Giorno 38

Tom mi sta facendo girare le palle. Mi devono dimettere la settimana prossima, oltre a piazzarmi un’altra seduta senza sugo con la psicologa clinica, nelle nostre individuali ha mollato la tattica morbido-morbido. Oggi mi ha guardato negli occhi e ha detto, con gelido distacco: «Non mentire a te stesso, Mark».

«Eh?» Preso alla sprovvista, ho pensato un’altra volta alla Grande Bugia. Tipo che stava provando a ravanarmi.

«Lavora con me.»

«Cosa vuoi dire?»

«Sei un ragazzo intelligente. Però non sei così intelligente. Perché con tutte le tue letture e la tua istruzione non ce la fai a risolvere il mistero del perché ti fai questo.»

«Ma va’... dici?» l’ho sfidato, sapendo fin dall’inizio che lo stronzo ci aveva preso.

«Tu non sai perché sei un drogato, e questo ti fa incazzare come una iena. Offende la tua vanità intellettuale e la percezione di te stesso.»

È stato come un pugno in pancia. Perché era vero. Io ero perplesso, ma più ancora un po’ scosso, da quello che diceva ma ancor di più dalla sua inversione di marcia verso questo approccio duro.

STRONZO.

Col sangue che mi bolliva nel cervello, non sentivo manco le mie parole e ho attaccato a inveire. È uscita fuori una roba tipo: «Questo mondo, io lo disprezzo. Non va bene per me, ’sto buco di culo che abbiamo creato e non riusciamo a rendere migliore. È questo che mi fa star male. Così scelgo di tirarmi indietro, di essere un dropout, se proprio vuoi usare quel termine hippy del cazzo!»

E la sto mettendo giù più coerente di quello che era.

«Questo non è normale per un giovane» ha ribattuto Tom. «Tu sei solo depresso. Cos’è che ti deprime, Mark?»

Non m’è venuto in mente niente. «Il mondo.»

Lui ha scrollato la testa, ma forte. «No, non è il mondo. Certo, il mondo è cattivo, ma le persone come te dovrebbero cercare di renderlo migliore. E comunque, tu sei abbastanza sveglio da cavartela e trovarti a tuo agio in qualunque società. Che cos’è?»

«L’ero è sballo» gli ho risposto. Qualsiasi cosa per far scoppiare la bolla, per evitare di affrontare la Grande Bugia. «Mi son sempre piaciute le sensazioni di sballo.»

«Insomma, hai un’età in cui scopri che il mondo è guasto, è una merda che non si può mettere a posto facilmente. Be’, fattene una ragione. Cresci, cazzo.» Nei suoi occhi c’era una durezza nuova, metallica. «Devi accettare la tua vita. E allora?»

«Allora questo.» Mi sono rimboccato la manica e gli ho fatto vedere le cicatrici dei miei ex buchi.

La Grande Bugia.

Tutti stavamo giocando un gioco del cazzo: il gioco della riabi. Dovevamo essere complici del personale nel mito che volessimo smettere di usare l’eroina. Però a pochi, o a nessuno di noi, gliene fotteva un cazzo fritto. Quello che volevamo era ripulirci per riprendere a farci in dosi ridotte. Ma smettere non volevamo, no, ’sticazzi! Volevamo far tabula rasa per riprendere a usarla senza che ci sfuggisse di mano. In questo gioco il successo era basato sulla nostra capacità di imbrogliare quelli del personale, e sulla loro capacità di autofottersi bevendosi la favola che volevamo davvero aderire a questa stronzata di una vita senza droghe.

PER FAR CHE?

Solo Seeker voleva qualcos’altro: trovare un posto a Tenerife, di modo che il freddo bestiale dell’inverno non gli invadeva il metallo nel suo corpo.

Ho scritto dell’altro altre robe su quella gita nello Yorkshire col papà. Scrivere è il mio rifugio: senza, la mia vita qua dentro sarebbe insopportabile. A scopi sperimentali ho tentato di metterlo in forma di un racconto, scrivendo l’effetto che i fatti hanno avuto alla fine su di me.

Skagboys
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