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Nava attraversò la strada di corsa quando sentì il tonfo. Era troppo buio per vedere cos'era caduto, ma aveva il sospetto inquietante che si trattasse di una persona. Mentre entrava nel vicoletto fu presa alla sprovvista dal tanfo di carne rancida. Si coprì il naso con la mano e si fece strada a spintoni tra i sacchi della spazzatura rotti che circondavano i cassonetti, senza far caso al grattare e allo squittire dei ratti che le sfrecciavano tra i piedi.

Poi vide il corpo. La donna era nuda e completamente glabra a eccezione di un ciuffetto di peli pubici. Aveva gli arti piegati all'indietro in posizioni innaturali, che la facevano assomigliare a un manichino. L'unica prova del fatto che era stata un essere vivente era la lunga ferita sull'addome da cui stillava ancora un po' di sangue.

Nava le girò con delicatezza la testa. Anche se aveva i lineamenti distorti dall'angoscia, non c'erano dubbi sulla sua identità. Era Julia Pearlman, il soggetto Alfa. Nava ebbe un tuffo al cuore. L'Rdei non avrebbe accettato un'altra consegna mancata. Senza il soggetto Alfa l'avrebbero uccisa oppure consegnata all'Svr.

Appena si rese conto di non essersi fermata neanche un secondo a compiangere la povera ragazza, Nava si sentì pervadere dal senso di colpa. Come aveva fatto a ridursi così? Quando era diventata tanto fredda da pensare sempre e solo a se stessa? Ma persino mentre si poneva queste domande, la parte del suo cervello impegnata nella sopravvivenza continuava ad arrovellarsi nella disperata ricerca di una via di scampo.

Si tolse un fazzolettino di tasca, lo passò sulla ferita di Julia Pearlman, poi lo avvolse in un pezzo di plastica strappato da un sacco della spazzatura. Forse un campione di sangue avrebbe placato l'Rdei finché non si fosse inventata qualcos'altro. Poi udì un suono che le fece fermare il cuore.

La morta stava parlando.

 

Julia disse quello che doveva dire.

Adesso era finalmente il momento di riposare.

Adesso. Quella parola le girò nella testa: sembrava così futile. Si ricordò quanto tutto le fosse sembrato importante, ma quel tempo era finito. Nel giro di 3652 secondi non ci sarebbe più stato un Adesso. Solo il puro e bellissimo ogniquando. E nell'ogniquando non c'era quella puzza orrenda. E già quello bastava.

Julia fece un ultimo respiro tremante e aprì gli occhi.

 

Caine aveva intascato 360 dollari in meno di quattro ore. Quasi cento in più di quanto aveva stabilito. Sapeva che doveva alzarsi e andarsene, ma proprio non ci riusciva. Si raccontava le solite vecchie balle. La fortuna era dalla sua. Era concentrato. E, naturalmente, la madre di tutte le bugie dei giocatori: Appena le carte mi sono contro, me ne vado.

Ma poi perse ottanta dollari in modo idiota: il suo tris di dieci fu battuto da una scala realizzata con il viver. E poi fece esattamente quello che si era ripromesso di non fare: andò in tilt. Era così incazzato per aver perso quegli ottanta dollari che per le cinque mani successive rifiutò di chiudere anche se aveva delle carte schifose. Sapeva di giocare di merda, ma non riusciva a smettere. La grossa pila di fiches, accumulata in ore di gioco prudente, scomparve in meno di mezz'ora.

Quando ebbe perso fino all'ultimo centesimo, Caine si alzò senza dire una parola e se ne andò. Fuori, al freddo, si ficcò i pugni in tasca per tenersi caldo. La sua unica banconota da venti dollari gli sfregava contro le nocche, sbeffeggiandolo. Caine non aveva nemmeno voglia di usarla per il suo scopo originario: ubriacarsi.

Invece fece un giro lunghissimo per tornare a casa, una camminata di due ore in cui si lasciò penetrare dal freddo e si diede addosso ininterrottamente. Come cazzo aveva fatto a essere così idiota? Non gli bastava essere sotto di dodicimila con Nikolaev, doveva anche sputtanarsi gli ultimi quattrocento dollari?

Si chiese distrattamente se Peter non avesse qualche altro esperimento cui poteva partecipare. .

Davanti al condominio del fratello, Jasper controllò l'orologio per la quinta volta in un minuto: erano le 00.19 e 37 secondi, sette ore da quando David era uscito per andare alla bisca. La Voce gli diceva che stavano arrivando. Jasper si sarebbe portato la pistola con sé ma la Voce gli aveva detto di non farlo, perciò l'aveva lasciata sul tavolinetto.

Guardò di nuovo l'orologio, appena in tempo per vedere la scritta digitale che scattava a 00.20. Era quasi ora. Nonostante il freddo, Jasper grondava di sudore, prevedendo il pestaggio che stava per subire. Gli era già capitato di essere picchiato, ma sempre dalle guardie del Mercy, e tutto era finito con una provvidenziale iniezione di torazina. Non si era mai trovato in una rissa da strada e, poco ma sicuro, quella sera non ci sarebbe stata nessuna consolazione farmaceutica.

Ma la Voce diceva che doveva farlo per proteggere David, perciò eccolo lì.

Stanno arrivando ora. Rilassati. Presto sarà tutto finito.

Proprio in quel momento, una macchina nera accostò al marciapiede con i fari sfavillanti. Il guidatore schizzò fuori dalla Lincoln senza nemmeno prendersi la briga di spegnere il motore. Un attimo dopo era davanti a Jasper e lo guardava in cagnesco. Jasper fece appena in tempo a ricordare il nome del bestione russo quando Kozlov gli assestò un pugno in pancia. Jasper si piegò in due mentre l'aria gli usciva sibilando dai polmoni. Kozlov lo tirò su con la forza, afferrandolo per i capelli e gli mollò una cannonata sulla mandibola. Il mondo divenne nero.

Quando l'oscurità si diradò, Jasper si ritrovò con la faccia schiacciata tra il marciapiede ghiacciato e lo scarpone di Kozlov.

“Vitalij mi ha chiesto di darti un messaggio, Caine. Dice che ti conviene ricordare che i soldi non devi usarli per giocare, ma per pagarlo. Se ti avanzano soldi, paga Vitalij. Non andare a sputtanarteli coi musi gialli, chiaro?”

Lo scarpone di Kozlov gli premette più forte il cranio finché Jasper si rese conto che doveva rispondere qualcosa.

“Ok, ok! Ho capito!”

“Bene.”

Kozlov sollevò lo scarpone e Jasper ebbe la netta sensazione che il suo cranio riprendesse la forma consueta. Poi il russo gli tastò le tasche finché non pescò un portafoglio, ma dentro trovò solo una banconota da un dollaro e glielo ributtò addosso disgustato. La Voce aveva avvertito Jasper di svuotare il portafoglio prima dell'incontro.

Kozlov si chinò vicino alla faccia di Jasper. “Ci vediamo tra cinque giorni” disse e, per non sapere né leggere né scrivere, gli mollò un pugno sulla bocca. Jasper rimbalzò con la testa contro il marciapiede e svenne.

 

Tversky trattenne il fiato finché non sentì lo scatto del chiavistello. Ce l'aveva fatta. Buttò la sacca a terra e crollò su una poltrona con lo schienale alto. Chiuse gli occhi e cercò di rielaborare tutto quello che era successo nell'ultima mezz'ora. Il suo cervello mulinava, fermandosi un attimo a esaminare un dettaglio e poi ripercorrendo in fretta la sequenza di avvenimenti per assimilarne un altro.

Doveva riprendersi. Era successo tutto così in fretta. Aveva bisogno di bere qualcosa. Si avvicinò al mobiletto dei superalcolici, si versò quattro dita di scotch di puro malto e bevve una lunga sorsata, gustandosi la sensazione del liquido che gli bruciava in gola. Si scolò il resto ancora in piedi, poi si riempì di nuovo il bicchiere. Quando infine tornò alla poltrona, il mondo gli appariva sotto una luce più calda.

“Meglio” disse ad alta voce. “Va molto meglio.”

Quando ebbe finito il secondo bicchiere, infilò la cassetta nel videoregistratore. Mentre tornava alla poltrona si riempì di nuovo il bicchiere. Mezza bottiglia dopo, con la mano tremante puntò il telecomando verso la scatola nera e premette PLAY.

Sullo schermo vide se stesso, e rimase folgorato dalla vividezza dell'immagine. Nel filmato diceva l'ora e la data e poi presentava il soggetto Alfa (gli veniva più facile così, considerarla solo un'altra parte dell'esperimento, piuttosto che una persona... una persona che aveva ucciso), già privo di sensi sul tavolo. Poi gli iniettava quella che ora sapeva essere la sua ultima dose.

L'elettroencefalogramma era in funzione in un angolo dello schermo, con le quattro linee che si alzavano e si abbassavano adagio. All'inizio soltanto le onde theta si alzavano con un minimo di intensità mentre le altre languivano come lievi increspature in un laghetto. Poi l'elettroencefalografo cominciava a pulsare vivacemente e tutte le onde subivano un'impennata, schizzando verso l'alto del diagramma come un cavallone. Tversky fece scorrere le immagini al rallentatore, con gli occhi incollati allo schermo, cercando di capire cosa avesse fatto di giusto, o di sbagliato.

Ma non c'era niente da vedere. Solo il diagramma di un elettroencefalogramma in teoria impossibile e l'immagine di una donna i cui occhi si muovevano talmente in fretta dietro le palpebre chiuse che sembravano sul punto di esplodere. Poi lei vomitava e cadeva rotolando dal tavolo con uno scatto rapido, fuori dall'inquadratura. L'immagine sullo schermo adesso era disturbata e si vedeva solo il tavolo metallico vuoto.

Tversky premette PLAY per riportare il video alla velocità normale e ascoltare di nuovo le ultime parole di Julia. Alzò il volume. Con il sibilo della cassetta in sottofondo, la voce di lei, appena un sussurro, assumeva una qualità soprannaturale. Julia parlava per tre minuti e dodici secondi esatti, accelerando e rallentando come se fosse stata sulle montagne russe.

Alcuni frammenti erano del tutto sconnessi, ma altri erano di un'incredibile lucidità e comprendevano istruzioni dettagliate per qualsiasi possibile sviluppo. Dopo aver guardato il video sei volte, Tversky spense il televisore. La stanza cadde in un silenzio improvviso, ma le prime parole del soggetto Alfa si affrettarono a colmare il silenzio della sua mente.

Uccidilo. Uccidi David Caine.

Tversky aveva sperato che quelle istruzioni fossero tutto fuorché quello che gli erano sembrate. Adesso però, dopo aver ascoltato a ripetizione il roco mormorio, non c'era modo di negarlo. Se voleva ottenere la conoscenza, non aveva altra scelta che seguire le istruzioni.

Andò barcollando alla scrivania e si collegò a internet. Quando la pagina si caricò, Tversky inserì la parola da ricercare sotto il logo colorato di Google; dopo 0,63 secondi lo schermo elencò i primi dieci risultati di 175.000 occorrenze. Cliccò sul settimo link, proprio come gli aveva ordinato Julia. La homepage del sito diceva:

Le informazioni contenute in questo sito trattano di attività e apparecchiature che potrebbero costituire una violazione di varie leggi federali, statali e locali. I webmaster di questo sito non si assumono alcuna responsabilità per la violazione di qualsiasi tipo di legge. I nostri file sono esclusivamente per uso informativo.

Cliccate ENTER se avete letto e accettato i termini e le condizioni sopra citati.

Tversky si affrettò a cliccare sull'iperlink. Quando la pagina si caricò di nuovo, cominciò a leggere.

Nava crollò sulla poltrona nera, che oscillò delicatamente mentre si adattava al suo peso. Accese la lampada da tavolo che illuminò la sua postazione di lavoro con una luce morbida e bianca e proiettò il resto dello studio buio in un'oscurità ancora più fìtta.

Premette il pollice contro il pannello di vetro. Ci fu un rapido lampo di luce e il pollice le si illuminò di rosa. Sullo schermo piatto lampeggiavano tre parole.

Impronte digitali valide

Era entrata. Non lesse nessuno degli ultimi dati scaricati dal portatile di Tversky. Piuttosto, navigò nel sistema fino a trovare l'applicazione nota come “Rubrica telefonica”.

Il programma era collegato a tutti i database del governo, compreso quello della Cia, dell'Fbi, della Previdenza sociale, dei Servizi per l'immigrazione e la naturalizzazione e, ovviamente, dell'erario. Se l'uomo di cui le aveva parlato Julia Pearlman esisteva, l'avrebbe trovato sulla rubrica telefonica.

Visto che non era sicura di come si scriveva il cognome, inserì una ricerca multipla.

cognome: cane, cain, caine, kane, kain, kaine

nome : david

città: new york

stato: new york

Premette ENTER e aspettò che il computer setacciasse le sue banche dati. Non ci volle molto.

SEI RISULTATI PER LA RICERCA:

Cane. David L. - 14 Middaugh Street, Brooklyn, ny

Cain. David P. - 300 West 107th Street, Manhattan, ny

Caine. David M. - 28 East 10th Street, Manhattan, ny

Caine. David T. - 945 Amsterdam Avenue, Manhattan, ny

Kane. David S. - 24 Forest Park Road, Woodhaven, ny

Kain. David - 1775 York Avenue, Manhattan, ny

ESEGUI NUOVA RICERCA

 

Nava si focalizzò sul secondo e sul quarto risultato, visto che entrambi gli indirizzi erano in un raggio di sei isolati dalla Columbia University. Cliccò su  “Cain, David R”. Ci fu una breve pausa e poi lo schermo si riempì di informazioni. Nava scorse la pagina, in cerca di qualcosa che saltasse agli occhi, ma non trovò nulla. Solo un newyorchese qualsiasi con un appartamento troppo caro e parecchi debiti.

Saltò il risultato successivo e passò a “Caine, David T”. Sgranò gli occhi quando lesse che era uno studente della Columbia. Doveva essere lui quello di cui le aveva parlato Julia. Guardò bene la fotografia del passaporto. Dallo schermo, David T. Caine ricambiava lo sguardo, con occhi duri, un accenno di sorriso agli angoli della bocca, come se sapesse che lo stava osservando.

Lei continuò a scorrere il resto del file, memorizzando le informazioni a mano a mano che leggeva. Quando ebbe letto tutto, tornò alla fotografia.

“Perché sei così importante, signor Caine?” chiese, rammaricandosi di non aver avuto più tempo per parlare con Julia. All'improvviso udì un lieve rumore di passi sul pavimento. Stava arrivando qualcuno. Fece appena in tempo a liberare lo schermo quando Grimes emerse dall'oscurità. Diede un enorme morso alla mela verde che aveva in mano e si sedette davanti a lei. Sfoggiava un sorriso giallastro mentre masticava. “Un morso?” le chiese, porgendole il frutto. “No, grazie” rispose Nava, cercando di nascondere il suo disgusto.

“Ho già mangiato.” Grimes gonfiò le guance e poi ingoiò con un sonoro gulp. “Come vuoi.” Prese un altro morso, ancora più grosso del primo, e continuò a mangiare. Si appoggiò all'indietro e posò i piedi scalzi sulla scrivania di Nava. “C'è qualcosa che posso fare per te?” chiese Nava. “Forse. Chi può dirlo?” rispose Grimes tra una masticata e l'altra. Quel tizio era incredibile. “Allora ti riformulo la domanda: che cosa vuoi?”

“Niente. Ho lavorato fino a tardi e ho pensato di passare a farti un saluto.”

“Ciao” disse Nava. Grimes prese un altro morso, masticando a bocca aperta e fissando il soffitto. Era palese che non voleva cogliere l'antifona. “Be', se non c'è altro, io mi rimetterei a lavorare” disse Nava. “Certo, nessun problema” disse Grimes, anche se non accennò ad andarsene. Nava lo fulminò con lo sguardo. “Va bene, va bene, me ne vado. Cristo santo, stavo solo cercando di fare due chiacchiere.” Si alzò e fece per andarsene ma a metà strada si bloccò. “A proposito,” disse girandosi dall'altra parte, “come facevi a sapere di David Caine?”

Nava mantenne la faccia da bluff. “Cosa vuoi dire?” chiese con voce calma.

“Be', stavi guardando il file su di lui proprio ora, no?”

“E cosa te lo fa pensare?” chiese Nava.

“Lo penso perché lo so, bambola” disse Grimes mentre prendeva un altro morso. “Metto un contrassegno a tutti i file su cui sto lavorando in modo da sapere chi li apre e quando.”

“E tu perché stavi lavorando sul file di David Caine?” chiese Nava in modo evasivo.

“Il dottor Jimmy cioè, Forsythe vuole tutte le informazioni disponibili su Caine prima che tu lo acchiappi domani.” Nava era confusa. Si portò la mano sulla gamba, e tastò la pistola che teneva nella fondina al polpaccio, ma resistette all'impulso di puntar gliela alla tempia. Con disinvoltura, gli disse: “Non sapevo di dover 'acchiappare' qualcuno domani: men che meno David Caine”.

“Be', non è ancora ufficiale, ma so come ragiona il dottor Jimmy. Vedrai che vorrà avere Caine il prima possibile.”

“Perché?”

Grimes la guardò come se fosse cretina. “Perché è lui il soggetto Beta.” Prese un ultimo morso di mela e lanciò il torsolo verso il cestino della spazzatura. Quello rimbalzò sul bordo e finì sul pavimento. Grimes non accennò a raccoglierlo.

“L'altro giorno ho infettato il computer di Tversky con un worm,” disse Grimes con più di un velo d'orgoglio, “così ogni volta che cancella permanentemente un file che è stato salvato da qualche altra parte, il suo computer me lo manda in automatico per email. Stanotte ho fatto bingo. A quanto pare Tversky ha fatto un repulisti completo delle sue cartelle dati verso mezzanotte. Per lo più era tutta roba che avevo già, ma uno dei nuovi file conteneva un intero resoconto medico di David Caine, e lo identificava come il soggetto Beta.

“Dato che non l'avevo fatto vedere a nessuno, mi chiedevo come facevi a saperlo.”

“Sorveglianza fisica” disse Nava, come se fosse una risposta esaustiva.

“Oh, l'hai visto che si incontrava con Tversky, eh?” chiese Grimes, ammirato. “Che ficata lo spionaggio. Comunque, visto come gli rodeva il culo di non sapere chi era il soggetto Alfa, mi sa tanto che il dottor Jimmy vorrà avere il soggetto Beta in men che non si dica.”

Nava annuì.

“Oh be', è ora di tornare al mio computer. Ho un torneo di halo che comincia tra cinque minuti. A dopo.” Senza aspettare risposta, Grimes si allontanò nel buio verso un'altra pozza di luce più avanti lungo il corridoio. Nava si passò una mano tra i folti capelli. Se Grimes aveva detto giusto, allora le cose si erano ulteriormente complicate.

Avrebbe voluto più tempo per riflettere sul da farsi, ma i minuti passavano. Accedette rapidamente alla mappa topografica della zona dove abitava Caine tramite il Dipartimento urbanistico di New York, afferrò il cappotto, uno zainetto e una grossa sacca, e si diresse alla porta. Quando fu per strada chiamò un taxi.

“Al 945 di Amsterdam Avenue” disse al tassista. Il taxi partì in sgommata, schiacciandola contro il sedile. Nava controllò la pistola e chiuse gli occhi. Erano a circa cento isolati dalla casa di Caine. Aveva almeno un quarto d'ora per prendere una decisione.

 

Mentre Caine si avvicinava al suo edificio, vide un barbone steso a terra sui gradini dell'ingresso. Gli dispiaceva per quel poveraccio, in parte perché aveva il sospetto che presto anche lui sarebbe finito a vivere per strada. Quando raggiunse le scale si chinò e girò delicatamente l'uomo di schiena.

“Ehi, amico, tutto a po...” Le parole gli vennero meno quando vide la faccia insanguinata dell'uomo. Era la sua. Per un attimo Caine sentì la sua salute mentale abbandonarlo, ma poi gli tornò addosso come un elastico. Non stava guardando se stesso, bensì Jasper.

“Cristo santo! Jasper, che cazzo è successo?”

“Ho avuto un incontro con uno dei tuoi amichetti russi” rispose lui tossendo e ripulendosi il sangue dal naso. “A proposito, ti saluta Vitalij'.”

“Oh, merda, mi dispiace tantissimo.”

Caine si buttò il braccio del fratello sulla spalla e lo portò all'ingresso. Armeggiò con la chiave nella toppa e lo aiutò a salire le scale, sperando che non ci fossero altre sorprese ad attenderlo dentro.

 

Da un tetto dall'altro lato della strada, Nava si mise gli occhiali a infrarossi mentre Caine trasportava lo sconosciuto in casa. L'uomo aveva un che di familiare, ma lei non riusciva a identificarlo. Il sangue che gli copriva il viso rendeva difficile distinguerne i lineamenti. In un attimo Nava tirò fuori una minuscola macchina fotografica digitale, a sua volta a infrarossi, e scattò qualche foto, zoomando sul viso dello sconosciuto. Le avrebbe esaminate dopo.

Poi si concentrò sul treppiedi che aveva preparato prima. Guardò nel mirino, lo puntò al quinto piano e attese che si accendesse la luce. Dopo aver osservato la finestra buia per quasi un minuto, cominciò a domandarsi se non avesse sbagliato appartamento, ma poi intravide un debole raggio di luce.

Evidentemente Caine aveva appena aperto la porta: la luce veniva dal corridoio. Sarebbe entrato nel suo campo visivo in pochi secondi. Nava contrasse le spalle ansiosa.

 

Quando Caine ebbe aperto la porta e acceso la luce, i due fratelli entrarono barcollando in casa. Caine afferrò la maniglia della porta per reggersi ed evitare di cadere entrambi a terra.

“Su, Jasper. Ci siamo quasi.”

Jasper gemette e battendo le palpebre aprì l'occhio destro. Provò ad aprire anche il sinistro ma era talmente gonfio che non ci riuscì. Per un attimo si riprese e vacillò per gli ultimi pochi passi, poi crollò sul divano. Caine si appoggiò allo stipite della porta e ascoltò il respiro affannoso del fratello.

Dopo qualche secondo Caine andò da lui e gli sbottonò con cura la camicia, cercando di fare una stima dei danni: anche se c'era un livido scuro sul petto, non c'erano costole fratturate. Era la faccia la parte più danneggiata.

Jasper aveva l'occhio sinistro viola scuro, la guancia sfregiata in più punti e incrostata di sangue. Il naso era gonfio e insanguinato, ma non sembrava rotto. Infine, sulla nuca gli era spuntato un brutto bernoccolo che era già delle dimensioni di una grossa caramella.

Caine entrò nell'angolino che faceva da cucina. Riempì una ciotola d'acqua calda, prese un rotolo di carta e tornò a pulire il fratello. Con il sangue lavato via, Jasper non aveva un aspetto così orrendo. Certo, sembrava appena uscito da un round con Mike Tyson, però non dava l'idea di morire nel prossimo futuro.

Caine pensò di portarlo in ospedale, ma sapeva che i medici non potevano fare niente più di quello che poteva fare lui, a parte prescrivergli antidolorifici più efficaci. Suo fratello aveva bisogno di una bella notte di riposo, e non di starsene cinque ore nella sala d'attesa di un pronto soccorso.

“Ehi” bofonchiò Jasper, facendolo saltare per aria.

“Come ti senti?”

“Non da dio, ma probabilmente meglio di come sembro” rispose, tirandosi su a sedere e allungando le gambe oltre il bordo del divano.

“Dove credi di andare?” chiese Caine, tenendolo per le spalle.

“Al bagno. Vuoi venire a guardare?” rispose Jasper, allontanandogli le mani. Si alzò e rimase un attimo in bilico, ma poi si stabilizzò reggendosi al braccio di Caine.

“Magari potrei accompagnarti, che ne dici?” chiese Caine.

“Si può fare.”

Caine aspettò fuori dal bagno. Poco dopo, Jasper aprì la porta. Aveva sempre un aspetto orribile, ma quanto meno sorrideva un po', o se non altro ci provava.

“Mi sono guardato allo specchio e ho cambiato idea: mi sento più o meno come sembro.” Si toccò con attenzione il retro del cranio. “Hai droghe pesanti in casa?”

Caine scosse la testa. “Niente di più potente di un'aspirina. A meno che tu non abbia voglia di provare un antiepilettico sperimentale.”

“No, mi accontenterò dell'aspirina.”

“Molto saggio.” Caine passò davanti al fratello ed entrò in bagno. “Quante ne vuoi?” chiese, mostrandogli la confezione.

“Quante ne hai?”

Caine scrollò il barattolo e tirò fuori quattro pasticche che Jasper mandò giù senz'acqua, da vero professionista. Poi Caine lo aiutò a tornare al divano. “Allora, ti dispiacerebbe dirmi in cosa ti sei andato a ficcare stanotte?” chiese Jasper.

“Niente da cui non possa tirarmi fuori” rispose Caine, sperando di sembrare più sicuro di quanto non fosse.

“Immagino sia per questo che quel russo mi ha ridotto la faccia a polpette.”

“Ti ha scambiato per me, vero?”

“Eh, già.”

Caine abbassò lo sguardo e si osservò le mani, senza sapere bene come formulare la domanda successiva. “Insomma, ti ha detto perché voleva pestarmi?”

“Qualcosa a proposito dei musi gialli.”

“Merda.” Incredibile che Nikolaev avesse scoperto così in fretta della partita da Billy Wong. Evidentemente gliel'aveva spifferato uno dei giocatori. “Cristo, mi dispiace.”

Jasper scosse la mano. “Non l'hai mica fatto apposta.”

“Sì, ma mi dispiace comunque. Forse è meglio se te ne vai per un po' da New York. Di questi tempi non è il posto più sicuro del mondo per me, né per la gente che mi assomiglia.”

“Stavo proprio pensando la stessa cosa. Domani parto per Filadelfia.” Jasper si grattò energicamente il naso. “Perché non vieni con me?”

“Magari potessi, ma devo restare per le analisi del dottor Kumar. Mi pare che finora la medicina stia funzionando.”

Jasper scosse la testa. “Tu devi andartene da questa città.”

“Non posso.” Caine si alzò in piedi, passandosi una mano tra i capelli. “Non avrò più una vita se non riesco a controllare le crisi. Questa è la mia ultima possibilità.”

“Non avrai una vita nemmeno se quel tizio ti ammazza.”

“Toh, non ci avevo pensato” disse Caine con tono brusco.

“Senti, sto solo cercando di aiutarti.”

Per un attimo rimasero entrambi in silenzio. Alla fine fu Caine a parlare.

“Scusami, Jasper. Sono con le spalle al muro. In circostanze normali sarei in grado di risolvere il problema dei soldi, ma con tutto quello che mi sta capitando con la salute, per non parlare...” Si interruppe. Non voleva raccontargli cos'era successo alla tavola calda. “...Non lo so, è solo che ho la sensazione di perdere la testa.”

Si accasciò su una poltrona. All'improvviso si sentiva sopraffatto. A guardare la faccia pesta del fratello tutto gli sembrava fin troppo reale.

“Vediamo di dormire un po'“ disse Jasper, poi chiuse gli occhi e si stese sul divano. “Chi lo sa... magari la risposta ti verrà in sogno. Sono successe cose ben più strane.”

“Già” disse Caine, ripensando alla tavola calda. “Puoi dirlo forte.”