Appunti

Quando finisco di leggere i fogli, sono un pochino preoccupata. Ho l’impressione che, perfino per gli standard Melody, un conflitto destinato a durare sette capitoli non possa basarsi su un vasetto di marmellata scaduto. Mi guardo intorno, e vedo la stessa preoccupazione sui volti dei miei compagni. Perfino la Signora Aviatore ha un profondo solco fra le sopracciglia.

– Frederick e Tremionis fanno parte dello stesso importante studio legale… – borbotta fra sé, ma rivolta a me, – stanno lavorando allo stesso caso… nel primo capitolo lui, vedendola per la prima volta in tribunale, capisce che lei non è l’insignificante topolino che faceva fotocopie durante il praticantato, ma una splendida leonessa. Lei invece è innamorata fin dal primo giorno che l’ha conosciuto. E ora che Frederick ha capito che Tremionis è una splendida leonessa…

– Teme che lei gli rubi il caso? – butto lí.

– Pensa che lei sia innamorata del serial killer che devono difendere? – propone Vittorio, che ha raddrizzato la situazione del suo ECS, Esperienze e creature sovrannaturali. Ora la sua protagonista non è piú una principessa elfa, ma una simpatica ragazza del North Dakota dal peso di 65 chili abbondanti, che un giorno soccorre Aikin, un Demangel ferito. I Demangel sono creature figlie di un demone e di un angelo, perennemente indecisi fra le due nature. Ma quando si innamora della robusta ragazza del Dakota, Aikin vorrebbe mollare tutto e diventare umano. Ce la farà? Noi tutti ci siamo congratulati molto con Vittorio, e abbiamo previsto grande successo per i Demangel, e Paola accetta con entusiasmo il suggerimento: ma certo, l’affascinante legale crede, Dio solo sa perché, che la splendida collega sia innamorata del serial killer che deve difendere. Ottimo. Paola si rimette al lavoro, e io ricomincio a pensare a Turquoise. Perché sono andata a incastrarmi con un negozio di marmellate, quando al mondo esistono cose tanto piú affascinanti tipo i Demangel?

Quando usciamo, vedo che Vittorio e la Signora Aviatore si allontanano insieme. Quindi ci ho preso ancora una volta: la loro era una vicinanza intenzionale. Rimpiango di non aver osservato le loro mani, e di non aver quindi notato la presenza o meno di fedi. Prendo il 61, e mentre imbocca il ponte di piazza Gran Madre, li vedo ancora per un attimo che svoltano insieme in via Bonafous. Io tiro fuori dalla borsa il libro che sto leggendo in questi giorni, Il Vicario di Wakefield. È un libro che in alcuni suoi passaggi mi irrita in modo sconsiderato. E cosí, fumante di rabbia, lo chiudo dopo poche pagine, e decido di dedicare il resto del tragitto allo pseudonimo.

Il primo che mi viene in mente è ovviamente Eleanor Rigby. Ma ho paura che sia un po’ scontato. Potrei tenere il mio vero nome, Olimpia, Olimpia fa già molto Melody. Basta scriverlo con la y. Olympia. E il cognome? Mi viene in mente un’autrice di certi romanzi che leggevo da ragazzina, quelli della Salani, i Romanzi della Rosa. Eleonor Glyn. Facciamo Olympia Glyn. Con qualcosa in mezzo. Olympia W. Glyn. No, troppe ipsilon. Rebecca! Rebecca Glyn è perfetto, e poi un omaggio alla prima moglie ci sta sempre bene. Forse Rebecca Jane Glyn? Sí, è il tocco che mancava.

Soddisfatta del mio nuovo nome, scendo in piazza a San Mauro, e vedo subito, davanti alla mia casetta, mia nipote Blu seduta sul bordo della siepe, con qualcosa in mano. Un cane?

Blu è figlia di mio fratello minore, mentre la figlia di mio fratello maggiore si chiama Porporina. Due care ragazze, a cui voglio molto bene, ma anche tanto turbinose, troppo per me. Spesso rotolano dalle parti di casa mia, sempre alle prese con ragazzi, lavori, problemi, amiche, gomme bucate, maglioni persi, non so, c’è sempre qualcosa in movimento nelle loro vite, qualcosa che ne sta uscendo o ci sta entrando, e anche loro, anche quando entrano in casa mia sembrano già sul punto di uscirne, guardano nel mio frigo, mi chiedono se ho questo o quello in cantina, è difficile che stiano ferme a bere una tazza di tè, se bevono una tazza di tè con me nella mia cucina, intanto aprono distrattamente il cassetto delle posate, tirano fuori qualcosa e chiedono: «Cos’è questo?» Adesso però lo vedo benissimo che Blu ha in mano un piccolo cane, e che tenterà di rifilarmelo. Non lo voglio. Non voglio cani. Sono arrivata a 58 anni padrona della mia vita e della mia libertà, e cosí continuerò a essere.

Quando Blu se n’è andata col suo cagnolino sempre fra le braccia, scongelo un’altra zuppa, aggiungo un po’ di pane e prosciutto, mi faccio il caffè e corro al computer. Accidenti a lei. Il cane era piccolo, l’ha trovato abbandonato in uno scatolone, fra i trucioli, lei ne ha già due, tenerlo non può, abbandonarlo neanche. Cerca qualcuno a cui darlo. Non a me, le ho detto, ho due gatti. Lei ha detto che non importa, lei ha due cani e un gatto e vanno d’accordissimo. Questo cane è molto piccolo, ha sottolineato, e Ulisse e Penny Lane lo accoglieranno senza difficoltà. Loro forse, ho ribattuto, ma io no. Non ha neanche insistito tanto. Fosse stata Porporina avrebbe argomentato come un Dottore della Chiesa per rifilarmelo, Blu no, lei parla poco. Va beh, non pensiamoci piú.

Secondo capitolo, quello in cui si installa il conflitto. Che conflitto? Controllo di avere sul tavolo il sacchetto delle liquirizie, e accendo il Mac.