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L’amica del signor Hitchcock si chiamava Agatha Agawam, era signorina ed abitava al centro di Los Angeles. Jupiter chiese il permesso a zia Mathilda di farsi accompagnare con il camioncino da Hans, uno dei due bavaresi che aiutavano gli zii.

Mentre faceva la richiesta, il ragazzo pensava con nostalgia alla Rolls Royce placcata d’oro, con tanto di autista, che aveva avuto a disposizione durante i suoi primi due casi. Aveva vinto il diritto di servirsene per trenta giorni dopo aver indovinato il numero di fagioli contenuti da un grosso barattolo, in una originale gara indetta da un noleggiatore di auto. Ma ormai il periodo di uso era scaduto, ed era giocoforza servirsi di altri mezzi. Comunque la zia di Jupiter non fece nessuna obiezione all’uso del camioncino, dato che i ragazzi ultimamente avevano lavorato sodo. Diede loro da mangiare, e durante il pasto i tre ragazzi parlarono del furto avvenuto al museo.

Jupiter invitò i due amici a ricordare qualsiasi dettaglio che avesse destato in loro qualche sospetto.

– Ho notato una giovane esploratrice con una capigliatura così folta da sembrare una parrucca – disse Pete. – Forse può aver nascosto la cintura sotto la parrucca. Jupiter brontolò tra i denti. Poi Bob raccontò:

– Ho visto un vecchio che camminava appoggiandosi ad un bastone. Forse può aver nascosto la cintura nell’interno del bastone.

– Non siete certo di grande aiuto – si lagnò Jupiter. – Parrucche e bastoni! Potrebbero essere stati dei buoni nascondigli per i Gioielli dell’Arcobaleno ma non per una cintura così grossa e così pesante. Pensate a qualcosa d’altro.

– Non mi viene in mente niente – disse Pete. – Mi sono esaurito.

– Anch’io – rispose Bob. – L’enigma della Cintura d’Oro è troppo difficile per me. Parliamo piuttosto del nostro nuovo caso. Ho guardato la parola gnomo nell’enciclopedia e…

– Ci dirai tutto mentre andiamo – lo interruppe Jupiter.

– Vedo Hans con il camioncino che ci sta aspettando. Corsero fuori e si pigiarono tutti sul sedile anteriore, accanto ad Hans. Jupiter gli diede un indirizzo della zona commerciale di Los Angeles, distante alcune miglia; quindi partirono.

– Ed ora dicci che cosa hai scoperto a proposito degli gnomi, Bob – chiese Jupiter.

– Uno gnomo – cominciò Bob – è una piccola creatura che, a quanto sembra, abita sotto terra a guardia dei suoi tesori. L’enciclopedia inoltre dice che con la parola gnomo si definisce anche un elfo o un folletto – proseguì Bob. – Sono spiritelli che abitano nella foresta. Gli gnomi sono di aspetto più brutto, vecchi e barbuti, vivono sotto terra e sono più malvagi; gli elfi sono invece i benefici geni dei fiumi, degli alberi e dei monti e vivono nell’aria. Poi ci sono i folletti: vivono nell’aria come gli elfi, ma sono burloni e dispettosi.

– E tutti insieme vivono solo nelle favole – s’intromise Pete. – Non esistono nella realtà. Sono esseri immaginari. Sono creature mi… mi…

– Mitologiche – finì per lui Jupiter. – Leggendarie. Creature di favola.

– Proprio quello che stavo per dire – dichiarò Pete seccato. – Ed allora questi esseri mitologici, immaginari, leggendari che cosa vanno a fare in casa della Agawam?

– È quello che cercheremo di scoprire – rispose Jupiter.

– Ma nessuno crede più negli gnomi – ripetè Pete. Hans s’intromise.

– Ti sbagli, Pete – disse. – Nella Foresta Nera in Germania vi sono parecchi gnomi, spiritelli e folletti. Nessuno li vede, ma tutti sanno che esistono. La Foresta Nera è un luogo magico.

– Vedi! – disse Jupiter – Hans crede negli gnomi e così pure la signorina Agawam.

– Bene, qui non siamo nella Foresta Nera – rispose Pete.

– Siamo a Los Angeles, California, Stati Uniti d’America. Vorrei sapere che cosa ci fanno qui gli gnomi, ammesso che esistano.

– Forse stanno scavando alla ricerca dell’oro – azzardò Bob con una smorfia. – L’oro è stato trovato in California nel 1849, forse loro l’hanno saputo solamente ora e sono venuti qui a cercarlo. Dopo tutto sono i custodi dei tesori sotterranei.

– Che ci siano o meno gli gnomi non ha importanza. Ci troviamo di fronte a qualcosa di misterioso; ma presto ne sapremo di più – asserì Jupiter. – Questa è la strada: siamo quasi arrivati.

Erano giunti in una zona della città di Los Angeles dalle costruzioni molto vecchie e cadenti. Hans rallentò per cercare più agevolmente il numero della casa. A destra vi era un grosso edificio circondato da impalcature. Vi si fermarono davanti. All’esterno sembrava un castello arabo con le cupole, i minareti e le decorazioni in oro, che però si erano sbiadite ed in certi punti scrostate. Un’insegna scolorita indicava trattarsi del Teatro Moresco, mentre un cartello nuovo indicava che sul luogo sarebbe sorto un edificio a dodici piani adibito ad uffici.

Sempre a destra, dopo il teatro, fiancheggiarono poi un’alta siepe dietro la quale nel buio intravidero una bassa costruzione. Terminata la siepe, fu la volta di una banca, la cui facciata era stata rimodernata; comunque appariva molto segnata dal tempo.

– L’abbiamo superata – disse Jupiter, leggendo il numero sulla facciata della banca.

– Scommetto che la casa che cerchiamo è quella dietro la siepe – disse Bob. – È l’unico edificio che ha l’aspetto di una casa privata.

– Hans, fai retromarcia e parcheggia – disse Jupiter. Hans indietreggiò di alcuni metri. Erano ora parcheggiati davanti alla siepe incolta ed alta più di due metri. Al di là della siepe scorsero una vecchia casa che sembrava nascondersi al caos della città.

Pete notò un cancelletto in legno bianco che interrompeva la siepe, con sopra una targhetta.

– Agatha Agawam – lesse. – Questo è il posto che cerchiamo. Mi domando come uno possa vivere qui: scommetto che di notte questo posto fa paura.

I ragazzi scesero dal camioncino e si avvicinarono al cancelletto. Era chiuso a chiave. Una vecchia carta ingiallita, fissata sotto un vetro, recava scritto con sottile calligrafia: “Prego suonare il campanello. Gnomi, elfi, folletti, fischiate”.

– Gnomi, elfi e folletti, fischiate! – Pete esclamò. – Mio Dio, Jupiter, mi dici che cosa significa?

Jupiter Jones corrugò la fronte.

– Sembra proprio che la signorina Agawam ci creda a questi esseri. Noi non siamo né gnomi, né elfi, né folletti, comunque possiamo vedere che cosa succede. Pete, tu che sei un buon fischiatore, fischia.

Pete sembrò meravigliato.

– Ma perché dobbiamo fare tutto nella maniera più difficile? – mugugnò, ed atteggiando opportunamente le labbra emise il fischio del tordo. Attesero.

Poi sobbalzarono al suono di una voce che proveniva da dietro la siepe.

– Sì? Chi è, prego?

Jupiter capì immediatamente. Nascosto tra la siepe vi era un citofono che permetteva da dentro la casa di parlare a coloro che arrivavano al cancelletto. Jupiter aveva sempre pensato che quest’apparecchio fosse impiegato soltanto nei grandi edifici con molti inquilini. Guardando tra i cespugli vide una casetta per gli uccelli e capì che conteneva, protetto dalle intemperie, un microfono-altoparlante.

– Buonasera, signorina Agawam – disse, rivolgendosi verso la casetta degli uccelli. – Siamo I Tre Investigatori. Il signor Hitchcock ci ha chiesto di venire da lei per discutere di un certo problema.

– Oh, certo. Apro subito il cancello. – La voce era dolce e ben modulata.

Si udì lo scatto del comando elettrico della serratura del cancello. Il cancello si aprì e loro entrarono. Si fermarono per un momento. Ebbero la sensazione di essersi lasciati la città alle spalle. La siepe, più alta delle loro teste, nascondeva la strada. La casa confinava a destra con il vecchio teatro e a sinistra con la banca, completamente racchiusa dai due edifici. Era una villetta di tre piani, molto stretta; il suo rivestimento in legno era tutto rovinato dal forte sole californiano. Sotto il piccolo portico vi erano alcune cassette di fiori, unica nota allegra del cortiletto.

Tutti pensarono la stessa cosa. Sembrava la casa descritta nei libri di favole. Sembrava la casa di una strega. Ma la signorina Agatha Agawam, che venne ad aprire la porta, non era certamente una strega. Era alta, sottile, dagli occhi vivaci, dai capelli bianchi e dalla voce dolce.

– Entrate, ragazzi – invitò. – Siete stati gentili a venire. Vi farò vedere il mio studio.

Li condusse, attraverso un lungo corridoio, in un’ampia stanza piena di scaffali colmi di libri. Le pareti erano letteralmente coperte da quadri e da fotografie di bambini.

– Ed ora, ragazzi – disse la signorina Agawam indicando delle poltroncine – sedetevi e lasciate che vi racconti perché ho chiamato il mio amico Alfred Hitchcock. Da parecchi giorni sono perseguitata dagli gnomi. L’ho riferito alla polizia ma mi hanno guardata in tal maniera che io… Beh, non dirò più niente alla polizia sugli gnomi! Fece una pausa. Proprio in quel momento Bob improvvisamente emise un urlo.

Mentre si stava sistemando su una poltroncina, lo sguardo gli era caduto sulla finestra. Là fuori, intenta a spiare all’interno, vi era una piccola creatura che certamente non aveva nulla di umano e che portava in testa un berretto a punta. Aveva una sporca barba bianca, un piccone appoggiato su una spalla e, dipinta sul viso, un’espressione cattiva e maligna.