Giorno 36

Sick Boy parte, facendo i bagagli tra cui il famigerato sbrindellato dizionario Collins. Strumento di illuminazione nelle mani dei più, ma nelle sue più mortale di una pistola carica. Viene a prenderlo sua sorella Carlotta con la sua Datsun. È tanto sexy... stanotte mi sfinisco di seghe su di lei! Garantito! Lui è rimasto un po’ lì a vedere come le facevo il filo pesante. A un certo punto gli faccio correre i palmi delle mani su e giù sulle braccia nude e sento il profumo dei suoi capelli neri lucidi. Cercando di raccogliere più dati sensoriali possibile per dopo. Lei ridacchiava tutta, e Sick Boy ha interrotto l’abbraccio con la straziata Molly per mollarmi un calcio in uno stinco mezzo da ridere e mezzo cattivo.

«Stai vicina al mio compa» dico a Carlotta mentre lo stringo in un abbraccio da amico godendo mentre si dimena impotente tra le mie braccia che adesso sono più forti.

Fin dall’inizio avevo fatto amicizia con lo stronzo solo per poter andare a casa sua e lumare le sue sorelle, e anche sua mamma prima che ingrassava. Si poteva entrare dentro soltanto se non c’era quel coglione scostante di suo padre. Quando era lui a venire alla porta, diceva subito: «Ah, allora tu saresti il ragazzo del Forte, giusto?» con la sua merda al naso, come se le Bannanay erano Barnton o non so cazzo cosa! Mentre Sick Boy si preparava mi faceva aspettare fuori, dove puntualmente venivano a rompermi le palle gli scalmana locali che sapevano che ero dell’altro lato di Junction Street.

«Fai il bravo» dice Sick Boy, con gli occhi stretti a fuoco su di me, «che tra qualche settimana ci vediamo.»

«Io esco settimana prossima» gli ricordo.

«Per un po’ andrò in Italia: ma sul serio, stavolta. Mi farà bene uscire dalla selvaggia palude dei Pitti» fa, guardandosi attorno con disprezzo, verso gli alberi e il cielo grigio fumo, prima di girarsi verso Molly, preoccupata al massimo.

«Telefonami, appena torni!» e lei lo avvinghia tra le braccia sottili.

Vedo la sua faccia sopra la spalla di Molly. Mi strizza l’occhiolino e poi li sgrana, gli occhi, prima di sussurrargli nell’orecchio: «Prova solo a fermarmi, piccola. Prova solo a fermarmi». Poi si stacca di botto e va alla macchina.

Li guardiamo partire. Molly corre dentro. Tom mi appoggia la mano sulla spalla, ma leggero. «Hai perso Danny, Johnny e adesso Simon. Ma su con la vita, il prossimo che va fuori sei tu.»

Torno in sala tempolibero e c’è Molly distrutta, ma Keezbo la sta consolando, cosa che mi tiene lontano lo stronzo jambo, bene.

Vado in camera a leggere.

Mi viene a disturbare Smilza 4, che mi fa che devo fare una seduta con Molly. Io mi starei chiedendo cazzo mi significa, ma lei capisce e fa: «Scusami... l’altra Molly».

Che sarebbe un’inglese colla schiena impalata, cavallina, che si chiama Molly Greaves, cioè la psicologa clinica in visita. Non potrebbe essere più differente dalla nostra amata Molly manco se ci provasse. La prima volta l’ho incontrata all’ambulatorio, dove ho risposto alle sue domande insistenti, insinuanti, con una passività annebbiata. Adesso sono molto più impegnativo e resistente alla sua tigna intrusiva, e la cosa non funziona.

Quando è buio mi siedo sotto il portico con la chitarra, a strimpellare al cielo blu inchiostro, ma si rompe una corda e non ce n’è di riserva, perciò la festa è finita.

Skagboys
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