27
...non accadde niente.
Caine continuò a sentire in sottofondo Mick Jagger che cantava al jukebox. Continuò a sentire il duro sedile di legno sotto di lui e il dolore sordo al ginocchio, che pulsava a ogni battito del cuore. Continuò a sentire il tanfo stantio di birra mista a sudore che impregnava il locale.
L'unica differenza era che prima di chiudere gli occhi vedeva, mentre ora non vedeva più.
Sospirò e cercò di rallentare la respirazione. A cosa stava pensando nella tavola calda? Non riusciva a ricordarlo. L'attimo prima stava mangiando una patatina fritta e quello dopo Doc e Peter erano coperti di sangue.
Sentì sei rapidi ticchettii.
Dapprima pensò che il rumore provenisse da un altro luogo, un luogo dentro di lui, ma quando la cameriera cominciò a parlare si rese conto che era solo il suono dei suoi tacchi.
“Volete un altro giro?”
“Puoi tornare dopo?” le chiese Doc. “Ora non è il momento.”
“Certo.”
E all'improvviso le tenebre si diradarono, come se qualcuno avesse acceso lentamente la luce. Caine aveva ancora gli occhi chiusi... ma vedeva. E dinanzi ai suoi occhi c'era ben altro che una mera visione: c'era il sapere.
...
La cameriera è una rossa alta con una maglietta nera scollata e troppo trucco. Si chiama Allison Gutty, ma tutti la chiamano Ally. L'ombretto eccessivo serve a nascondere il livido che le ha lasciato Nick Braughten. Lei vuole chiudere con lui ma ha paura.
Visto che Caine e gli amici non ordinano niente, lei ritorna dietro il bancone e flirta con Tini Shamus. E nuovo e lei lo trova carino. Quella sera, quando rientra a casa, Tim fantastica su di lei. Cammina avanti e indietro e si addormenta solo alle quattro del mattino. Si sveglia quando il sole è già alto.
Tim è in ritardo. Corre alla macchina, una Ford Mustang nera del 1989. Sulla via per il lavoro passa col rosso e taglia la strada a Marlin Kramer. Quella di Marlin è già una pessima giornata. Suona il clacson a Tim e per la frustrazione svolta in una strada sbagliata. Resta imbottigliato nel traffico e perde l'aereo per Houston. Matt Flannery è in standby e prende il posto di Marlin accanto a Lenore Morrison. Chiacchierano per l'intero volo. Quando atterrano, lui le chiede il numero di telefono. Lei arrossisce per la prima volta da quando... ha quindici anni e bacia Derek Cohen al cinema.
Matt e Lenore fanno sesso al terzo appuntamento. Le prime volte usano il preservativo, ma poi decidono che farlo senza è sicuro. Ma non è sicuro. Lenore è sieropositiva. A Matt diagnosticano l'Aids. Lui muore solo all'ospedale invece di sposare Beth Peterson e avere due figli e tre nipoti.
...
(loop)
...
Caine ordina da bere. Ally torna al bancone dieci secondi dopo rispetto a quando sarebbe tornata se non ci fosse stata alcuna ordinazione. Durante il percorso Aidan Hammerstein e Jane Berlent riescono finalmente a farsi notare e ordinano due cocktail. Ally dice a Tim di sbrigarsi a prepararli. Non c'è tempo per flirtare. Ally porta a Caine il suo drink e a Aidan e Jane i loro Alabama Slammer. L'alcol manda Jane su di giri. É sbronza. Invece di andare a casa, lei e Aidan decidono di dipingere di rosso la città. Che diavolo, è il suo compleanno. Compie venticinque anni.
Continua a bere mentre... Tim Shamus si addormenta alle due del mattino, si sveglia in tempo e Marlin Kramer prende l'aereo... Mentre torna a casa, Jane si ferma alla gastronomia coreana e compra un pacchetto di Marlboro Lights. E la sua prima sigaretta da quando... ha ventun anni e vomita due enchilada e un taco al pollo. Il fumo si mischia all'odore della cena digerita solo in parte. Giura di non fumare mai più. Mantiene il voto. Vive fino a novantasette anni. Steven Greenberg, il suo bisnipote preferito tra i sei, la piange al funerale...
...ma ora, a venticinque anni, fuma. Nell'aria fresca della sera la sigaretta ha un ottimo sapore. Si chiede come mai abbia smesso. Non smette più. Aidan non sopporta il fumo. Litigano. Lui ha una storia con Tammy Monroe, la sua segretaria. Rompe con Jane. Lei comincia ad andare da uno psichiatra. Lui le prescrive lo Zoloft. Sta meglio, ma non abbastanza. Alla vigilia del trentesimo compleanno decide di festeggiare buttando giù venti pasticche con un litro scarso di tequila. Il suo corpo viene ritrovato due settimane dopo grazie al tanfo.
“Aspetta!” Caine riusciva a malapena a respirare. Aprì di scatto gli occhi e fissò la cameriera - Ally, il suo nome è Ally - come se avesse vi sto un fantasma.
“Vuoi qualcosa?” gli chiese lei.
Caine si voltò e vide un giovane biondo (Aidan) che cercava di attirare l'attenzione della cameriera. Era paralizzato, indeciso sul da farsi. Sapeva di poter cambiare le cose. Se fosse tornato lì, avrebbe saputo che cosa era successo/sta succedendo/succederà ad Ally, Tim, Marlin, Matt, Lenore, Aidan, Jane e Tammy. E alle persone la cui vita sarebbe stata toccata da quegli otto. E ai loro possibili/probabili/impossibili figli. E agli amici. E...
“Tesoro, tutto bene?” gli domandò la cameriera.
“Io... io...” Caine non riusciva a parlare. E all'improvviso fu tutto in torno a lui: il tanfo nauseante di residui umani misto a muffa, carne rancida zuppa di bile, frutta guasta coperta di vermi. Mentre roteava gli occhi all'indietro, Caine si sentì cadere in avanti. Sapeva che si sarebbe svegliato con un mal di testa lancinante nel punto in cui il capo avrebbe colpito il tavolo, ma non ci fece caso: quel beato stato d'incoscienza lo sta va travolgendo come un treno merci.
Sentì le urla preoccupate degli amici. Jasper. Nava. Doc. Le loro voci gli riecheggiavano in mente. E poi, anche se ogni neurone del suo cervello stava protestando rumorosamente, Caine ricominciò a vedere. Aveva gli occhi ancora chiusi, ma le immagini gli scorrevano davanti come un film terrificante.
Vivono. Soffrono. Muoiono.
Ancora e ancora, Caine non può fare a meno di vedere tutto.
Ogni cosa continua a succedere in ogni modo possibile. É a malapena consapevole che nel Quando urla per quasi nove secondi, che possono sembrare un'eternità se ci si trova nel Quando.
Ma impara una cosa nuova.
Impara quanto può essere lunga l'eternità.
Quando Caine si risvegliò non fu sorpreso del violento mal di testa.
“David, stai bene?” Era Nava.
“Sì” rispose lui massaggiandosi piano il capo.
“Che è successo?” domandò Doc.
Caine aprì la bocca per rispondere, ma non trovò le parole. Riusciva a stento ad afferrare con la mente ciò che aveva visto. Dapprima le immagini erano state chiare e nitide, ma via via che si inseguivano nello stesso spazio-tempo, diventavano un'unica chiazza indistinta. Era come se avesse assistito a una proiezione di diapositive in cui ogni nuova immagine veniva presentata su uno schermo bianco per un nanosecondo prima di essere proiettata su quelle che aveva già visto. Alla fine non c'era niente se non una serie di immagini sovrapposte che creavano un'oscurità amorfa.
Sapeva che una volta uscito dal locale non avrebbe avuto quasi più memoria di ciò che aveva visto, perché il suo cervello non poteva contenere tutto. Sentiva già il sapere scivolare via dalla mente nell'abisso. E fu felice di dimenticare. Se non sapeva, non era costretto a scegliere.
Non credeva di poter vivere con tutte quelle responsabilità, con tutte quelle scelte. Anche se avesse deciso di vivere su un'isola deserta, le sue azioni si sarebbero propagate nell'universo. Persino la decisione più semplice avrebbe fatto vivere qualcuno e morire qualcun altro. Non ce l'avrebbe mai fatta. Non poteva sopportarlo.
“Non posso. Non posso. Non posso” mormorò più e più volte.
“Non puoi cosa?” gli chiese Jasper.
“Non posso scegliere. Non è giusto. Chi sono io per...”
Jasper gli diede un sonoro schiaffo in pieno viso.
“Sei David Caine.”
“E se combino pasticci?” chiese Caine. Vedeva solo il fratello. Era come se Nava e Doc avessero cessato di esistere.
Jasper sorrise. “Pazienza, fratellino. Anche decidere di non fare niente è una scelta. Non puoi evitarlo.”
“Ma ci sono moltissime cose che possono... che... vanno male.”
“É inevitabile” replicò Jasper. “Ma ci devi provare.”
Caine annuì. Non ricordava granché di quello che aveva visto. Ma anche mentre cominciava a dimenticare sapeva cosa fare. Non era sicuro che fosse la cosa giusta, anzi, era certo che ci fossero buone probabilità che si sbagliasse, ma ce n'erano molte di più che avesse ragione. Poteva solo scegliere la strada con il numero minore di errori. Ciò che sarebbe accaduto dopo sfuggiva al suo controllo.
Fece un profondo respiro e si rivolse a Nava. “Dobbiamo andarcene di qui” disse. “C'è un posto sicuro in cui rifugiarci?”
“Sì” rispose lei. “Ne conosco uno.”
“Dove?” domandò Caine.
“Lo saprai quando ci arriveremo.”
“No” disse lui. “Ho bisogno di saperlo adesso.”
“Non credo che...”
Caine allungò il braccio e le prese la mano. “Nava, devi fidarti di me. É importante che io lo sappia. Dove ci porterai esattamente?”
Nava lo guardò dritto negli occhi. Qualunque cosa stesse cercando evidentemente la trovò, perché rispose alla sua domanda senza ulteriori proteste. Caine chiuse gli occhi per un istante e poi li riaprì.
“D'accordo” disse. “Devo andare in bagno, poi potremo muoverci.”
Si alzò e zoppicò lungo il corridoio dalla parte opposta del bancone. Quando fu sicuro che nessuno potesse vederlo sollevò il telefono di fronte al bagno degli uomini. In quel momento vide un'ombra sul pavimento. Era Doc. Caine si portò l'indice sulle labbra. Non voleva che parlasse della telefonata davanti a Nava. Doc annuì, poi sparì nella toilette.
Caine ricordò il numero di tre giorni prima. Il telefono squillò a lungo prima che l'uomo rispondesse.
“Salve, Peter. Sono David Caine.” Chiuse gli occhi per un istante, cercando di trovare le parole giuste. “Per favore, mi ascolti attentamente. Non ho molto tempo.”
“Ciao, James.” Forsythe riconobbe all'istante la voce di Tversky all'altro capo del telefono. “So che mi hai cercato.”
“Che cosa te lo fa pensare?” chiese Forsythe.
“Non perdiamo tempo, d'accordo? So quello che vuoi e posso dartelo... a un prezzo.”
“Non voglio niente di tuo.”
“Che ne dici di David Caine?”
“Ti ascolto” disse Forsythe cercando di non sembrare troppo ansioso.
“So dove sarà alle sei in punto.”
Forsythe guardò l'orologio: mancavano quaranta minuti. Si schiarì la voce.
“Qual è il prezzo?”
Riemersero dalla metropolitana in una zona di Brooklyn che Caine non riconobbe. Le insegne dei negozi davanti a cui passarono erano in ebraico, gli uomini avevano giacche nere, cappelli neri e barbe nere. Doc sorrise. Caine dovette ammettere che l'uomo stava affrontando la situazione con molta calma. Era un aspetto di Doc che gli era sempre piaciuto: niente lo sorprendeva.
“Secondo la legge dei grandi numeri,” gli aveva detto una volta, “dovremmo sorprenderci solo se qualcosa di strano accadesse a tutti gli abitanti della terra nello stesso momento. Poiché io ho un solo punto di osservazione, devo presumere che qualunque evento improbabile mi stia accadendo non sta accadendo a tutti gli altri esseri del pianeta. Perciò, poiché le probabilità che accada sono più di una su sei miliardi, la probabilità che accada a qualcuno è quasi del cento per cento, quindi cosa c'è di sorprendente in un evento che ha il cento per cento di probabilità di avvenire realmente?”
Nava li condusse attraverso una serie di vicoli bui finché non furono così all'interno che Caine riusciva a malapena a sentire i rumori della strada. Dopo aver oltrepassato tre portoni, lei scese le scale e bussò quattro volte. Un pannello della porta scivolò sul lato, rivelando un paio di occhi scuri e diffidenti. Non appena si posarono su Nava, però, la porta si spalancò.
“La mia piccola Nava!” esclamò un omone. Le sue braccia pelose la strinsero con una tale forza che Caine temette che le saltasse la testa. Parlarono in fretta in ebraico e pian piano il sorriso dell'uomo svanì. Infine Nava si voltò verso di loro.
“Lui è Eitan” disse indicando l'omone. “Eitan, loro sono David, Jasper e Doc.”
“Piacere di conoscervi” replicò l'uomo con un forte accento straniero. Scosse la mano a Caine come un martello pneumatico. “Gli amici di Nava sono miei amici.” Si scansò e li fece entrare. “Prego.”
L'appartamento era incredibilmente ordinato, in netto contrasto con la stradina sporca che fungeva da entrata. Il pavimento di pietra era coperto da un tappeto arancione. Un divano giallo chiaro con un enorme avvallamento nel centro evidentemente il posto preferito di Eitan era poggiato a una parete ingombra di foto di famiglia. Accanto al divano c'era una sedia a dondolo di legno ornata da cuscini fatti a mano.
“Sedetevi, vi porto qualcosa da mangiare.” Eitan scomparve. Caine girò intorno al lungo tavolino di legno e si sistemò sul divano. Le molle cigolarono appena, ma di certo avevano subito punizioni peggiori dei suoi ottanta chili.
Eitan ritornò con un piatto pieno di pita, una ciotola con dell'humus e quattro bicchieri di tè freddo. Caine divorò il cibo mentre Eitan e Nava si dividevano una sigaretta. I due vecchi alleati parlarono in ebraico e Caine cercò di fingere che la vita scorresse normale pur sapendo che non avrebbe avuto molto tempo da passare con i suoi amici.
“É qui.”
“Perfetto. É sola?”
“No, ci sono altre tre persone più il suo contatto nel rifugio.”
“Uccidi il contatto. Poi portamela.”
“Ricevuto.” Choi Siek-Jin spense il cellulare. Il vicolo era buio, perciò si tolse gli occhiali a specchio ed entrò nelle tenebre. Aprire la serratura della porta sul retro fu un gioco da ragazzi e nel giro di un minuto l'uomo riuscì a entrare. Sentiva le voci dall'altra parte del piccolo appartamento, ma non andò loro incontro. Preferì aspettare in cucina.
Prima o poi l'omone ci sarebbe tornato. E allora Siek-Jin sarebbe stato pronto.
“Avete finito?” chiese Eitan indicando la ciotola vuota.
“Era più che sufficiente-pertinente-saliente-capiente” disse Jasper. “Grazie.”
Eitan sorrise, fingendo di non notare quello strano tic. “Volete dell'acqua? O magari un bicchiere di vino?”
“Io berrei volentieri un altro tè freddo” rispose Doc.
“Certo” replicò Eitan prendendogli il bicchiere vuoto. “Torno subito.”
Quando l'uomo lasciò la stanza, Caine provò un terrore sordo. Mentre lo guardava sparire in fondo al corridoio verso la cucina ebbe l'istinto di fermarlo. Ma un istinto più profondo lo trattenne. Se l'avesse saputo prima, forse avrebbe potuto impedire ciò che stava per accadere.
Ma era troppo tardi. Doveva lasciare che l'universo facesse il suo corso.
Siek-Jin si portò il dito alle labbra. Troppo terrorizzato per reagire, Eitan si bloccò e fissò con gli occhi sgranati l'enorme pistola puntata alla sua testa. Siek-Jin gli fece cenno di mettere giù il bicchiere vuoto che aveva in mano. A Eitan tremavano le mani, ma riuscì a posarlo sul ripiano.
Con la pistola sempre puntata alla testa dell'uomo, Siek-Jin roteò la mano nell'aria e poi indicò il pavimento. Eitan obbedì. Si voltò e si mise in ginocchio mentre le lacrime gli scorrevano lungo le guance. Siek-Jin sfoderò il coltello. Poi, con un unico gesto fluido, gli tagliò la gola. Eitan si portò le mani al collo emettendo un tenue gorgoglio. A quel punto Siek-Jin lo pugnalò alla schiena.
Con il coltello in una mano e la pistola nell'altra, afferrò il corpo senza vita dell'uomo e lo distese a terra. Dopo aver pulito il coltello sulla camicia lo rimise nel fodero. Sapeva che Vaner non sarebbe stata un bersaglio altrettanto facile. Gli serviva una mano libera.
Caine chiuse gli occhi e cercò di ricordare il futuro. Questa volta non si spinse troppo oltre prima di riaprire gli occhi e tornare all'Adesso.
“Dobbiamo mettere il divano davanti alla porta” disse costringendosi ad alzarsi. “Anche la libreria.”
Senza commentare, Nava e Jasper sollevarono il divano e lo portarono dall'altra parte della stanza. Doc si occupò della libreria. Quando ebbero finito, ammirarono il lavoro. Gli ultimi raggi di sole filtravano dalla finestrella vicino al soffitto dell'appartamento al pianterreno. Quando illuminarono il viso di Nava, a Caine sembrò di rivivere un déjà vu.
Si chinò in fretta e staccò la spina di una lampada dalla presa. Era piccola ma pesante. La tenne in mano come fosse un bastone. Poteva andare. Mentre si voltava verso la porta, sperò che il suo istinto funzionasse nei minuti successivi. In caso contrario, c'era il 97,5329% di probabilità che Nava morisse.
“Ho una visuale perfetta della sua testa.”
“No, Frank” ordinò Crowe. “Voglio solo che tu la ferisca di striscio.”
“Ma...”
“Frank: la squadra è mia, si fa a modo mio. Chiaro?”
“Sì” ringhiò Dalton. Crowe aveva un bel fegato a trattarlo così su una frequenza aperta. Alla fine dell'operazione, sarebbe stato aspramente criticato da Rainer ed Esposito.
“Leary, sei in posizione?”
“L'uscita posteriore è coperta” gracchiò Leary nel microfono.
“Frank, la vedi ancora?”
“Sì” rispose Dalton studiando il viso di Nava attraverso il mirino. Non gliene fregava niente di quello che aveva detto Crowe, l'avrebbe fatta pagare a quella stronza traditrice. Peccato, però. Era una bella pupa. Lui e i ragazzi le avrebbero dato una ripassata volentieri. Era davvero un peccato doverle piantare un proiettile tra quei begli occhioni, ma non abbastanza da impedirgli di premere il grilletto.
“C'è qualcosa che non va” disse Nava. “Eitan: manca da troppo tempo.”
Prima che potesse impugnare la Glock, l'assassino coreano apparve sulla soglia e le puntò la pistola alla testa. “Non farlo” disse senza toglierle gli occhi di dosso. “Chang-Sun ti vuole viva.”
Nava aveva il cuore in gola. Dalla chiazza di sangue sui pantaloni del coreano capì che Eitan era già morto. Anche se il nemico era a soli tre metri da lei, le sembrò che fosse a un chilometro. Non ce l'avrebbe mai fatta a prenderlo prima che lui le sparasse.
Era spacciata.
“Colpisco Vaner tra cinque secondi” disse piano Dalton nel microfono. Fece un profondo respiro e trattenne il fiato durante il conto alla rovescia. Controllò le mani e posizionò il reticolo del mirino sul suo viso.
“Quattro.”
La linea orizzontale le attraversava gli occhi, mentre quella verticale le tagliava in due il naso. Il viso di Nava era diviso in quattro quadranti uguali.
“Tre.”
Posò il dito sul grilletto.
“Due.”
Si preparò al rinculo del potente fucile.
“Uno.”
Il fucile schioccò cercando di liberarsi dalla stretta, mentre rinculava dal proiettile 7,62mm che squarciò l'aria, sfrecciando a più di tre metri al secondo verso il cervello di Nava Vaner.
In quello stesso momento, Caine scagliò la lampada contro l'assassino coreano. Prima che quella centrasse il bersaglio, Siek-Jin si spostò lentamente a sinistra di una cinquantina di centimetri, proprio come Caine sapeva avrebbe fatto.
Vaner fu improvvisamente oscurata da una sagoma marrone scuro, che dopo una frazione di secondo diventò rossa. Qualcuno si era frapposto. Se quel qualcuno era David Caine, Dalton era nella merda. Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente mentre la sagoma spariva dal mirino. Vaner era ancora in posizione, anche se a giudicare dallo sguardo non ci sarebbe rimasta a lungo.
Dalton le scaricò il caricatore in testa e sperò che finisse nel migliore dei modi.
Ci fu un violento spostamento d'aria seguito da un rapido scricchiolio. All'improvviso il vetro della finestra andò in frantumi, sparpagliando i frammenti nella stanza mentre il coreano cadeva in avanti, sbattendo sul tavolino di legno. Il buco sulla fronte delle dimensioni di una palla da baseball rivelò la materia grigia del suo cervello, chiazzata di rosso. Nava agì d'impulso e si precipitò dall'altra parte della stanza trascinando Caine a terra.
“GIÚ!” gridò mentre sulla parete alle spalle del punto in cui si trovava fino a poco tempo prima comparivano due fori. Poi sentì lo schianto dell'esplosione di un pezzo della porta. Sarebbero entrati se non fosse stato per il divano e la libreria, che tennero a bada gli aggressori. Avevano solo una manciata di secondi prima che fosse troppo tardi.
Guardò Caine, a terra sotto di lei, con gli occhi chiusi e il respiro affannato.
Caine sapeva di avere 15,3 secondi. O almeno così credeva. Per un istante vide tutto dinanzi a sé, un milione di rami di possibilità che avevano origine da quel momento. Poteva percorrerli tutti e passare un'infinità di tempo a rintracciare il possibile futuro di ogni scelta. Molti portavano alla sua morte, tutti tranne alcuni a quella di Nava. Solo in pochissimi tutto andava come lui desiderava.
Ogni strada aveva un numero infinito di diramazioni, molte con orribili ripercussioni che Caine non poteva sondare. Se avesse avuto più tempo, avrebbe potuto prendere una decisione migliore, ma non era così. Gli restavano solo 13,7 secondi. Scelse la strada che gli sembrava più giusta, la meno sbagliata, facendo affidamento in parte sul suo sapere e in parte sull'istinto.
“Scusami, Nava” disse con gli occhi ancora chiusi.
Lei stava per chiedergli di che cosa stesse parlando quando lui l'afferrò per le braccia e la fece rotolare sulla schiena per poi sbatterle la testa sul pavimento. Il suono che il cranio produsse sul cemento ricordò a Nava lo schiocco di un fucile.
Poi diventò tutto nero.
Caine guardò Jasper e Doc, che cercavano di sostenere la barriera provvisoria: avrebbe voluto spiegare loro tante cose, ma gli restavano solo 9,2 secondi.
Strisciò in fretta verso il cranio sfasciato di Siek-Jin, trascinandosi dietro la gamba ferita. Tremò al pensiero di quello che stava per fare, ma sapeva che il tempo incalzava perciò procedette. Infilò la mano nella testa del coreano e prese una manciata di materia grigia, cercando di recuperare anche quanto più sangue possibile. Il calore lo meravigliò e gli sembrò di immergere la mano in un piatto di lasagne bollenti. Gli si rivoltò lo stomaco, ma non si fermò.
Strisciò sui gomiti cercando di non piegare il ginocchio e riuscì a non perdere l'equilibrio mentre portava a Nava la macabra sostanza. Non appena la ebbe raggiunta, gliela spalmò sul volto e tra i capelli. Chiunque l'avesse guardata con attenzione avrebbe capito che quella roba non era la sua, ma c'era meno del 2,473% di probabilità che ciò si verificasse.
Caine afferrò lo zainetto di Nava e barcollando raggiunse la cucina, dove si chiuse la porta alle spalle 1,3 secondi prima che tre soldati irrompessero nella stanza.
...
Si chiamano Martin Crowe, Juan Esposito e Charlie Rainer. Sono tutti vestiti di nero da capo a piedi e indossano un giubbotto antiproiettile. I volti sono irriconoscibili dietro il vetro fumé dei caschi.
“A terra, subito!” sbraita Rainer anche se sono già tutti sul pavimento.
...
Caine scavalcò il corpo di Eitan, disteso in una pozza di sangue, poi afferrò un lungo cappotto nero e un cappello dall'attaccapanni e aprì la porta sul retro. Tenne gli occhi chiusi. In quel modo era più facile vedere.
...
Esposito sbatte Doc contro la parete.
Uno scarpone pesante colpisce la schiena di Jasper mentre Crowe gli punta la bocca della pistola alla testa. Quando nota il livido sbiadito sulla guancia, capisce che non è il gemello che cerca. Una rapida occhiata nella stanza gli rivela ciò che ha bisogno di sapere.
“Leary, il bersaglio viene verso di te.”
“Lo vedo.”
...
“Fermo!”
Caine si costrinse a camminare ignorando la paura. L'uomo indietreggiò lentamente, con la pistola puntata al torace di Caine proprio come lui sapeva che sarebbe successo.
“Fermo o sparo!” gridò l'uomo.
“Non lo farai” replicò Caine. Con gli occhi ancora chiusi sollevò la Glock 9mm di Nava e...
...
punta la pistola e preme il grilletto. Il proiettile squarcia il polpaccio di Leary, ma non lo ferma. L'uomo gira la pistola e colpisce in testa Caine con il calcio...
(loop)
punta la pistola e preme il grilletto. Il proiettile manca il bersaglio e rimbalza sul marciapiede. Leary fa un salto in avanti e attacca Caine...
(loop)
punta la pistola e preme il grilletto. Il proiettile finisce nel piede di Leary. L'uomo inciampa, rotea il braccio come un forsennato e trascina Caine a terra con sé...
(loop)
punta la pistola e preme il grilletto.
...
Il proiettile squarciò la carne di Leary, disintegrandogli il femore prima di uscire e frantumargli la parte posteriore della gamba. L'uomo cadde all'indietro urlando di dolore. Caine procedette oltre, virando appena a sinistra per evitarlo. Mentre sbucava fuori dal vicolo indossò il cappello nero.
Nell'attimo esatto in cui Crowe vide Leary per terra si lanciò in una corsa precipitosa, ma era troppo tardi. Quando ebbe svoltato l'angolo, Caine non si vedeva più. La strada era piena di ebrei cassidici, uomini tutti uguali vestiti di nero.
“Maledizione!” urlò scrutando la folla e rifiutandosi di credere che David Caine fosse sparito.
Si voltò e rientrò in casa. A giudicare dalla quantità di cervello sulla testa di Vaner, era ovvio che la donna era morta così come l'orientale disteso accanto a lei. Non si preoccupò di controllare il polso a nessuno dei due. Non poteva credere che Dalton li avesse fatti fuori entrambi. Con lui avrebbe fatto i conti dopo. Almeno il gemello era vivo: lui e il dottore erano contro la parete.
“Rainer, portali nel furgone” ordinò. “Esposito, esci dalla porta sul retro e aiuta Leary. Poi...” Sentì l'ululato delle sirene e s'interruppe. Le auto della polizia stavano per piombare sull'appartamento. Non c'era molto tempo. L'ultima cosa che voleva era spiegare la presenza di due cadaveri agli sbirri della zona. Gli interessava solo prendere i superstiti e sparire.
“Avete venti secondi. Aiuto io Leary. Esposito... accendi la luce quando esci.”
I suoi uomini sapevano cosa fare. Esposito piazzò un paio di detonatori elettronici su due pareti opposte e attaccò gli esplosivi. Crowe sapeva che non sarebbero rimaste prove: non aveva mai conosciuto un demolitore prudente che usava poco C-4, e Juan Esposito non faceva eccezione.
Si stavano allontanando di gran carriera dall'appartamento con i due prigionieri quando Crowe sentì un sibilo attutito seguito da un'esplosione assordante. Le autorità avrebbero trovato solo due cadaveri bruciacchiati e una serie di domande senza risposta.