. Per dieci volte l'urlo risuona nel piazzale: "Heraus.". La triste schiera viene ammassata in un angolo: fra di loro, Francesco Gajowniczek, sottufficiale dell'esercito polacco, piange invocando moglie e figli. La decina sta per essere inquadrata, quando l'uomo piccolo, con gli occhiali, esce dalla fila togliendosi il berretto. A quel tempo aveva quarantasette anni. Karl Fritsch si volta di scatto chiedendo spiegazioni. Massimiliano Kolbe indica Francesco Gajowniczek ed esclama: "Ich bin ein polnischer katholischer Priester" (Sono un sacerdote cattolico polacco).

Il silenzio nel piazzale è assoluto. Tutti i detenuti sono sorpresi: nessuno può avvicinarsi di sua iniziativa ai soldati tedeschi, senza aver ricevuto il permesso. L'SS è Dio: vietato guardarlo negli occhi. L'uomo formula la sua richiesta: "Ich bin alt und willfùr ihn sterben, denn er hat Frau und Kinder" (Sono anziano, voglio morire al suo posto perché egli ha moglie e figli). Dopo qualche secondo, incredibilmente Fritsch accetta l'offerta. Avrebbe potuto condannare entrambi, ma il potere del nomos lo folgora all'istante. Era stabilito dieci. Dieci dovevano essere. Alza la mano gridando: "Heraus!". Francesco Gajowniczek riprende il suo posto. Massimiliano Kolbe prosegue insieme agli altri verso il blocco della morte.

"Non si trattava soltanto di salvare il decimo; bisognava aiutare a morire gli altri nove! A partire dal momento in cui la porta fatale si chiuse dietro le spalle dei condannati, egli li prese tutti a carico. " (Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, 14 ottobre 1971) "Ihr werdet eingehen wiedie Tulpen!" (Vi seccherete come tulipani! ) dissero le guardie ai dieci prigionieri gettandoli dentro le strettissime gabbie. Bruno Borgowiec, che faceva servizio al Blocco Undici, ha raccontato gli ultimi giorni. I detenuti, senza acqua e cibo, leccavano le pareti dei muri, bevevano la propria urina, lentamente si afflosciavano. Il piccolo uomo dirigeva i canti di preghiera nel Bunker. Le SS, appena avvertivano il suo sguardo, urlavano ordini inconsulti. Due settimane dopo, di quei dieci erano rimasti vivi solo quattro, fra cui Massimiliano Kolbe: furono uccisi il 14 agosto mediante iniezioni di acido fenico.

Di fronte alla statua di Kolbe vorrei convocare idealmente anche Else Krug, detenuta nel Lager femminile di Ravensbriick, ex prostituta specializzata nella clientela masochista, quindi abituata a essere pagata per picchiare chi lo chiedeva. Possiamo immaginare una vita più distante da quella di padre Kolbe? Mentre lui era missionario in Giappone, oppure costruiva la Città dell'Immacolata a Niepokalanòw, lei piantava gli stivali sul collo di uomini che lo reclamavano imploranti. Come ci rivela Margarete Buber-Neumann, Else Krug rifiutò di bastonare un'altra detenuta: per tale insubordinazione fu condannata a morte.

"Le SS riuscirono quasi sempre a evitare che si creassero dei martiri o degli eroi impedendo costantemente qualsiasi forma di azione individuale, oppure, se questo era impossibile, trasformando l'azione individuale in un fenomeno di gruppo. Il prigioniero che cercasse di proteggerne un altro e fosse stato visto da una guardia veniva di solito ucciso all'istante. Ma se della sua azione veniva a conoscenza l'amministrazione del campo, l'intero gruppo cui apparteneva era inevitabilmente punito con durezza. " (Bruno Bettelheim, 1988) Non bisognerebbe mai separare il pensiero dall'azione. Questa tentata spaccatura è, io credo, il tarlo dell'epoca moderna: il mondo senza testa e la testa senza mondo. Affermando il primato della coscienza sulla realtà l'artista novecentesco ha di fatto dato campo libero all'uomo d'azione, lo ha lasciato andare al proprio destino. Nel nazismo si riverbera tale abbandono.

Tutto il male, come pensava Roger Caillois, ha origine dalla velleità dello scrittore di separare impunemente la causa dell'arte da quella dell'uomo. Essere privi di esperienza, intrattenere un rapporto squilibrato con gli altri, a partire dal Fréderic Moreau dell'Educazione sentimentale di Gustave Flaubert, è stato considerato affascinante, tanto è vero che la quasi totalità degli eroi romanzeschi del Novecento dividono una latitanza dorata dal luogo dove avvengono i fatti.

Dico dorata perché gli autori creano attorno a essi quella che chiamerei una strana attrazione. Sotto sotto ci spingono a credere che tutte le tristi curiosità del fallito, i suoi comportamenti malsani, gli inutili giri, le eterne incertezze, quelle assurde contemplazioni del mondo, quei vani rimuginamenti in cui resta invischiato, siano cento volte migliori di una vita inconsapevole, sprofondata dentro di sé come il terriccio in un vaso. Aver lasciato che questa idea s'incidesse nella percezione comune è stato molto grave.

Naturalmente rifiutare la responsabilità storica è cosa ben lontana dall'essere responsabili morali. Quello a cui mi riferisco non è l'impegno, il semplice sporcarsi le mani, l'iscriversi a un partito, o a una setta di qualsiasi tipo. Semmai considero giusto dover rinunciare alle ambizioni mondane, per chi voglia delegare ai professionisti certe incombenze. Non possiamo pretendere di essere considerati perfettamente integri nel momento in cui esigiamo una collana di medaglie d'oro intorno al collo; così come è inammissibile gestire il potere e rivendicare, per se stessi, quella speciale attenzione che soltanto una vera vocazione richiede.

Pensavo a una schizofrenia di origine diversa: l'aspirazione dell'artista moderno a venire considerato un maestro spirituale chiedendo però, in ragione del suo genio, di non essere moralmente giudicato. Carta bianca per quanto riguarda l'opera, riflettori spenti su tutto il resto: da questa paradossale presunzione si sono formate le impotenze, i taciti accordi coi sistemi sociali vigenti, la perniciosa mitologia dell'individuo libero, senza doveri, il quale s'inebria nel dimenticare il prezzo del risarcimento che invece, come tutti, dovrà saldare.

L'integralità dell'esperienza umana non è un sogno omerico. I capitribù, come scoprì Claude Lévy-Strauss nel suo celebre viaggio, sono sempre stati i più intelligenti, i più creativi, quelli che dispongono di un maggior numero di soluzioni da proporre al gruppo cui appartengono.

Andrej Sinjavskij, in Una voce dal coro, libro formato da appunti e lettere spedite alla moglie durante la detenzione in un Lager sovietico, ha scritto: "Il poeta, anche nell'accezione moderna, attuale della parola, è uno stregone-taumaturgo fallito, che ha sostituito alla metamorfosi la metafora, all'azione il gioco di parole".

Nella Chiesa dei Francescani, accanto alla statua di Kolbe, un invalido chiede l'elemosina. Vecchio, imponente, si sorregge a due enormi bastoni di legno. La pelle del volto appare rossastra, solcata da vene sottili che s'intrecciano una sull'altra, specie intorno al naso. I capelli sono bianchi, radi, lisci, ben pettinati. Gli occhi trattengono in secca un grigioazzurro sbiadito. La giacca, sbottonata sul davanti, un tempo era molto elegante, quasi sfarzosa. Immagino che l'uomo venga ospitato dai frati. Avrà settant'anni: chissà, magari prestò servizio nelle Waffen-SS. Dev'essere un coetaneo del soldato che accompagnò mia madre ai bagni della stazione di Udine.