Lunedí notte
Ecco fatto. Ho scritto di getto, mi è venuto proprio facile come diceva Leonora, questo settimo capitolo. Ho finito. Ho scritto un Melody, dalla prima all’ultima parola. Ce l’ho fatta. Ho lavorato tutto il pomeriggio, senza fermarmi mai, perché da domani riprendo servizio, e il martedí apriamo la mattina.
Sarà strano, ritrovarmi in biblioteca, senza altra compagnia che quella di Renato Barberis, il mio collega, che in trent’anni che lavoriamo insieme avremo scambiato ottocento, mille parole al massimo. Non è antipatico, è solo che non gli piace parlare. Vive ancora con sua mamma e sua sorella, e dice che parlano già abbastanza loro. Col fatto che tutti e due siamo soli, poteva nascere un’amicizia, non dico di piú perché secondo me lui è gay e gli piacciono gli omoni, ma un’amicizia, almeno. Dicono tanto che i gay sono i migliori amici delle donne, ma personalmente non l’ho mai riscontrato, anzi, l’unico gay con cui ho avuto a che fare un po’ intimamente mi ha pestata come un tappeto, ma questo in quell’altra vita.
Insomma, è chiaro che al Circolo i rapporti umani erano migliori, ma ormai è passata, ed è inutile stare a pensarci. Finito di scrivere, mi preparo due uova al prosciutto, uno dei miei piatti preferiti, e mangio guardando Colpo di fulmine, una fiction che mi piace tantissimo. Lei è una cantante argentina, lui un principe romano, e si amano ma credono di essere fratello e sorella, per cui è un casino. Roba forte, ad esempio una storia cosí nei Melody non ci potrebbe mai stare.
Poi guardo ancora un po’ di tele, chiudo bene la porta con due mandate, e me ne vado a dormire, con Ulisse e Penny Lane acciambellati sulla trapunta. Che bello. Buonanotte.
E invece no, non riesco a dormire. Stranissimo. Non soffro di insonnia, mai. La cosa mi ha sempre stupito, perché insomma, come zitella che è passata direttamente dalla castità alla menopausa sarei il soggetto ideale, invece niente, di solito chiudo gli occhi e mi addormento, come le bestie. Questa volta però mi giro e mi rigiro, tanto che i gatti si stufano, e vanno ad acciambellarsi da un’altra parte. Ma perché, perché, perché?
Lo capisco di colpo, mentre ripasso con la mente tutta la mia avventura Melody. È colpa di quello che ha detto Leonora Forneris, che dovrei scrivere gialli. Il fatto è che mentre i Melody li ho letti soltanto per prepararmi al corso, i gialli sono una vera passione, per me. Li ho sempre letti e sempre li leggerò se non mi cadono gli occhi. Sono selettiva, mi piacciono soltanto se sono un po’ domestici, preferibilmente inglesi o ambientati nel New England. Poco sangue, poco sesso, un po’ d’amore, tanto mistero. E se Leonora avesse ragione? Lei, il suo marito russo, la limousine rosa, le occhiate fulminanti, penso che noi abbiamo conosciuto soltanto la punta dell’iceberg di Leonora Forneris, mentre lei di noi ha visto l’iceberg tutto intero. E forse il mio iceberg è giallo.
Io ci provo. Io comincio, e l’idea mi verrà. Alla peggio, penso in un raptus di audacia, copio. Che ci vuole? Mi leggo un giallo vecchissimo, tipo quelli di Anne Katherine Green, e reinvento la storia. Chi se ne accorgerà mai? Quanti siamo, in questo mondo fatto a gregge, a leggere Anne Katherine Green invece di coso, quello svedese?
Questo pensiero mi galvanizza. Di dormire non se ne parla piú. Io comincio subito. Batto il ferro. Pazienza se dormirò poco, e domattina in biblioteca sarò una zombie. Per una volta nella vita mi comporterò da artista maledetta, quelle che scrivono di notte bevendo l’assenzio.
Mi alzo, metto la vestaglia di lana scozzese, le ciabatte a calzino cosí non prendo freddo, vado in cucina, e mi preparo una tazza di latte e cacao. La mia casa è piccola, c’è la cucina, un soggiorno, la camera da letto, il bagno. Tutto lí. Sotto nel seminterrato c’è la lavatrice, la legna e la cantina. Davanti, un cortiletto, dietro, il giardino. È una casetta un po’ da nani, dietro la piazza principale di San Mauro, in una via che sale sulla collina. Potrei accendere la stufa, ma non ne ho voglia, e perciò prendo il plaid che tengo sul divano, me lo avvolgo attorno alle gambe, apro il Mac, bevo un sorso di cacao bollente, e penso a come iniziare il mio romanzo. Comincerò dall’ambientazione, e vediamo se l’idea arriva da sola, su una barchetta di carta.
Protagonista: una bibliotecaria. Però giovane e carina, perché le bibliotecarie di 58 anni non fanno vendere. Questa bibliotecaria vive a… Finale Ligure. Cosí, quando scriverò i miei gialli, mi godrò il mare. E che le succede? Allora, una sera, quando è già a casa, si ricorda che una anziana frequentatrice della biblioteca, Elvira Parolini, le ha chiesto di portarle un Barbara Cartland. È a letto malata, e quindi Adele, cosí si chiama la bibliotecaria, decide di uscire di nuovo per portarle il libro. Ma quando arriva a Villa Glicine, l’antica e cupa dimora in cui vive Elvira tutta sola…
FINE