19

Terminato il racconto, Nava si accese una sigaretta con calma ed espirò un lungo nastro di fumo. Caine non sapeva cosa dire. Era tutto talmente pazzesco che ci aveva quasi creduto. Nessuno avrebbe raccontato una storia così assurda se non fosse stata vera. Malgrado la prova del fuoco, o forse proprio per via di quella, si sentiva già profondamente legato a lei.

Ma poi la realtà prese il sopravvento. Spetsinstitut. Terroristi. Agenti deviati. Come aveva potuto crederci?

“Cristo” mormorò tra sé e sé. “É successo.”

“Come?”

Caine chiuse gli occhi, desiderando che lei sparisse, ma quando li riaprì la donna era ancora seduta accanto a lui.

“Stai bene?” gli chiese la visione.

“Tu non sei reale.”

“Cosa?”

“Tu non sei reale. Niente di tutto questo è reale, non può esserlo. Ho un episodio psicotico. É l'unica spiegazione razionale.”

“David, ti assicuro che...”

“no!” disse Caine alzando all'improvviso la voce. “Tutto questo non è reale. Tu fai parte di un'illusione.”

“Di che stai parlando?”

Non sapendo che altro fare, Caine si limitò a fissarla. Che cosa aveva detto Jasper? Corrugò la fronte e batté rapidamente le palpebre, cercando di ricordare.

 

Cerca di fare scelte intelligenti all'interno del mondo che ti crei. Prima o poi ritroverai la strada per tornare alla realtà

Bene. Poteva farcela. Bastava lasciarsi trasportare dalla corrente. Se non riusciva a tornare alla realtà, l'avrebbe aggirata. Il consiglio di Jasper era ottimo: il modo migliore per evitare di fare qualcosa di folle nel mondo reale era comportarsi il più assennatamente possibile in quello illusorio. Se poi quella era la realtà - ma non poteva essere, ne era certo - almeno avrebbe preso decisioni razionali.

Rassicurato da quell'analisi pragmatica, rivolse un'altra occhiata a Nava domandandosi cosa dire. La risposta gli balenò in mente: quello che avrebbe detto se fosse stato nel mondo reale. Aprì la bocca, esitò un istante per l'assurdità della situazione, ma non riuscì a trovare un'alternativa.

“Scusa, è solo che per un momento non mi sono sentito più io.”

“Stai bene?” gli domandò l'illusione... Nava, aveva detto di chiamarsi Nava.

“Sì” rispose Caine, ancora stranito ma pronto a fare i conti con la nuova situazione. Insistè, cercando di ritrovare la strada per la sanità mentale. “É una storia incredibile, ma non spiega come fai a sapere chi sono né perché mi hai salvato.”

Il viso di Nava si adombrò, turbato. “C'era... una donna. Mi ha parlato di te, mi ha detto chi eri, dove ti trovavi, tutto. E l'attimo esatto della tua morte se io non ti avessi salvato.”

Più che illuminarlo, la risposta lo confuse ulteriormente. “Questo non spiega ancora come faceva quella donna a conoscermi né perché tu hai deciso di salvarmi.”

“A essere sincera,” replicò Nava, “il mio piano non era salvarti, ma rapirti.”

“E consegnarmi all'Rdei?”

“Esatto.”

“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“La ragazza. Lei sapeva... sapeva il mio nome. Il mio vero nome. E sapeva... sapeva cose che non poteva conoscere a meno che le teorie del professore non siano giuste.”

Caine si sentì gelare. “Quale professore? Quali teorie?”

“Quello che ha condotto alcuni test su di te due giorni fa.”

Il cuore gli si fermò. Nava annuì. “Quelli dell'Nsa lo sorvegliano. Secondo i dati che hanno intercettato, pare che di recente abbia fatto dei progressi e si sia avvicinato... all'obiettivo.”

“Qual era il suo obiettivo?” chiese Caine, anche se una parte di sé sapeva già la risposta.

“É convinto di aver scoperto un modo per prevedere il futuro.”

Caine si sentì venir meno. L'illusione cominciava a sembrare fin troppo reale. Ancora una volta le parole di Jasper gli riecheggiarono in mente.

Ci si sente normali. É per questo che fa una paura bestia.

Il fratello aveva ragione, perché Caine non aveva mai avuto tanta paura in vita sua. All'improvviso provò un nuovo rispetto per il gemello.

“Stai bene?” gli chiese Nava. Caine rispose con un'altra domanda.

“Questa teoria... ha un nome?”

“Sì” rispose Nava. “Il demone di Laplace. Ti dice qualcosa?”

Caine annuì, ma la sua mente era altrove, stava cercando di mettere insieme i pezzi.

“Ho dato un'occhiata ai suoi appunti al laboratorio dell'Str” disse Nava. “La maggior parte era di fisica, biologia e statistica, ma alla fine c'era un'intera sezione dedicata al demone di Laplace. Non ho avuto tempo di leggerla attentamente, però mi è sembrato che parlasse di occultismo.”

“Non è occultismo” replicò Caine. “É teoria della probabilità.”

Nava gli rivolse uno sguardo assente. “Non ti seguo.”

Caine sospirò, non sapendo da dove cominciare né perché fosse necessario spiegare una cosa simile a un'allucinazione che era la semplice estensione del suo subconscio. Ma forse era una cosa che voleva lui, una spiegazione per se stesso. Fissò lo sguardo oltre Nava, sforzandosi di pensare al modo migliore per spiegarsi. Pur avendo studiato per anni le opere di Laplace, non sapeva da dove iniziare, perciò cominciò a parlare a ruota libera.

“All'inizio del Settecento, a Londra, viveva uno statistico francese di nome Abraham De Moivre. Poiché la statistica era appena nata, De Moivre riusciva a mantenersi calcolando le probabilità per i giocatori d'azzardo.

“Lo fece per circa dieci anni, poi scrisse un libro sulle sue teorie e lo intitolò la dottrina degli azzardi. Benché fosse solo di cinquantadue pagine, fu uno dei testi di matematica più importanti dell'epoca, perché gettava le basi della teoria della probabilità, che lui spiegò attraverso problemi inerenti a dadi e giochi.

“Il punto è che malgrado ciò che sembra implicare il titolo del libro, De Moivre non credeva nel caso.”

“Che vuoi dire?” chiese Nava.

“Per De Moivre il caso era un'illusione. Secondo lui niente accadeva 'per caso', ogni evento apparentemente casuale poteva essere ricondotto a un motivo fisico.” Nava era confusa, perciò Caine ricorse al suo vecchio espediente: nel dubbio, parla di monete.

“Va bene” disse gemendo, mentre prendeva di tasca un quarto di dollaro con cautela. “Se lancio questa moneta, per te qualunque cosa uscirà sarà pura fortuna o caso, vero?”

Nava annuì.

“Ti sbagli. Se fossi in grado di calcolare tutti i fattori fisici coinvolti nel lancio di una moneta l'angolazione della mia mano, la sua distanza dal suolo, la forza che uso per lanciare in aria la moneta, le correnti d'aria, la composizione della moneta eccetera, eccetera potresti prevedere con una precisione del cento per cento cosa uscirà, perché la moneta è soggetta alle leggi della fisica newtoniana, che sono assolute.”

Nava si accese una sigaretta e riflette sulle sue parole. “Forse non ci arrivo, David, ma non è impossibile calcolare esattamente tutti quei fattori?”

“Per le persone? Sì” rispose. “Ma il fatto di non poterli calcolare non significa che il risultato del lancio della moneta sia determinato dal caso. Significa solo che noi esseri umani non abbiamo la capacità di calcolare alcuni aspetti dell'universo. Perciò gli eventi possono sembrare casuali pur essendo interamente determinati da fenomeni fisici.

“Questa scuola di pensiero si chiama determinismo. Secondo i deterministi, non esiste niente di incerto: tutto ciò che succede è conseguenza di una causa precedente, anche se noi non la conosciamo.”

“Quindi camminare in una strada affollata e imbattersi in un amico non è un caso?” chiese Nava.

“No” rispose Caine. “Pensaci. Non vai mai da nessuna parte per caso, vero? Ogni luogo in cui vai è il diretto risultato di forze fisiche, emotive e psicologiche. Lo stesso vale per tutti. Perciò anche se un evento come l'incontro 'casuale' di un amico può sembrare tale, non lo è.

“Immagina un computer in grado di vedere nella tua mente e nei tuoi muscoli così come in quelli del tuo amico. Se conoscesse anche tutte le condizioni ambientali del mondo nei minuti o nelle ore immediatamente precedenti al vostro incontro, potrebbe prevedere quando, dove e come vi incontrerete. Il famosissimo 'incontro casuale ' non è affatto casuale, è un evento prevedibile.”

“Ma nel mondo reale,” disse Nava scandendo le parole, “un ‘incontro casuale’ è imprevedibile.”

Caine scosse la testa. “Non lo è. Il fatto che non esista un simile computer e che noi non possiamo prevedere un simile evento non rende l'evento imprevedibile, rende noi incapaci di prevederlo. Riesci a cogliere la differenza?”

Nava annuì piano mentre tutti i pezzi andavano a posto.

“In teoria è bello,” disse poi, “ma nel mondo reale non funziona così.”

“Invece De Moivre pensava proprio il contrario. Non faceva che usare dati fisici per prevedere fenomeni apparentemente imprevedibili, compresa la data della sua morte.”

“Come fece?” domandò Nava.

“Negli ultimi mesi della sua vita notò che ogni notte dormiva quindici minuti in più. Essendo un determinista portò quel dato alle sue estreme conseguenze, e cioè che se il sonno fosse aumentato allo stesso ritmo, la notte in cui era 'stabilito' che dormisse ventiquattro ore di fila sarebbe morto. Previde che la data sarebbe stata il 27 novembre 1754. Quel giorno, come aveva previsto, De Moivre morì.”

“Ma questo non prova la sua teoria” disse Nava scettica.

“Hai ragione, ma devi ammettere che un uomo secondo il quale, con i calcoli opportuni, tutto può essere previsto, e che proprio così riuscì a prevedere la data della sua morte, è piuttosto interessante” disse Caine improvvisamente serio. Nessuno dei due parlò per un po', poi lui riprese la spiegazione.

“Comunque sia, La dottrina degli azzardi di De Moivre ha gettato le basi per il pensiero di un altro matematico francese di nome Simon Pierre Laplace.”

Appena ebbe pronunciato quel nome, gli venne in mente l'aula opprimente dai pannelli di legno della Columbia in cui teneva i seminari. Erano passati più di due anni dal corso monografico sullo statistico del XVIII secolo, ma ricordava perfettamente la lezione.

 

“Come molti di noi in quest'aula, Laplace non era compreso dai suoi genitori” disse Caine facendo avanti e indietro davanti alla lavagna.

“Anche se il padre voleva che diventasse soldato o prete, Laplace scelse la vita accademica. A diciotto anni andò nell'epicentro universitario della Francia, Parigi, dove ottenne una cattedra di geometria in una scuola militare frequentata anche da un ragazzino di nome Napoleone Bonaparte, che poi credo abbia fatto cose straordinarie.”

Caine fu ricambiato da un risolino dei dodici studenti seduti intorno al tavolo.

“ Nel 1770 Laplace presentò il suo primo studio alla prestigiosa Académie des Sciences di Parigi. Fu subito chiaro a tutti che era un genio della matematica. Così decise di dedicare la vita a due materie, probabilità e astronomia. Quasi trent'anni dopo, nel 1799, fuse i due temi nel testo di astronomia più importante dell'epoca, il Trattato di meccanica celeste, che conteneva non solo un approfondimento analitico sul sistema solare, ma anche nuovi metodi per calcolare le orbite dei pianeti.

“I motivi per cui il Trattato di meccanica celeste è a tutt'oggi considerato importante non sono tanto i risultati astronomici, quanto il fatto che Laplace fu il primo ad applicare la teoria della probabilità all'astronomia. Mostrò che le osservazioni multiple della posizione di una stella tendevano a conformarsi alla curva a campana descritta da De Moivre in La dottrina degli azzardi. Molto semplicemente, usando la teoria della probabilità, Laplace riuscì a prevedere le posizioni dei pianeti e a comprendere meglio l'universo.”

“Che significa ' osservazioni multiple della posizione di una stella '?” domandò un pallido studente dai capelli neri e sottili.

“Buona domanda” replicò Caine avvicinandosi alla lavagna. “All'epoca, uno dei principali problemi dell'astronomia era il fatto che tutti facevano le misurazioni a mano. E, siccome le persone sbagliano, i dati non erano perfetti. Venti astronomi registrarono la posizione di una stella e ottennero venti risposte diverse.


“Laplace riunì le venti osservazioni diverse in un grafico e notò che le varie posizioni formavano una curva come questa.” Indicò il grafico di una distribuzione normale appeso alla parete.

 

“Quando la vide disse: 'Bene bene, se le osservazioni rientrano in una distribuzione normale e l'apice della curva a campana mostra il probabile vero valore del campione, allora l'apice potrebbe essere la vera posizione della stella '. Ora ci sembra ovvio, ma all'epoca era un concetto rivoluzionario. Fu il primo esempio dell'applicazione della teoria della probabilità a un'altra disciplina. Secondo Laplace, anche se era impossibile conoscere la posizione precisa della stella, era possibile conoscere la posizione della stella con un certo grado di probabilità.”

Caine fece una pausa per accertarsi che tutti lo stessero seguendo.

“Ma non fece una pausa qui. Nel 1805 pubblicò il quarto volume del Trattato di meccanica celeste in cui sviluppò un nuovo approccio filosofico alla fisica. Teorizzò che ogni fenomeno presente in natura poteva essere compreso studiando le forze in atto tra le molecole. Usò questa nuova teoria per studiare tutto, dalla pressione dell'aria alla rifrazione astronomica, servendosi sempre di strumenti della teoria della probabilità, come le curve a campana, per misurare fenomeni diversi.

“Laplace conseguì il suo massimo risultato nel 1812, quando pubblicò la Teoria analitica della probabilità, in cui perfezionava il metodo dei minimi quadrati e l'importanza di minimizzare gli errori...”

Uno studente paffutello di nome Steve alzò la mano. “Non la seguo.”

Caine si ricordò che il seminario dal titolo Statistici moderni faceva anche parte del programma di storia e quindi non erano richieste conoscenze di statistica. Ai tre laureandi in storia doveva spiegare cosa significasse minimizzare gli errori. Si grattò la testa e cercò un punto da cui iniziare.

“Conoscete la differenza tra statistica e probabilità?”

Steve e gli altri non matematici scossero la testa.

“D'accordo. La teoria della probabilità è lo studio dei cosiddetti eventi ' casuali ', come il lancio di dadi e monete; la statistica riguarda le misurazioni di eventi ' reali ' come i tassi di natalità e di mortalità. In altri termini, la teoria della probabilità è usata per ricavare formule che prevedono i risultati della statistica.”

A Caine sembrò di vedere una lampadina accendersi sulla testa di Steve, ma non era certo che anche gli altri due avessero capito, perciò ricorse a un suo vecchio espediente.

“Partiamo da un esempio facile. Se lancio una moneta per quattro volte di fila, quante volte uscirà testa?”

“Due” rispose Steve.

“Perché?”

“Perché testa esce la metà delle volte e la metà di quattro è due.”

Caine annuì. “Praticamente hai appena usato la teoria della probabilità per prevedere una statistica, e cioè quante volte uscirà testa. Che tu ne sia cosciente o meno, hai creato una formula per risolvere il problema.” Caine scrisse:

T = Numero di volte in cui è uscita testa

L = Numero dei lanci della moneta

Prob(T) = prob che esca testa quando si lancia una moneta

Quante teste si prevedono su quattro lanci?

T = Prob(T) x L

T = 0,5 x 4

T = 2

“Anche se sappiamo che il risultato più probabile di quattro lanci di una moneta sarà due volte testa e due volte croce, credete che testa uscirà sempre due volte?”

“No.”

“Esatto. Anzi, la maggior parte delle volte non usciranno due testa.”

Steve era confuso. “Ma non ha detto che due volte testa è il risultato più probabile?” chiese.

“No. Ci sono sedici possibili risultati quando si lancia una moneta quattro volte di fila. Guardate.”

T = Numero di volte in cui è uscita testa

C = Numero di volte in cui è uscita croce

n = Numero dei possibili risultati di quattro lanci di una moneta

T = 0 ’ {CCCC} (n = 1)

T = 1 ’ {TCCC, CTCC, CCTC, CCCT} (n = 4)

T = 2 ’ {TTCC, TCTC, TCCT, CTTC, CTCT, CCTT} (n = 6)

T = 3 ’ {TTTC, TTCT, TCTT, CTTT} (n = 4)

T = 4 ’ {TTTT} (n = 1)

Perciò:

n = 1 + 4 + 6 + 4

n = 16

“Visto? Su sedici diverse possibilità, solo in sei lanci usciranno due volte testa e due volte croce. Perciò dieci volte su sedici, cioè il 62,5% delle volte, non ci saranno due testa. Ora vi chiedo di nuovo: se lancio una moneta per quattro volte di fila, quante volte uscirà testa?”

Steve fissò ciò che Caine aveva scritto alla lavagna e corrugò la fronte per la concentrazione. “Io direi ancora due.”

“Perché due, se ti ho appena dimostrato che sbaglieresti il 62,5% delle volte?” domandò Caine.

“Perché con qualsiasi altro numero sbaglierei più del 62,5% delle volte.”

“Proprio così” disse Caine facendo schioccare le dita. “Se avessi detto una o tre avresti sbagliato il 75% delle volte, mentre se avessi detto zero o quattro avresti sbagliato il 93,75 % delle volte.” Caine sorrise. “Dicendo due hai scelto la risposta che minimizzava le probabilità di sbagliare. Questo è il fondamento di tutta la teoria della probabilità: minimizzare gli errori.

“Anche se dai lanci è probabile che testa esca un numero di volte diverso da due, l'equazione iniziale

T = 0,5 x L

“è ancora valida, perché descrive al meglio il fenomeno. Un altro modo per verificarlo è riportare i dati in un grafico. Come potete vedere c'è una curva a campana e l'apice della curva riflette la tendenza naturale del fenomeno.”


 

“Laplace fece più o meno la stessa cosa, solo che invece di prevedere il numero di volte in cui sarebbe uscita testa usò migliaia di osservazioni astronomiche e creò equazioni per prevedere le orbite dei pianeti.”

“Questo l'ho capito,” disse Steve, “ma non riesco a capire perché sia importante.”

“É importante perché spiega il funzionamento della teoria della probabilità. Laplace dimostrò che il modo migliore per prevedere la realtà non è calcolare la risposta giusta, ma capire quale risposta è la meno sbagliata. Nel caso della moneta, per esempio, anche se le probabilità che esca due volte testa su quattro lanci sono solo del 37,5%, le probabilità che esca un numero diverso di volte sono ancora meno, perciò la previsione iniziale di due volte è la meno sbagliata e quindi la più giusta.

“Ecco perché, a differenza di altri, Laplace riuscì a prevedere le orbite dei pianeti. Creò equazioni che minimizzavano le differenze tra i dati di tutti gli astronomi e in questo modo potè stabilire le orbite planetarie con un margine minimo di errore.”

“E quindi con le massime probabilità che fossero giuste” aggiunse Steve.

“Esatto” replicò Caine, contento che lo studente sembrasse capire. “La cosa importante da notare è che tramite questo metodo, come anche altri metodi della teoria della probabilità, non si può mai essere del tutto certi di niente, poiché l'obiettivo delle sue equazioni diventa quello di minimizzare gli errori, non di eliminarli.”

“Perché non di eliminarli?” chiese una brunetta di nome Amber.

“É impossibile eliminare completamente gli errori perché mancano tutte le informazioni necessarie a creare un'equazione in grado di fornire previsioni perfettamente esatte.”

“Perché?”

“Pensa ai sondaggi dei giornali prima delle elezioni: non sono mai giusti al 100% perché è impossibile intervistare ogni elettore. Tuttavia, esaminando un campione ristretto di persone di ceti socioeconomici diversi, gli esperti di sondaggi possono creare equazioni in grado di prevedere quale candidato vincerà con un certo grado di probabilità. I sondaggi sono accurati solo entro i limiti di uno o due punti percentuale perché i risultati sono probabilità, non certezze.

“La teoria della probabilità da agli scienziati la libertà di presupporre che una risposta è 'giusta' anche quando non sono sicuri al 100% perché stabilisce che, nel caso in cui le probabilità di sbagliare siano minime, è possibile che si sia scoperta la verità.”

Caine fece una pausa per lasciare sedimentare il tutto e poi proseguì.

“Questo ci porta alla teoria più controversa di Laplace, che spesso veniva definita il suo 'demone'. Due anni dopo la pubblicazione della Teoria analitica della probabilità scrisse il Saggio filosofico sulla probabilità, in cui si trova la sua seconda citazione più famosa.” Caine guardò gli appunti e lesse ad alta voce le parole di Laplace:

Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: per essa nulla sarebbe incerto e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.

“In altri termini,” continuò Caine, “poiché credeva che l'universo fosse deterministico, Laplace ipotizzò che comprendendo tutte le leggi della fisica e conoscendo la posizione di ogni particella subatomica dell'universo in un dato istante, si potrebbe sapere tutto ciò che è successo e si potrebbe prevedere alla perfezione tutta la storia futura.”

“Ma è impossibile sapere tutto” disse Amber.

“Niente è impossibile,” replicò Caine, “benché alcune cose siano infinitamente improbabili.” Bevve un sorso di Coca mentre gli studenti elaboravano le sue parole. “Gli scienziati chiamano questa teoria il demone di Laplace.”

“Perché?” domandò Steve. “Forse lo tormentava?”

“No, è una convinzione diffusa ma è errata” rispose Caine. “Non lo tormentava, perché Laplace era convinto di essere nel giusto. Dopo la sua morte, gli scienziati hanno adottato l'espressione demone di Laplace per descrivere un'intelligenza onnisciente in grado di conoscere tutto il presente e perciò di sapere tutto ciò che è accaduto in passato e che accadrà in futuro.”

“Assomiglia a Dio” osservò Amber.

“Sì” convenne Caine ridendo. “Qualcosa del genere.”

 

Nava gli preparò una stecca per la gamba mentre Caine concludeva la versione ridotta della lezione. Dopo che lui ebbe finito, Nava rimase in silenzio per quasi un minuto.

“David,” disse poi, “gli scienziati dell'Str sono convinti che tu sia il demone di Laplace.”

Caine scosse la testa. “E assurdo. Il demone di Laplace non è una cosa reale: non è un'entità, è una teoria. É un modo per descrivere un'intelligenza onnicomprensiva in grado di prevedere il futuro.”

S'interruppe, gli girava la testa. “Inoltre è stato dimostrato impossibile all'inizio del Novecento.”

“Come?” chiese Nava.

“Un fisico di nome Werner Heisenberg dimostrò che le particelle subatomiche non hanno un'unica posizione fino a quando non vengono osservate.”

Nava inarcò le sopracciglia e Caine aggiunse: “Non chiedermelo, è fisica quantistica, non ha senso”.

“D'accordo, ma perché rende impossibile il demone di Laplace?”

“Perché se le particelle subatomiche hanno più posizioni nello stesso momento, è impossibile per qualsiasi intelligenza persino - per una onnisciente – conoscere l'esatta posizione di ogni particella, visto che non esiste. Poiché quel dato è un requisito essenziale per prevedere il futuro, prevedere il futuro è impossibile. Ne consegue che il demone di Laplace è impossibile.

“Inoltre,” proseguì, “io non so niente e non posso prevedere il futuro.”

“Che mi dici della tavola calda?” ribatté Nava.

Caine si sentì raggelare. “Come fai a saperlo?”

“L'Nsa ti stava spiando.” Nava si protese in avanti. “So quello che è successo, David: hai tirato via tutti un secondo prima che il furgone abbattesse la vetrata. Se questo non è prevedere il futuro, allora dimmi tu.”

“Senti, non so cosa sia successo in quella tavola calda. Chiamalo intuito, se vuoi, precognizione persino. Ma ciò non mi rende un'intelligenza onnisciente.” Si passò la mano tra i capelli arruffati. “Cristo, se sapessi tutto credi che dovrei dodicimila dollari alla mafia russa? Nava, non sono neppure in grado di prevedere una carta, figurarsi tutta la storia futura.”

Persino mentre lo diceva, però, Caine si rese conto che le sue paro le non erano del tutto vere. Sapeva che l'esplosione lo avrebbe ucciso se non avesse trovato una via di fuga. Aveva lanciato la valigetta innescando la reazione a catena che aveva permesso a Nava di raggiungerlo in tempo. Ma riusciva solo a pensare che era tutto impossibile.

All'improvviso gli fu ancora più chiaro che si trattava di un'illusione. Forse quell'esercizio mentale stava funzionando, forse stava per trovare la strada per tornare alla sanità mentale. Si sentiva già più concentrato, più all'erta. Decise di insistere.

“Va bene, poniamo il caso che io sia,” esitò, “quello che dici. Che facciamo?”

“Che tu lo sia o meno, dobbiamo andarcene” replicò Nava spostandosi verso una zona del pavimento illuminata. “Sono quasi le nove. Se restiamo qui troppo a lungo ci troveranno.”

“Chi, esattamente?” domandò Caine.

“Fbi, Nsa, Rdei, scegli tu” rispose lei seria.

Caine annuì. Non aveva comunque importanza. Era solo un sogno. Tanto valeva seguire l'istinto di Nava e andarsene. Lei si accovacciò sul pavimento e si mise il suo braccio intorno alla spalla.

“Appoggiati a me e cerca di alzarti.” Caine obbedì tentando di aiutarsi facendo leva sulla gamba destra mentre lei lo sollevava con un movimento fluido. Nava era più forte di quanto sembrasse. Quando Caine appoggiò il peso sul piede sinistro la stanza diventò scura e nebulosa.

“Piano!” disse lei afferrandolo con l'altro braccio e tenendolo stretto a sé. Il mondo tornò normale.

“Che è successo?” chiese Caine.

“Sei quasi svenuto” rispose Nava. “Se ti lascio, credi di riuscire a restare in piedi?”

Caine riprovò a mettere il peso sul piede sinistro, questa volta più piano, e annuì. Lei lo lasciò andare lentamente e fece un passo indietro. Caine vacillò, ma riuscì a reggersi da solo. Fu travolto da un'altra ondata di vertigini, perciò chiuse gli occhi e aspettò che passasse puntellandosi al frigo.

“Stai per svenire di nuovo?”

“Non credo.” Fece un paio di saltelli in via sperimentale. “Ma dubito di riuscire ad andare lontano senza un bastone.”

Lei annuì. “D'accordo. Torno subito.” Rimosse il mastice e aprì la porta; Caine la sentì tagliare qualcosa.

“Tieni, prova con questo” disse Nava tornando con un bastone da passeggio di fortuna. Lui lo prese con cura dalle sue mani, cercando di evitare i bordi dentellati.

“Sì,” replicò, “andrà benone.”