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“Venti, Caine. Giochi o no?”
David Caine sentiva le parole, ma non riusciva a rispondere: il naso non glielo consentiva. Quella puzza era diversa da qualunque cosa avesse mai provato prima: un disgustoso spezzatino di carne rancida e uova marce affogato in una tinozza di urina. Aveva letto su internet che qualcuno si era suicidato per quanto era diventata atroce la puzza. All'inizio non ci aveva creduto, ma ora... ora non gli sembrava più così assurdo.
Sapeva che la puzza era un sottoprodotto di qualche cellula nervosa impazzita, ma questo non aveva importanza. Secondo il suo cervello, era reale. Più reale della nube di fumo di sigaretta che aleggiava sopra il tavolo. Più reale dell'odore di fritto di McDonald's ancora sospeso nell'aria dopo lo spuntino di mezzanotte di Walter. Più reale della puzza di sudore misto a disperazione che permeava l'intera stanza.
Era così atroce che avevano cominciato a lacrimargli gli occhi, ma per quanto atroce potesse essere, era pur sempre meno detestabile di ciò che rappresentava. La puzza indicava che ne stava arrivando un'altra, e a giudicare dall'intensità del vomitevole, raccapricciante tanfo, sarebbe stata veramente eccezionale. Ma la cosa peggiore era che stava arrivando in fretta, e di tutti i momenti in cui poteva capitargli, quello era il peggiore in assoluto.
Caine strizzò un attimo gli occhi nel vano tentativo di rimandare il destino. Poi li riaprì e fissò la confezione di patatine rossa e gialla accartocciata davanti a Walter: pulsava come un cuore di cartone. Distolse lo sguardo, temendo di vomitare all'improvviso.
“David, tutto bene?”
Caine si sentì una mano calda sulla spalla. Era sorella Mary Scala, una ex suora con una dentiera spropositata ancor più vecchia di lei. Era l'unica donna al tavolo, che cazzo, era l'unica donna in tutto il locale a eccezione delle due emaciate cameriere rumene che Nikolaev faceva girare per i tavoli in modo che nessuno avesse mai motivo di alzarsi. Ma sorella Mary era l'unica giocatrice donna. Nonostante la chiamassero tutti “sorella”, era piuttosto un surrogato di madre per gli uomini che vivevano nello scantinato o, come dicevano i russi, nel podval.
Tecnicamente, nessuno ci abitava davvero nel podval, ma Caine era disposto a scommettere che se avesse chiesto a uno qualunque dei venti e rotti uomini che si accalcavano attorno ai tavoli qual era il posto in cui si sentiva più vivo, si sarebbe sentito rispondere che era quello, l'angusto scantinato senza finestre cinque metri sotto l'East Village. Gli altri habitué erano tali e quali a Caine. Giocatori d'azzardo. Drogati del tavolo verde. Certo, alcuni avevano un ufficio lussuoso a Wall Street o mestieri altisonanti in centro e biglietti da visita con i caratteri d'argento in rilievo, ma per ciascuno di loro niente di tutto ciò aveva valore. L'unica cosa che contava erano le carte che ti capitavano e se le giocavi o meno.
Ogni sera ritornavano al minuscolo scantinato sotto il Chernobyl, il ristorante russo di Avenue A. Anche se il bar era sporco, i giochi che Vitalij Nikolaev gestiva erano puliti. La prima volta che aveva posato lo sguardo su Vitalij, con quella carnagione bianca e slavata e quelle braccia esili, femminee, Caine avrebbe giurato che fosse un ragioniere, di certo non un criminale russo.
Ma i suoi dubbi erano svaniti la notte in cui Vitalij Nikolaev aveva pestato a sangue Melvin Schuster, un innocuo vecchietto che aveva scelto il locale sbagliato per barare. Prima ancora che Caine capisse cosa stava succedendo, Nikolaev aveva trasformato la faccia di quel nonno panciuto in un macello rosso e carnoso. Dopodichè nel podval nessuno aveva più osato barare.
Eppure, quello era il luogo che Caine aveva scelto di chiamare casa. Il minuscolo monolocale nell'Upper West Side era solo il posto in cui dormiva, si faceva la doccia e, raramente, si sbarbava. Di tanto in tanto trovava una ragazza da portarsi su, ma era da un pezzo che non gli capitava. E non c'era da sorprendersi, considerato che l'unica donna con cui interagiva era sorella Mary.
“David, tutto bene?” La domanda di sorella Mary riportò Caine al mondo dei vivi. Batté le palpebre e le fece un rapido cenno del capo, il che bastò a fargli tornare la nausea.
“Sì, tutto a posto, sorella. Grazie.”
“Sei sicuro? Perché sei un po' verdino.”
“Sto solo cercando di fare un po' di verdoni” disse Caine con un sorriso stentato.
“Ehi, abbiamo finito con le chiacchiere, o volete prendervi una stanza?” sogghignò Walter mostrando i denti gialli. Si sporse in avanti, così vicino che Caine gli sentì l'alito di cipolla. “Venti. Giochi o No?”
Caine guardò le carte che aveva in mano e poi riportò lo sguardo verso quelle sul tavolo, stiracchiando le lunghe braccia muscolose sopra la chioma nera ribelle. Si ricacciò la nausea in gola e si costrinse a ignorare la puzza mentre decideva il da farsi.
“Finiscila con i tuoi calcoli e punta” disse Walter, tirandosi una pellicina del dito.
Caine era noto per farsi a mente le complesse operazioni necessarie a calcolare le probabilità di tutto, o quasi. L'unica variabile che non poteva quantificare era la probabilità che i suoi avversari stessero bluffando, ma ci provava comunque. Aveva l'impressione che il vecchio Walter gli mettesse fretta di proposito, perciò lo guardò annoiato e continuò a studiare le carte sul tavolo.
Stavano giocando a poker alla texana e le regole erano facili. A ogni giocatore venivano distribuite due carte, e a seguire c'era Aflop, ovvero si scoprivano tre carte che tutti vedevano. Poi il mazziere girava una quarta carta, chiamata turn, e poi la quinta e ultima carta, chiamata river. Ogni carta scoperta era seguita da un giro di puntate, dopodichè i giocatori mostravano le proprie carte. Chi aveva il punto più alto tra le cinque carte scoperte e le due che ognuno aveva in mano vinceva.
Il bello era che in qualunque momento un giocatore intelligente poteva guardare le carte sul tavolo e capire qual era la mano migliore da fare. Quando Caine guardava Aflop, non vedeva tre carte, bensì centinaia di probabilità, e quella che gli interessava di più era se aveva o meno la possibilità di vincere. Con le carte che aveva, riteneva che ci fosse un'elevata probabilità. Aveva in mano un paio di campioni: un asso di cuori e un asso di quadri. Il flop consisteva in un asso di fiori e due carte di picche, il jack e il sei. Il tris d'assi di Caine era il massimo la miglior mano possibile sul tavolo ma c'erano ancora molte carte utili nel mazzo da considerare.
Si mise a calcolare le probabilità di ogni possibile sviluppo. Nei pochi secondi preziosi in cui pensava alle varie combinazioni, i neuroni, convinti che l'aria fosse satura di puzza di carne rancida, ebbero la pietà di tacere.
Chiunque avesse in mano due picche aveva un totale di quattro picche: due in mano, due sul tavolo. Quella persona avrebbe avuto bisogno di un'altra carta di picche sul tavolo per completare il colore. Caine fece i suoi conti, girandosi e rigirandosi i numeri nella mente con la stessa facilità di una bambina che recita l'alfabeto.
C'erano un totale di tredici picche nel mazzo, quindi se qualcuno aveva due picche in mano, al massimo potevano essercene rimaste nove (in questo caso, le “carte utili”). Le probabilità che una delle prossime due carte fosse picche erano del 38%. Alte, certo, ma in fondo le probabilità che a qualcuno ne fossero già capitate due erano solo del 6%.
Nella sua testa Caine fece scattare la chiave per ottenere la risposta definitiva, le probabilità che fossero state distribuite due carte di picche e che ne apparissero tre sul tavolo. Sospirò mentre il numero gli compariva in mente girando su se stesso come una gloriosa insegna al neon: appena il 2,3 %. Era un rischio che poteva correre.
Ripeté l'esercizio, stavolta calcolando le probabilità che qualcuno ricevesse una carta di picche e completasse il colore: solo l'1,6%. Le probabilità che qualcuno centrasse il colore di fiori invece che di picche erano ancora più basse: lo 0,2%. Niente di cui allarmarsi.
La scala invece era più preoccupante. Con un asso e un jack scoperti e nessun'altra figura né un dieci in vista, c'erano dodici carte che avrebbero reso possibile una scala (uno qualunque dei quattro re, regine o dieci). Ma in ogni caso, c'era solo una probabilità del 3,6% che qualcuno avesse già in mano le altre due carte necessarie a fare scala. Teoricamente, anche la scala reale era ancora possibile, ma così improbabile che Caine non si mise neppure a calcolarne le probabilità.
Dato che aveva già un tris d'assi, quello che gli serviva era un altro asso, un jack o un sei. Se gli fosse arrivato un asso avrebbe fatto poker. Con un jack o un sei avrebbe fatto full, o di assi con jack o di assi con sei. Con sette carte utili nel mazzo (un asso, tre jack e tre sei) le probabilità che gli capitasse una qualunque delle carte necessarie erano del... Caine batté le palpebre, col sangue che gli pompava nelle vene... 28%. Niente male.
Guardò Walter, cercando di leggere negli occhi acquosi del vecchio pazzo, ma non c'era nulla da osservare se non una stanchezza sorda che Caine aveva già visto altre volte nel proprio riflesso allo specchio. Quella, e una smania nervosa, un desiderio intenso di giocare, giocare, giocare. E poi lo investì di nuovo, un'altra ondata di quell'orrido tanfo. Un rigagnolo caldo di bile gli risalì in bocca gorgogliando, ma Caine lo ricacciò giù.
Sapeva che avrebbe fatto bene ad andare al cesso, ma non poteva. Non nel mezzo di una mano in cui aveva il punteggio massimo. Col cazzo. Dovessero pure sanguinargli gli occhi, era escluso che si alzasse fino a che la partita non fosse ufficialmente terminata. Allungò una mano e buttò alla cieca quattro fiches nel piatto.
“Rilancio diventi.”
“Vedo.” Sorella Scala ci stava: Caine sperò che avesse raddoppiato sul jack e che non stesse cercando la scala come suo solito.
“Vedo.” Merda, anche Stone ci stava e, come sempre, rimase seduto immobile come una statua. Non si muoveva quasi mai, ma non era da questo che veniva il suo soprannome: quello se l'era guadagnato perché era una cazzo di roccia. Stone rispettava sempre le regole, non restava mai per sfizio o per un presentimento, e calcolava sempre le probabilità. Era escluso che giocasse, a meno che non cercasse una scala o il colore.
Caine si maledisse per non aver puntato di più prima del flop per scoraggiare tutti quelli che cercavano la scala. Non sarebbero rimasti se lui avesse puntato di più in apertura. Ma quella puzza gli annebbiava il cervello, lo faceva giocare da schifo. Cercò di convincersi che no, aveva puntato basso solo per adescarli e poi spennarli, perché era avido, ma non era vero. Era stata la puzza. La puzza, la puzza, la puzza. Se chiudeva gli occhi, vedeva ammassi di carne putrescente coperta di vermi bianchi che si contorcevano.
Walter giocherellava con le fiches, rigirandosele sulle nocche con stanca destrezza. Per un attimo, Caine pensò che stesse per rilanciare, ma invece vedeva e basta. Già, erano tutti in attesa del turn, non si sbilanciavano finché non avevano un'idea più precisa di cosa sarebbe arrivato.
La carta successiva fu una vista gioiosa. Per Caine, più avvenente del paginone centrale di “Playboy” e più bello del Grand Canyon al tramonto: un asso di picche. Con una coppia di assi sul tavolo e un'altra coppia in mano aveva un poker.
L'unica mano che poteva batterlo sarebbe stata una scala reale, ma era improbabile che qualcuno la centrasse. La carta successiva avrebbe dovuto essere un re, una regina o un dieci di picche, e in più bisognava che qualcuno avesse già le altre due carte di picche necessarie per completarla. Impossibile.
Eppure... Caine fece un rapido calcolo a mente, con le palpebre abbassate per nascondere i veloci movimenti degli occhi: le probabilità che uno dei giocatori avesse una qualunque delle tre combinazioni di picche (re-regina, re-dieci o regina-dieci) erano 1 su 150. Le probabilità che chiunque avesse una di quelle coppie e beccasse la terza carta erano 1 su 3500. Eh sì, proprio impossibile.
Il piatto era suo: restava solo da vedere quanto riusciva a rimpinguarlo prima che finisse la mano. Se avesse puntato troppo avrebbe rischiato di spaventare tutti i pesci. Ma se decideva di fingersi addormentato e giocare lento, rischiava di sprecare una mano sicura. Doveva puntare in modo equilibrato: né troppo, né troppo poco... semplicemente giusto.
“Venti.” Walter buttò quattro fiches rosse e si appoggiò allo schienale, come se si stesse preparando a una lunga attesa.
Caine guardò le proprie fiches e lentamente ne prese un paio verdi. “Facciamo cinquanta puliti.”
“Passo” disse sorella Scala disgustata, buttando giù le carte con una mano mentre con l'altra si tastava la croce d'argento che aveva al collo.
“Anch'io passo” disse Stone. Non si mosse nemmeno dato che le sue carte erano già a faccia in giù davanti a lui. Probabilmente tutti e due stavano cercando la scala e avevano capito che a quel giro qualcun altro aveva beccato un full o un colore.
“Quindi restiamo noi due” disse Walter, mangiucchiando una patatina fredda. “Perché non movimentarla un po'? Rilancio di cinquanta.” Aveva la voce più viscida della pelle. Le sue fiches tintinnarono al centro del piatto.
Caine cercò di arginare la puzza e concentrarsi. Che stava facendo Walter? Forse stava bluffando alla grande, ma Caine ne dubitava: non con un paio di assi sul tavolo. Inoltre, il sorriso compiaciuto e arrogante del vecchio lo spingeva a credere che avesse qualcosa. Poi capì: Walter aveva in mano o una coppia di jack o una coppia di sei. Aveva un full, probabilmente di jack con assi: l'unico problema era che il suo full non batteva i quattro amichetti di Caine.
Se non si fosse sentito così nauseato avrebbe sorriso. Al termine della mano, quando si sarebbe ritrovato a vomitare nel cesso, almeno avrebbe avuto un bel mucchio di fiches a consolarlo. Si sforzò di parlare con un tono normale, anche se ogni parola che gli usciva di bocca sapeva di latte cagliato.
“Più cinquanta.” Caine buttò una fiche da cento dollari. Il tondino nero opaco catturò lo sguardo di Nikolaev, che si avvicinò per assistere. Walter buttò una nera e si prese due verdi di resto. Poi il mazziere girò il viver un re di picche e lo stomaco di Caine girò su se stesso. Con un asso, un re e un jack di picche scoperti, la possibilità di una scala reale era più concreta che mai. Caine tornò a guardare le proprie carte e poi quelle sul tavolo, cercando di ignorare il tanfo. Bevve un gran sorso di Coca per mandarlo giù, ma fu inutile. Rifletti, rifletti, rifletti. Non concentrarti sulla puzza, concentrati sulle carte, sui numeri.
Era così che si faceva. I numeri l'avrebbero aiutato. L'avrebbero guidato. Li recitò a mente, convogliando tutte le sue forze nella litania delle probabilità. Aveva quattro assi. Poker. Che voleva dire?
La puzza, l'orrida puzza, era dappertutto.
No, concentrati. Concentrati sui numeri.
Ci sono 133 milioni di mani possibili che si possono fare con sette carte. Di questi 133 milioni, solo 224.848 risultano in un poker. Di conseguenza, c'è solo uno 0,16% di probabilità di centrare un poker, cioè 1 su 595.
E la scala reale?
Ci sono solo 17.238 combinazioni di carte che risultano in una scala reale. Solo una probabilità dello 0,013%. Una mano su 7761.
E se si fossero verificate entrambe contemporaneamente? Quante combinazioni sarebbero state? Gli girava la testa. Non riusciva a pensare. Quante combinazioni? Non molte. Poche. Pochissime. Irrisorie. In quelle condizioni la matematica era al di là delle sue possibilità. Sapeva solo che era un qualche piccolo sottoinsieme di 17.238 mani che includeva anche il poker. Probabilmente qualcosa come cinquemila mani. Cinquemila combinazioni di sette carte su 133 milioni di possibilità, cioè 1 su 26.600.
Era escluso. Cazzo se era escluso... però era possibile. Cristo, quella puzza lo stava ammazzando. Chiuse gli occhi, nella speranza che quando li avrebbe riaperti tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma quando alzò le palpebre gli sembrò di essere in una casa degli specchi. La faccia macilenta di Walter si allungava dal pavimento al soffitto. Le occhiaie scure che gli cerchiavano gli occhi erano grandi quanto dei frisbee. La sua bocca avrebbe potuto ingoiare un televisore da venti pollici.
“Ragazzo, sei sicuro di star bene?”
La voce era lontana anni luce. Caine girò la testa e l'intera stanza scattò così all'improvviso da farlo quasi cadere.
“Ehi, grand'uomo.” Era Stone: si era allungato e lo aveva afferrato per il braccio. All'inizio Caine non capiva perché, ma poi si rese conto di essere seduto a un angolo di quarantacinque gradi a sinistra. Si aggrappò al tavolo di feltro con entrambe le mani e si raddrizzò.
“Sto bene,” disse boccheggiando, “solo un attimo di capogiro. Scusate.” La sua voce sembrava uscire da una lunga galleria.
“Mi sa che faresti bene a stenderti, caro.”
“Prima deve finire questa cazzo di mano” disse Walter, poi si rivolse a Caine.
“A meno che tu non voglia mollare qui.”
“Non fare lo scassacazzi, Walter. Non lo vedi che sta male?”
“Scassacazzi? É la stessa bocca con cui preghi Dio, sorella? Cioè...”
“Walter, sta' zitto !” Sorella Scala lo disse con una tale autorità che Walter si zittì di colpo. Poi si chinò su Caine. “Vuoi stenderti un attimo sul divano?” Con la coda dell'occhio, Caine vedeva Vitalij Nikolaev che volteggiava sopra la spalla di sorella Mary. Non sembrava preoccupato: sembrava incazzato.
“No, no, sto bene” disse, mettendo nella voce tutta la forza che aveva. “Voglio solo finire la mano.” Prima ancora che sorella Scala potesse rispondere, Caine spinse una fiche nera nel piatto. “Cento” disse. Ora che l'ultima carta era scoperta, la partita era al piatto: l'unico limite ai rilanci erano le dimensioni del piatto.
Walter fissava Caine, cercando di soppesare l'avversario. Se qualcosa poteva trapelare da Caine, di sicuro il suo acuto malessere l'aveva nascosto. Tutto quello che Walter poteva arguire dalla sua osservazione era che Caine sembrava la morte in persona.
Dopo un secondo, Walter bofonchiò alle sue spalle. “Vitalij, fammi il conto.” Nikolaev si avvicinò al tavolo e con mano esperta impilò tutte le fiches nel piatto. Cinque nere, otto verdi e quindici rosse: un totale di 775 dollari.
“Vedo i tuoi cento e rilancio al piatto” disse Walter tirando fuori un mazzetto di banconote da cento dollari dal fermaglio che teneva posato accanto al gomito. “Fanno 875 dollari.”
Walter voleva che Caine pensasse che aveva centrato la scala reale, ma non c'era verso. Non con quelle probabilità. Stava solo cercando di comprarsi il piatto, ma Caine non gliel'avrebbe permesso. Guardò la sua misera pila di fiches e poi il foglio di carta che c'era sotto. Era una linea di credito per quindicimila dollari, la sua ricompensa per aver sempre pagato i debiti in fretta. Quando Nikolaev gliel'aveva data, Caine aveva giurato a se stesso che non l'avrebbe mai usata a meno che non gli fosse capitata una mano assolutamente sicura. Se non era il caso di rischiare con quattro assi, non sapeva proprio cos'altro poteva andar bene.
Gli fece un cenno, ma avrebbe potuto risparmiarselo. Nikolaev l'aveva già segnalato alla sua mastodontica guardia del corpo che aveva immediatamente piazzato una pila di dieci fiches viola davanti a Caine. Se avesse visto gli 875 dollari la partita sarebbe finita nel giro di cinque secondi. Se avesse perso, sarebbe andato sotto di un palo con Nikolaev: non allettante, ma pur sempre recuperabile in poche settimane. Caine cercò di ingannarsi pensando che stava realmente considerando quella possibilità, ma sapeva che era una balla. Non poteva vedere, cazzo. Non con un poker d'assi. Non dopo che Walter aveva cercato di rubargli il piatto. Vedere era fuori discussione. Doveva rilanciare.
Caine spinse lentamente quattro fiches viola verso il piatto e ne prese cinque nere di resto. “Sono 3500 dollari. Rilancio al piatto.”
Si udì un debole sussulto di sorella Mary. Anche Stone era colpito: si capiva dalla piccola ruga che gli era comparsa sulla fronte. Tutta l'aria che c'era nella stanza fu come risucchiata. Persino quell'orrida puzza retrocedette per un attimo quando Caine incontrò lo sguardo acquoso di Walter.
“Sono 2625 dollari, Walter. Giochi. O. No?”
Walter si limitò a sogghignare. “Domani ti mangerai le mani.” Fece un cenno a Nikolaev e gli furono piazzate davanti dieci fiches viola. Le spinse tutte in avanti, insieme a cinque nere, che buttò nel piatto una per volta.
“Rilancio al piatto” disse. “Vedi?”
Caine ebbe un tuffo al cuore. Non restavano altri rilanci. Era il capolinea. Doveva mettere 7875 dollari per vedere. Se perdeva, andava sotto di undici pali con Nikolaev: ovvero 10.600 dollari in più di quello che aveva in banca. Un debito serio con un uomo molto serio. Be', almeno non gli restavano più dubbi sul fatto che aveva ancora un problema col gioco. Il suo assistente della Giocatori anonimi ne sarebbe stato molto fiero.
Ma tutto questo non aveva importanza. Se fosse uscito ora, con quattro assi e il rischio di vincere il piatto che ora traboccava con 15.750 dollari, si sarebbe suicidato.
“Ci sto” disse con un sospiro avvilito e lo stomaco che gli si aggrovigliava in un doppio nodo. Fece scivolare otto fiches viola nel piatto e disse: “Faccele vedere”.
Caine sentiva tutto il tavolo sporgersi in avanti in attesa di vedere se Walter aveva davvero la regina e il dieci di picche per la scala reale, o se stava bluffando. Walter girò le carte una per volta. Quando Caine vide che la prima era la regina di picche, capì che l'aveva centrata. Eppure rimase a guardare paralizzato mentre il vecchio scopriva il dieci nero. Scala reale massima. Era in assoluto l'unica mano che poteva battere il poker di Caine. Aveva perso tutto. Non gli sembrava vero. Le probabilità erano talmente basse da rasentare l'impossibile.
Caine provò a dire qualcosa ma non ce la faceva. Riuscì solo a muovere un po' la bocca, ma prima che potesse emettere suono la puzza lo investì, inghiottendolo come un maremoto. La sentiva penetrargli nella pelle, pulsargli nelle vene, premergli contro le narici, la bocca, gli occhi. Era peggio che mai. Era la puzza della morte.
Caine vide tutto nero e ruzzolò a terra. Nella frazione di secondo prima che perdesse i sensi scoprì un'emozione che lo stupì: il sollievo.