12

Agatha Agawam si svegliò per il rumore che proveniva dal basso. Stette ferma nel letto per qualche attimo ed ascoltò. Sì, non si sbagliava, da sotto proveniva il rumore degli gnomi che scavavano.

I ragazzi l’avevano udito? Erano stati molto gentili a voler passare la notte da lei. Dalla loro stanza però non proveniva alcun rumore: forse dormivano ancora. Forse non avevano sentito la suoneria della sveglia. – Ragazzi! – chiamò. – Jupiter! Pete! Nessuna risposta. Li avrebbe svegliati e così anche loro avrebbero udito il rumore che stavano facendo gli gnomi. Scivolò fuori dal letto e s’infilò la vestaglia. Percorse il corridoio sino alla porta della loro stanza.

– Ragazzi! – chiamò nuovamente.

Ancora nessuna risposta. Aprì la porta e cercò l’interruttore della luce. Quando la stanza s’illuminò, Agatha rimase senza fiato. I letti erano vuoti!

Con il cuore che batteva guardò bene in giro. I pigiami erano ancora ripiegati sulla sedia. La borsa di pelle degli attrezzi era ancora lì. Immediatamente pensò che i ragazzi, udito il rumore degli gnomi, erano fuggiti spaventati. L’avevano abbandonata.

– Oh! – mormorò a se stessa. – E adesso che cosa faccio?

Non poteva rimanere più a lungo in quella casa. Proprio non poteva. Persino dei ragazzi così coraggiosi erano fuggiti pieni di paura.

Sarebbe andata da Roger. Il nipote stesso l’aveva invitata a recarsi da lui in qualsiasi momento.

Scese al pianterreno e si diresse al telefono. Le sue dita tremavano così forte che dovette comporre il numero tre volte.

Quando finalmente sentì la voce del nipote che rispondeva, disse:

– Gli gnomi! Sono tornati. Posso udirli chiaramente. Roger, non posso stare qui un momento di più. Voglio venire da te stanotte stessa. Domani, sì… domani venderò la casa a Jordan!

– Zietta cara! – rispose Roger. – Penso anch’io che faresti meglio a vendere la casa, ma di questo ne parleremo domani. Ora vestiti, prepara la valigia; vengo subito a prenderti con la macchina. Tra dieci minuti sarò lì, fatti trovare davanti a casa.

– Va bene, Roger; tra dieci minuti sarò pronta – promise l’anziana signorina.

Sentendosi più sollevata, ma con il cuore ancora in tumulto, cominciò a vestirsi. Appena pronta, uscì di corsa dalla casa senza nemmeno accertarsi di aver chiuso la porta d’ingresso e il suo nervosismo diminuì solamente quando si sentì al sicuro in macchina, con Roger. Nel frattempo, invece, il nervosismo di Jupiter e di Pete aumentava.

I ragazzi stavano ancora cercando un nascondiglio nei piani superiori del teatro. Usavano la torcia solo quando era necessario. Attraversarono corridoi impregnati di odore di muffa, causato dall’umidità e dalla mancanza di aria. Dietro di loro, di tanto in tanto, udivano le voci dei loro inseguitori. Il vocione di Rawley sembrava farsi sempre più vicino.

Giunti ad una porta l’aprirono e con la torcia illuminarono una stanzetta nella quale troneggiavano ancora due vecchi e polverosi proiettori.

– Questa era la cabina di proiezione – disse Pete. – Nascondiamoci qui.

– Troppo ovvio – rispose Jupiter che sembrava preoccupato. – Dobbiamo cercare altrove. Se la signorina Agatha non si sveglia in fretta e non si mette in contatto con la polizia, saremo veramente nei guai.

– Saremo nei guai? – Pete ripeté. – Siamo già nei guai; vuoi dire che la nostra situazione peggiorerà.

– Cerchiamo! – disse Jupiter – Non fermiamoci. Ripercorsero il corridoio e salirono un’altra rampa di scale. Questa finiva in un piccolo pianerottolo sul quale vi era una porta chiusa con la scritta “Minareto – Vietato Entrare”.

– Che cos’è un minareto? – chiese Pete. – Scommetto che si tratta di una specie di mostro.

– Stai pensando al minotauro! – gli rispose Jupiter. – Un minareto è una specie di torre. Proviamo. Mi è venuta un’idea.

La porta, chiusa da anni, non si aprì facilmente. Dietro ad essa iniziava una ripida rampa con dei gradini molto stretti. Si richiusero la porta alle spalle e salirono la scaletta.

Un minuto dopo si trovavano sulla cima di un’alta torre aperta su tutti i lati. Guardarono giù. Tutto era buio e deserto. In distanza si vedeva la luce di un fioco lampione.

– Bene, abbiamo trovato il minareto – disse Pete. – Ma da qui non c’è via d’uscita. Siamo intrappolati!

– Almeno però non siamo rinchiusi – disse Jupiter. – La nostra salvezza è la strada sottostante. Dobbiamo cercare di raggiungerla; è a soli venticinque metri circa da noi.

– Solo venticinque metri. Giù sotto di noi. Ah, ah! – ridacchiò amaramente Pete.

– Abbiamo una fune – aggiunse Jupiter tirando fuori dalla tasca il rotolo di corda. – È lunga circa quaranta metri ed è molto forte. Resiste comodamente ad un peso doppio del tuo.

Il mio peso? – protestò Pete. – Perché parli proprio del mio peso e non del tuo?

Perché io non sono stato mai un atleta. Invece tu sì – gli rispose Jupiter. – Legherò la fune a questo palo, ti lascerai calare fino a terra e correrai ad avvisare la polizia. Non possiamo attendere che lo faccia la signorina Agatha. Siamo inseguiti troppo da vicino. Pete saggiò la corda con le mani.

– È troppo sottile e scivolosa – disse. – Non c’è presa, e poi mi taglierebbe le mani.

– Usa i guanti di pelle. Avvolgiti la corda attorno alle mani e falla scorrere piano, molto piano.

Pete provò. I guanti in effetti lo aiutavano nella presa. Alla fine acconsentì: poteva tentare.

– Va bene – disse. – Vado. Devi prima però dirmi una cosa.

– Che cosa? – chiese Jupiter mentre annodava un’estremità della fune ad un paletto posto ad un angolo del minareto.

– Quelli erano dei veri gnomi, vero? – chiese Pete.

– Sì, delle vere piccole creature – rispose Jupiter. – Ma ho sbagliato quando ho detto che il loro scopo principale è quello di impaurire la signorina Agatha fino a convincerla a vendere la casa. Stanno veramente scavando alla ricerca di un tesoro. Sono stato proprio stupido a non capirlo prima.

– Capirlo? – esclamò Pete. – Come avresti potuto? Voglio dire, come mai c’è qualcuno interessato a cercare un tesoro proprio sotto quella casa?

– Infatti non è lì che lo cercano. Per lo meno non proprio sotto la casa. – Jupiter parlava come se Pete avesse già capito tutto. – Dov’è il tesoro più vicino a noi?

– Oh, in qualche montagna, credo – rispose Pete.

– Non ci sei. Il tesoro più vicino è nella banca, proprio a fianco della casa della signorina Agatha.

– Nella banca? Cosa vuoi dire? – chiese ancora Pete, con gli occhi sbarrati.

– Vai, farai meglio ad avviarti! – gli disse Jupiter con impazienza. – Scendi più in fretta che puoi, attento però a non correre rischi.

– Non aver timore – lo rassicurò Pete, scavalcando il parapetto del minareto.

Aveva deciso di scendere camminando… cioè appoggiando i piedi contro la parete e, passo, passo, abbassarsi facendo scorrere lentamente la fune tra le mani protette dai guanti.

Mentre procedeva cercava di non guardare in giù, e si preoccupava di tenere i piedi ben saldi contro la parete. Un passo alla volta era riuscito a scendere quasi sino a metà quando improvvisamente sentì degli urli sopra di lui. Jupiter gridò, una voce brontolò qualche cosa, poi vi fu silenzio. Il cuore di Pete fece un balzo. Avevano preso Jupiter? Doveva affrettarsi a scendere e… Improvvisamente la corda diede uno strattone che quasi lo fece cadere. Sopra la sua testa la voce di Rawley gridò:

– Ehi tu, ragazzo!

Pete deglutì. La corda fu nuovamente scossa. Pete si tenne saldamente.

– Torna subito su – tuonò Rawley.

– Sto scendendo! – disse Pete con ostinazione.

– Scenderai tutto d’un colpo – brontolò l’uomo. – Se non torni subito su taglierà la fune.

Pete guardò sotto. Il marciapiede era ancora distante circa dieci metri. Se ci fosse stata dell’erba avrebbe tentato il salto, ma si rese conto che un balzo sul cemento significava come minimo ambedue le gambe rotte.

– Va bene, ragazzo – urlò di nuovo Rawley. – Conterò sino a tre, poi tagliere la fune.

– Un momento, un momento – urlò Pete. – Salgo. Mi dia il tempo di passarmi bene la corda tra le mani. Mi sta sfuggendo.

– Va bene. Non fare scherzi, però!

Pete ebbe un’idea. Forse non sarebbe servita a nulla, ma era l’unica cosa che poteva fare in quel momento. Tenendosi ben saldo con la mano sinistra, si sfilò il guanto destro aiutandosi con i denti. Poi dalla tasca estrasse il suo pezzetto di gesso blu.

Velocemente disegnò sul muro un enorme punto interrogativo, alto quasi un metro. Era l’unica traccia che poteva lasciare. Poi lasciò cadere il gesso e si rimise il guanto.

– Sbrigati, ragazzo – urlò la voce con impazienza. – O sali o ti faccio scendere io!

– Vengo! Vengo!

A fatica Pete risalì. Arrivato al parapetto fu afferrato da due robuste mani che lo tirarono dentro. Vi erano tre uomini sulla torre con Jupiter. Due trattenevano saldamente l’Investigatore Capo. Jupiter sembrava impaurito, arrabbiato ed indignato. Pete sapeva bene che cosa provava: anche lui provava le stesse cose.

Ma che cosa succedeva? Prima gli gnomi, ora questi tre uomini…

Pete cominciò a fare delle domande. Rawley lo interruppe spingendolo in avanti.

– Muoviti! – disse – Ciccia e Trivella, portiamoli giù in cantina. Dobbiamo riprendere il lavoro. Loro staranno a guardare.

I tre uomini spinsero Pete e Jupiter giù per la scaletta, poi giù ancora per altre scale fino a che si trovarono nei pressi di un ampio scantinato dove vi erano alcune grosse ed arrugginite caldaie. Pete arguì che dovevano essere state usate per il riscaldamento del teatro. Su una parete vi erano delle porte chiuse. Su ognuna, con lettere scolorite, vi era scritto: “Deposito Carbone n“ 1”, “Deposito Carbone n° 2”, e “Deposito Carbone n° 3”. Rawley aprì la porta del Deposito Carbone n. 1 e li spinse dentro.

Pete emise un gridolino di sorpresa. In un angolo vi erano quattro omini che giocavano a carte. Non dimostrarono alcun interesse particolare per i ragazzi; alzarono semplicemente gli occhi dalle carte. Alcune carriole, picconi, badili ed alcune grosse lanterne elettriche erano disseminati qua e là. Quello però che maggiormente sorprese Pete fu un buco nella parete di cemento che doveva far parte delle fondamenta del teatro. Attraverso il foro si poteva intravedere una lunga e buia galleria. Pete ragionò rapidamente. La galleria portava in direzione della casa della signorina Agatha. Anzi, essendo molto profonda, forse passava addirittura sotto la casa. Finalmente Pete capì a che cosa aveva alluso Jupiter quando aveva detto che il tesoro più vicino era nella banca. I tre uomini e i loro piccoli assistenti erano dei ladri. Jupiter e lui erano incappati in audaci scassinatori di banche!