nota
dell’autore
Sin dal primo conflitto tra Roma e le varie popolazioni celtiche, i Romani furono sempre minacciati dal culto druidico, che rimase per molto tempo il fulcro centrale della resistenza all’espansione dell’Impero. Da quel poco che si sa dei Druidi, è evidente che fossero un’élite di uomini eruditi riverita dalle tribù della Gallia, della Britannia e dell’Irlanda e, per questo motivo, esercitavano un’influenza unificatrice che i Romani – da Cesare in poi – erano decisi a sradicare. Come ogni potenza imperiale, Roma sapeva che distruggere gli eserciti nemici non era sufficiente. Occorreva anche distruggere i legami ideologici che tenevano insieme i popoli da conquistare e forgiarne di nuovi, al fine di imporli ai conquistati e, così facendo, vincolarli alla propria visione del mondo.
È molto probabile che il piano dell’invasione claudiana in Britannia comportasse anche la soppressione del culto druidico al fine di stabilire – e in seguito rinforzare – il controllo di Roma sulle tribù di nativi. Divide et impera era una strategia adottata da tutte le potenze imperiali, e i Romani non erano da meno. Se fossero riusciti a rimuovere i Druidi dalla scena, allora una delle forze più poderose che cementava l’opposizione contro gli invasori sarebbe sparita e le tribù sarebbero diventate ben presto più facili da soggiogare.
Il problema era che i Druidi avevano libertà di movimento tra le varie tribù ed erano quasi inafferrabili. Tuttavia, i Romani scoprirono che il centro spirituale del culto druidico era l’isola di Mona – l’odierna Anglesey – luogo in cui si trovavano i loro boschi sacri e i sanguinosi trofei strappati ai nemici dei Celti. Se fossero riusciti a conquistarla, schiacciando i Druidi e cancellando ogni traccia della loro esistenza, allora avrebbero assestato un bel colpo ai nativi, un colpo dal quale non si sarebbero mai più ripresi. Pertanto, chiunque avesse raggiunto quello scopo si sarebbe guadagnato un successo senza precedenti e se c’è una cosa che sappiamo riguardo agli aristocratici romani, è che vivevano le loro vite con un occhio perennemente rivolto ai posteri.
La documentazione storica, per quanto frammentaria, riporta che il governatore Ostorio morì durante il suo mandato, forse durante il tentativo di sottomettere le ultime tribù ancora ostili della Britannia. Alla sua morte seguì un breve periodo di interregno prima che un nuovo governatore venisse spedito nella provincia. Durante questo lasso di tempo, le tribù montane dell’odierno Galles misero a dura prova le forze romane, sconfiggendo una delle loro legioni. È questo il quadro generale da cui ho tratto l’ultima avventura di Catone e Macrone. Considerando ciò che sappiamo della cultura politica romana, non ho avuto problemi a immaginarmi uno scenario in cui un comandante dell’esercito prendesse il controllo della provincia e cogliesse al volo l’occasione politica che gli si parava davanti, avendo la possibilità di sbarazzarsi una volta per tutte dell’influenza dei Druidi. Avrebbe dovuto agire rapidamente e in modo arrischiato, ma la gloria sarebbe stata immensa. Così è nato lo sventurato Quintato. Ho descritto la possibile storia di una campagna, nata sotto una cattiva stella, che avrebbe lasciato la Britannia in una posizione estremamente vulnerabile quando il nuovo governatore, Aulo Didio Gallo, sarebbe arrivato sull’isola per cominciare il proprio mandato.
Le sfide che avrebbe dovuto affrontare Didio non erano da poco. Le tribù montane avevano trionfato sulle forze romane ed erano più decise che mai a continuare la propria resistenza. Quell’intoppo aveva rinforzato l’opposizione all’Impero tra i guerrieri al di là della frontiera e perfino tra quelli al suo interno, lasciando inalterata l’enorme influenza dei Druidi.
Catone e Macrone, esausti dalla durezza della campagna alla quale sono appena scampati, non avranno tempo per riposare. La frontiera è in fiamme e la posizione romana in Britannia è quanto mai precaria, non da ultimo a causa dei giochi politici che imperversano a Roma, dove il futuro della nuova provincia è appeso a un filo. Solo quando il vecchio imperatore Claudio morirà, verrà deciso il destino dell’isola.