Venerdì

– Questo, – esordisce senza ghirigori Leonora Forneris, – è il penultimo incontro. Il nostro lavoro si avvia rapidamente alla conclusione. Vi aspetta un week-end durante il quale dovrete scrivere due capitoli, e giungere a ridosso della conclusione. È bene che sappiate che a partire da oggi all’una sarò irreperibile, e dunque se avete bisogno di input, chiedetemeli adesso.

Sono sorpresa. Inutile negarlo, non mi aspettavo che Leonora Forneris utilizzasse l’espressione «input». In generale, oggi si presenta in forma appena un po’ sgarzolina. È evidente che ha intenzione di trascorrere un week-end di piacere, forse nella seconda casa. Chissà dove ce l’ha la seconda casa, la nostra insegnante. Mare o montagna? E se ne avesse due? Un grazioso appartamento a San Sicario, borgo vecchio, e una casetta di pietra a Grimaldi, sopra la frontiera? In questo fortunato caso, quale scegliere per un week-end in ottobre? Personalmente, non avrei dubbi, e me ne andrei a Grimaldi… con un tuffo al cuore, immagino di affacciarmi alla finestra della mia casetta di pietra, e vedere sotto di me la sfavillante Mentone... se io fossi già Rebecca Jane Glyn, rinomata autrice di Melody, passerei un sacco di tempo a Mentone, ma adesso non posso indulgere a immaginarmi seduta nel giardinetto di fronte a Frites City con un merguez e una Perrier perché Leonora ci sta apostrofando con decisione.

– Solo alcuni di voi mi hanno inviato i quattro capitoli previsti completi. Alcuni mi hanno finora fornito un paio di capitoli, o tre, accompagnati da schemi di quelli mancanti. Questo non è ciò che io mi aspettavo da voi. È una cosa molto triste.

Siamo mortificati. Anche io, che ho consegnato tutto, mi mortifico insieme agli altri. È evidente che come gruppo l’abbiamo piuttosto delusa. Forse si aspettava roba piú scoppiettante, da noi. Forse sperava di fare il botto, trovare la nuova Nora Roberts e presentarla orgogliosamente alle madame dirigenti dei Melody in Italia. E invece niente. Non ci siamo. O almeno, cosí penso guardando Leonora Forneris in pantaloni. Eh sí, oggi porta dei pantaloni neri a sigaretta, stivali bassi neri («tronchetti» , mi ha sussurrato Anita, è il termine corretto per definirli), un maglioncino rosa cipria di evidente cachemire... perfino Turquoise o Shannara potrebbero vestirsi cosí senza sfigurare. E noi? Cosa le diamo in cambio?

– Inoltre, – riprende dopo quell’attimo di pathos condiviso, – andiamo molto male con gli ostacoli e con le rivali. Uno di voi mi ha posto come rivale una fanciulla orfana con gli occhi viola. Vero, signor Carlo?

Ci voltiamo molto interessati. In effetti, non abbiamo saputo piú nulla del Detective Melody di Carlo. Lui è un tipo tranquillo, sui cinquanta, che all’uscita scappa sempre a razzo perché deve andare a prendere i gemelli da qualche parte. I gemelli sono i suoi figli gemelli, Ludo e Cami, Ludovico e Camilla, ne parla sempre, di loro e di sua moglie Vale, Valeria. Addirittura, in omaggio a loro si è scelto come pseudonimo il nome Valerie Kamill. È bello sapere che esiste, da qualche parte nel quartiere Crocetta, una famiglia tanto unita, ma da Carlo preferiremmo qualche particolare emozionante della storia di Ursula, la figlia di un banchiere ingiustamente accusato di quelle cose brutte che fanno i banchieri. Ursula si affida per avere giustizia al mega finanziere potentissimo padrone di varie banche, e holding, qualunque cosa siano, e multinazionali. Uno di quegli uomini che stanno nel supplemento «Affari e Finanza», per capirci. Costui è anche il capo del padre di Ursula, e siccome si innamora subito molto di lei, decide di scagionare il padre. Inizia cosí a indagare e a essere quasi ucciso in svariate occasioni. Fin qui, non sapevamo altro del Melody di Carlo. Ora salta fuori questa orfana con gli occhi viola?

Carlo lo ammette senza esitazioni. – Sí. Si tratta di Prunella, la figlia della migliore amica della madre di Lagarde, il mio protagonista maschile.

Sussurri, mormorii di invidia. Perché a nessuno è venuto in mente di chiamare il protagonista con un fighissimo nome francese?

Carlo continua senza rilevare. – Prunella adesso è orfana, e viene ospitata in casa di Lagarde. È bellissima, ma piange sempre, e Lagarde non la può soffrire, nonostante i suoi favolosi occhi viola. Ursula però è convinta che fra lei e Lagarde ci sia qualcosa, anzi, qualcosa piú di qualcosa, visto che Prunella vive lí e gira sempre mezza nuda.

Tutti noi pensiamo che Ursula abbia perfettamente ragione, e anche la Forneris lo pensa, infatti fulmina Carlo, e siccome la sua occhiata fulminante mi sembra particolarmente efficace, la guardo meglio e noto che ha messo roba agli occhi. Dico «roba» perché purtroppo non ho mai acquistato dimestichezza con i prodotti da trucco, e alla mia età non ho ancora capito, per parlarci chiaro, la differenza tra eye-liner, kajal e matita. Però credo che la nostra insegnante si sia messa un po’ di tutto, e infatti prima ancora che parli Carlo è già diminuito di un terzo.

– Una bellissima orfana con gli occhi viola che gira mezza nuda non è una rivale accettabile, signor Carlo. Se lei avesse letto con attenzione gli appunti che vi ho dato ieri, lo saprebbe. Una bellissima orfana con gli occhi viola che piange sempre è praticamente un’eroina. Magari non di un Melody contemporaneo, che favorisce protagoniste apparentemente dinamiche, ma potrebbe facilmente ingenerare confusione nella lettrice. La lettrice Melody non deve mai avere il minimo dubbio su chi sia la protagonista del romanzo che sta leggendo. Altrimenti dopo un po’ non capisce piú niente, si stufa, e lascia perdere. Ricordatevi una cosa! – di colpo ha alzato la voce, e si rivolge a tutti noi indistintamente. Sta per rivelarci qualcosa di miliare, lo sento:

– C’è sempre un altro Melody!

Nella saletta non spira un alito di suono. Preso l’abbrivio, Leonora va.

– Guardatevi intorno: nelle edicole, nei supermercati, sulle bancarelle di libri usati, nelle biblioteche... ovunque e in pochi istanti la donna può trovare un altro Melody, abbandonare quello che sta leggendo perché poco appassionante o eccessivamente abbondante in descrizioni, e trovarne uno che la faccia divertire. Se il vostro non la soddisfa, lo lascerà senza rimpianti, certa di poterlo sostituire immediatamente. Normalmente, la donna ha accanto a sé, nella sua casa, parecchi Melody tra cui scegliere, nuovi o già letti, ma è lo stesso, perché il Melody si dimentica... il Melody è sempre nuovo... perché il Melody non lascia nulla, assolutamente nulla, nella testa di chi legge. Come l’acqua, sempre uguale eppure sempre nuova, il Melody passa e va. Quindi se volete che la vostra lettrice vada avanti fino alla parola fine, ed eventualmente cerchi altri vostri Melody, in quanto voi risultate essere uno dei suoi autori Melody preferiti, allora non dovete, ripeto, non dovete confonderle le idee con rivali diverse dallo standard della rivale canonica!

È la prima volta che sentiamo Leonora Forneris urlare, e capiamo che lo fa perché questa è la penultima lezione, e cerca di insegnarci piú che può. Sa che dopo lunedí non ci incontreremo piú, se non casualmente al bar o alla Fnac, perché qui a Torino è abbastanza difficile non vedere veramente piú qualcuno finché sta fra i viventi. Ma sa che comunque non avrà piú occasione di impartirci i fondamentali del Melody, e dunque o capiamo adesso, o è finita. Anche Carlo se ne rende conto, e infatti non se ne ha a male, e dopo un istante di pausa durante il quale la nostra insegnante si ficca in bocca una caramella lenitiva, dice, mite come un pastorello dell’Arcadia.

– Scusi, signora, ha ragione. Prunella ha gli occhi verdi, è dura e sarcastica, e quando Lagarde è fuori tratta male la signora Lagarde.

Ah! Quindi Lagarde è un cognome!

– Scusa, Carlo, ma quindi Lagarde è un cognome? – chiede Giada, echeggiando i miei pensieri.

Ho notato che Giada fa un pochino la svenevole con Carlo, fregandosene bellamente di Vale, Ludo e Cami. Carlo però mi pare incorruttibile, e infatti le risponde piattamente, come rispondesse a me.

– Entrambe le cose. Il mio protagonista si chiama Lagarde Lagarde. Tutti i maschi primogeniti dei Lagarde si chiamano Lagarde.

Leonora Forneris non obietta, perché ha cose piú importanti da esaminare. Tutti noi percepiamo la sua fretta, il timore di aver perso troppo tempo in tocchi di fino nel corso delle precedenti lezioni, e ora che la vita fugge e non s’arresta un’ora ha paura di non riuscire a trasmetterci tutto il necessario per scrivere un Melody come si deve. Sembra una professoressa di storia che in quinta si accorge di essere ancora alla Rivoluzione francese, e si chiede: riuscirò ad arrivare almeno alla Seconda guerra mondiale? Perché ho dedicato tre mesi all’esame minuzioso dei conflitti alla corte dei Valois ?

– In generale, valutando attentamente il materiale che mi avete inviato, ho riscontrato la necessità di parecchi cambiamenti radicali. Visto che avete a disposizione l’intero week-end, avrete modo di rivedere il testo, e apportare le correzioni richieste. Ve le indico molto rapidamente, perché poi devo darvi gli appunti sul traccheggiamento in attesa della conclusione. Signorina Renata, nonostante le precise indicazioni che le avevo dato, lei ha scelto come eroe maschile del suo Melody Junior un portoricano povero, con i dread, un passato di furti ed estorsioni, due genitori entrambi maschi, e una passione per le canne. Il suo Melody andrebbe benissimo come allegato al settimanale «Lotta Continua», ma purtroppo... – e qui a Leonora Forneris trema leggermente la voce, – «Lotta Continua» non esiste piú. Quindi il suo Melody, per quanto riguarda il mondo in cui viviamo, è da buttare.

A me viene un groppo in gola, perché da giovane ero effettivamente di Lotta Continua e l’omonimo settimanale era una delle mie letture preferite. Possibile che anche Leonora Forneris… ma questo pensiero di tenerezza si interrompe perché Renata fa una cosa inaudita. Si alza, raggiunge Leonora Forneris graziosamente seduta in una delle poltroncine Kartell del Circolo dei Lettori, recupera la sua cartellina verde muschio dal tavolino, e la strappa in due, agevolata dal fatto che di pagine ne aveva consegnate poche.

– Ha ragione, – dice e poi, senza aggiungere altro, prende il giaccone e la borsa, e ci lascia.

Nessuno commenta, se non un fugace bisbiglietto tra Anita e Giovanna, e tanto meno Leonora, che riprende.

– Laura, lei è stata diligente, e ha molto migliorato il guardaroba della sua protagonista, l’infermiera… – breve sguardo alla cartellina verde smeraldo – … Shandris... ma non mi convince l’eroe, il dottor Carter Green. Cambi la specializzazione. Un immunologo ha uno scarso coefficiente romantico, intanto perché la lettrice Melody è costretta a interrompere la lettura per cercare il significato del termine in Wikipedia, e poi perché, una volta appurato il significato del termine, il personaggio le farà leggermente schifo. Punti sul pediatra. O se no cardiologo. Questi sono i medici romantici. Un cardiochirurgo infantile che salvi la vita del figlioletto cardiopatico di Shandris è ciò che vivamente le consiglio.

– Shandris non ha figli, – fa notare Laura.

– Gliene aggiunga uno. Maschio, tra i tre e i cinque anni. E a proposito di bambini…

Leonora si volta pericolosamente verso di me, mentre Laura annaspa: arrivata al quinto capitolo, aggiungere all’improvviso un figlio cardiopatico alla protagonista non è comodo. Ma io tremo, perché so già dove andremo a parare: la sorellina di Angus. Vorrà anche lei di tre anni e cardiopatica?

– ... signorina Ceschino, mi spiace doverle dire che dopo aver attentamente letto i suoi capitoli, mi sono resa conto che questa sorella proprio non va. La elimini in toto.

In toto? Come sarebbe, in toto?

– Faccia di Angus un uomo solitario, senza sorelle. Senza affetti tranne quel suo amico avvocato. Un uomo che non ha mai avuto una famiglia, e che nelle marmellate di Turquoise, cosí grondanti di zucchero e frutta, intravede il profumato universo delle cucine domestiche. Quale contrasto con la gelida eleganza di Lady Glorietta, una donna che non conosce carboidrati!

La vedo partecipe, e mi fa piacere, ma io annaspo peggio di Laura. Eliminare Aelita? Adesso? E non è finita.

– E mi spiace doverle dire che ho trovato anche molto deludente la soluzione da lei escogitata per la maledizione dei Keiller. Come lei sa, questa maledizione non mi ha mai convinto, ma le ho lasciato briglia sciolta per vedere se riusciva a risolverla con eleganza. Purtroppo, la sua soluzione è fantasmatica e banale. Elimini anche la maledizione. E passiamo a lei, Paola...

Mi sento come se un Tir mi avesse distrattamente scaricato addosso una confezione di mattoni pieni. Come faccio a eliminare sorella e maledizione in un colpo solo? Dalla disperazione, trovo la forza di interrompere Leonora, cosa che mai avrei pensato di fare.

– Mi scusi! Mi scusi tanto, ma cosí mi cade l’ostacolo!

– Ne trovi un altro. Un po’ di fantasia, Olimpia! Glorietta malata terminale? Glorietta si finge incinta? Angus ha promesso alla madre sul letto di morte di sposare Glorietta? Turquoise crede erroneamente che Angus abbia ammazzato i suoi genitori?

– Sono morti investiti da un treno!

– E chi guidava quel treno? Scusi, ma abbiamo poco tempo. Paola, lei ha commesso un errore macroscopico. Ha creato un ostacolo insuperabile. Come ricorderete, vi ho segnalato che l’ostacolo che impedisce ai protagonisti di un Melody di amarsi dev’essere idiota. Dev’essere una stupidaggine clamorosa, che si risolverebbe già al secondo capitolo se solo i due avessero anche solo un embrione di cervello nel cranio.

È inquietante sentire Leonora Forneris esprimersi in quel modo su gente che le ha fatto accumulare, credo, una piccola fortuna. O almeno, cosí sostiene Francesca, che ha identificato non solo vestiti e scarpe di Leonora, ma pure i suoi gioielli.

– Oggi le girano, – sussurra piano alla mia sinistra Enrica, l’insegnante di inglese.

Confermo, ma alla mia destra Nicola bisbiglia:

– Mi sembra piuttosto su di giri. Avrà sniffato?

– A quest’ora? – chiede scettica Anita.

Li zittisco. Voglio sentire cos’ha da dire a Paola.

– E invece lei cosa mi combina? Mette come ostacolo alla passione fra Frederick Ayrton, il principe del foro, e Tremionis O’ Keelighan, la giovane avvocatessa, un problema di cani.

Vedo Vittorio fissare Paola a bocca aperta. Poi alza la mano.

– Scusi, dottoressa, ma il problema nel Melody di Paola non era che lui crede che lei sia innamorata del serial killer che difendono?

– Infatti. Questo era un ostacolo perfetto, superabile di slancio. Invece, del tutto inopinatamente, nel quarto capitolo scopriamo che Frederick ha tre grossi cani, e Tremionis due gatti. Come potrebbero mai vivere insieme? Questo è un ostacolo insuperabile, nei Melody come nella vita.

Cala un silenzio di piombo.

– Insuperabile? – dice Vittorio, con un filo di voce.

– Assolutamente. Bisognerebbe che uno dei due desse via i suoi animali. Inconcepibile. Nei Melody non si abbandonano animali. Inoltre, un uomo che ama profondamente i cani e una donna che ama profondamente i gatti non potranno mai amarsi profondamente fra loro.

– Visto? – dice, apparentemente rivolta al nulla, Paola.

– Non esiste lieto fine possibile, in questo caso, e dunque non esiste Melody possibile. Si affretti a tornare al serial killer, signora Codebò.

– Non esiste lieto fine, – ripete Paola.

Vittorio non dice nulla, e china la testa. C’è commozione nella stanza, ci rendiamo conto che sotto i nostri occhi si è consumata una piccola tragedia personale. E io capisco, con improvvisa e tardiva chiarezza, che non sono gli uomini, l’amore proibito che ostacola il nascente rapporto tra Vittorio e la Signora Aviatore. Sono i cani. E mi rendo conto anche di un’altra cosa: io, io stessa ho contribuito a creare questo impedimento fatale, seminando lungo la già accidentata strada di Vittorio e Paola mia nipote Blu col suo maledetto cagnino. Che si andava ad aggiungere, se ricordo bene, a degli altri cani. Mi volto verso Paola e sillabo a lettere mute: – HAI DEI GATTI?

Ma lei non mi risponde, e un fruscio mi avverte che Leonora Forneris sta distribuendo le nuove dispense.

– Prendete visione. Entro lunedí mi dovrete consegnare il quinto e il sesto capitolo, che equivalgono, in questa forma condensata di Melody con cui vi state misurando, a quelli in cui si perde del tempo in attesa della conclusione, seminando equivoci, arrivi imprevisti, ostacoletti che si sommano agli ostacoli, simili a quei ghirigori di fango che da bambini facevamo sui nostri castelli di sabbia.

Passa un fremito, tra queste mura stuccate che videro, credo, Cavour. Immaginiamo Leonora bambina, con un costumino da bagno parecchio strutturato e i suoi primi gioiellini completati da minuscole firme di stilisti per bambine, la immaginiamo con le ditine già smaltate inanellare fango in una spiaggia chic. Leonora giocava!

Ha terminato di distribuire i fogli, e mentre noi ci prepariamo a leggere, lei estrae dalla borsetta pitonata un cellulare completamente swarowsky, e si allontana.

TRACCHEGGIARE

IN ATTESA DELLA CONCLUSIONE

Come impedire a un Melody di terminare troppo presto? Questo è il problema che affligge le autrici di Melody, e io stessa ne so qualcosa.

Permettetemi, giunti quasi alla fine del nostro percorso insieme, di citare alcune delle mie opere, che, oso sperare, avrete letto. Forse non tutte, trattandosi di decine di romanzi, ma credo che nessuno di voi sarebbe stato tanto improvvido o improvvida da iscriversi a questo corso senza una conoscenza specifica dei romanzi di Maevis Glengarry.

In Le ali del destino, abbiamo Joshuas, un petroliere texano che perde la memoria nel Sud della Francia, e inizia a lavorare come giardiniere smemorato nella villa di Leylang, una manager affaticata, costretta, dal burbero dottore che l’ha vista nascere, a prendersi tre mesi di vacanza. Una situazione due, dunque. Lei lo vede zappare a torso nudo e prova brividi nella parte piú intima di se stessa, lui la vede nuotare in piscina al chiaro di luna, e solo a fatica si trattiene dall’afferrarla con tutta l’intensità della sua virile possanza. Sa però di essere soltanto un umile operaio della terra per di piú smemorato, e inoltre la vede pasteggiare a champagne con un giovane banchiere di Detroit che è venuto a trovarla. Lei a sua volta cerca di reprimere i rozzi istinti che la portano a desiderare di sostituirsi al rastrello fra le mani di Joshuas. Vi risparmio i tira e molla, vi basti sapere che Leylang a poco a poco scopre che Joshuas non è soltanto pettorali a tartaruga, e i due iniziano a conversare di vita, morte e miracoli. A questo punto, a lei non importa piú niente che lui sia giardiniere e smemorato, e lui ha capito che il giovane banchiere non è un rivale attendibile. Che fare? Come impedire che si fidanzino? Non potevo giocarmi il ritrovamento della memoria perché quello, con conseguenti cataclismi, me lo sarei riservato al finale. Ho quindi introdotto un diversivo: Joshuas ha sempre avuto la sensazione di conoscere il giovane banchiere, e adesso ha un flash: è stato lui a dargli la botta in testa che gli ha fatto perdere la memoria, e lo ha fatto con una statuetta di Amore e Psiche che ora è ben visibile nel salotto Pesca di Villa Leiris. Come conseguenza, Joshuas immagina che Leylang e il banchiere siano complici, e suoi nemici. Non ha importanza come va a finire la storia, vi basti sapere che grazie a questo classico equivoco ho tirato avanti parecchi capitoli.

In Passione e fornelli, invece, l’amore fra il grande chef Roskov e la simpatica cameriera Beverly è ostacolato in primis dal fatto che lui ha avuto anni prima una breve storia con la madre di lei, tipo Il laureato, per intenderci, e in secundis dal fatto che lei, per pietà, non riesce a rompere il fidanzamento con il fidanzato rapinatore attualmente in carcere. Nonostante questo impianto veramente solido, a un certo punto sembrava inevitabile che lei archiviasse sia l’errore di gioventú di Roskov che il proprio fidanzamento, anche perché si scopre che il rapinatore aveva già moglie nel Dakota. Come fare? Semplice: lui va a trovare la madre di lei per confessarle che ama Beverly, Beverly equivoca vedendoli insieme sul divano, senza capire che lui è chino sulla spalle di lei solo per osservare meglio le foto di Beverly bambina. Questo la porta a dargli un calcio quando lui tenta di baciarla accanto a un pentolone di olio bollente, e gli scomposti movimenti successivi inducono parte dell’olio a ustionare una mano di Roskov. Cosí per altri tre capitoli allontaniamo il lieto fine.

Per vostra comodità, vi accludo un elenco di situazioni utili a dilazionare il finale, divise per categoria. Sono certa che, qualunque sia il Melody che state scrivendo, troverete gli spunti necessari ad arrivare brillantemente fino al penultimo capitolo della vostra storia.

Eventi diversivi.

Personaggi minori che scompaiono sono sempre assai utili al protrarsi dell’azione. In particolare, la scomparsa di bambini, cavalli, e simpatiche vecchiette mezze matte forniscono senza sforzo pagine e pagine di Melody. Naturalmente queste sparizioni non portano a niente di tragico, anzi, a niente di niente: l’amata giumenta di lei verrà ritrovata che si fa tranquillamente ingroppare dall’ardito stallone di lui, la figlioletta scappata sarà rinvenuta sana e salva in conversazione con le cincie su un abete, la vecchietta è l’unica che a volte passa a miglior vita, ma in questo caso si rivela comunque positiva ai fini degli eroini: lascia eredità, illumina zone oscure del passato o, piú semplicemente, morendo salva qualcun altro che avrebbe dovuto morire al posto suo. Va detto però che le morti nei Melody sono sempre avis rari nantes, se mi permettete un po’ di latino. Muoiono solo anziani che con la loro dipartita semplificano le cose, o permettono di ristabilire la verità, generalmente favorevole ai protagonisti.

Anche viaggi improvvisi servono egregiamente a diluire l’azione: nel mio Aspettami amore, Katriona, studentessa di legge, proprio quando inizia a capire che Gareth, il suo giovane e sexy professore di diritto matrimoniale, non ha rubato il posto con l’inganno all’anziano professore che le ha fatto da padre, è costretta a partire per il Québec dove suo fratello è stato azzannato dai lupi, ma per un equivoco non riesce ad avvertire Gareth, e costui nel frattempo accetta una cattedra in Scozia. Anche solo con le prenotazioni degli aerei e degli alberghi ero riuscita a evitare il lieto fino per una quarantina di pagine.

In generale, ricordate che le protagoniste e i protagonisti di Melody hanno sempre, e dico sempre, gravi problemi tecnici di comunicazione. Spesso i loro cellulari e computer vanno in tilt, fatalmente perdono treni e aerei, e durante i loro viaggi in macchina l’occorrenza di bufere e incidenti si infittisce oltre ogni limite. Per un o una protagonista Melody, non riuscire a comunicare i propri spostamenti, o non riuscire a effettuare i propri spostamenti è all’ordine del giorno. Non fermatevi davanti a niente, e sappiate che anche una semplice nevicata, una crostata nel forno o una processione religiosa in un Melody possono avere conseguenze da dieci pagine come minimo.

Conversazioni futili e protratte.

Un brillante sistema per tirarla in lungo sono le conversazioni futili che portano a uno stupido equivoco proprio nel momento in cui tutto sembrerebbe condurre verso il lieto fine, ma è troppo presto. Lui e lei sono vicinissimi in una notte di stelle, o accanto al camino, o subito dopo la fine del torneo di ping pong, o accaldati in un giardino a bere drink, o intenti a soffocare le braci di un falò in spiaggia. Potrebbero baciarsi da un momento all’altro, e sarebbe la fine. La lettrice palpita, ansiosa di vederli finalmente uniti, ma sa che non è possibile, perché sul lato destro del libro ci sono ancora un mazzetto di pagine. E infatti…

«– Splendida la tua torta al rabarbaro. Una delle migliori che io abbia mai mangiato, – disse Orgon, che all’improvviso provò un inspiegabile moto di timidezza. Voleva baciare Annie Beth, ma sentiva che prima era opportuno farle capire quanto avesse apprezzato la sua torta al rabarbaro.

Annie Beth sentí il cuore stringersi in una morsa d’angoscia. Una delle migliori, aveva detto. Non «la migliore». E tutti a Wayfold Falls sapevano che Sue Mary Lou, la ex moglie di Orgon, preparava di continuo torte al rabarbaro.

– Credo che sia ora di andare a dormire, – disse Annie Beth, alzandosi bruscamente. Come aveva potuto credere che Orgon la amasse? Era evidente che rimpiangeva ancora Sue Mary Lou.

Orgon era strabiliato: proprio quando stava per prendere Annie Beth fra le braccia, e confessarle che non era soltanto la torta al rabarbaro che lui amava, ma anche ogni centimetro di quel corpo caldo e abbronzato, lei si ritraeva? Dunque voleva fargli capire che mai si sarebbe abbassata ad amare un umile tirocinante dello studio legale di suo padre?

– Annie Beth, io…

– Scusami, Orgon, ma sono veramente stanca.

– Non vuoi che ti accompagni a casa?

– Siamo a casa mia, Orgon. Anzi, se tu volessi…

– Vuoi che me ne vada?

– No... cioè sí... cioè ecco, insomma…

– Non dire altro, Annie Beth, ho capito».

Ecc. Ecc. Ecc. Tra poche righe, avremo Annie Beth che piange sconsolata nel suo letto, e Orgon che cammina sconsolato per le vie di Seattle. Tutto questo avveniva, lo ricorderete, in Codicillo d’amore, il mio ultimo Melody Legal.

– Lei critica l’educazione che lui impartisce alla figlioletta che si sta sobbarcando da solo da quando la moglie è scappata con un ciclista francese. Lei ha perfettamente ragione, perché lui permette alla figlioletta in questione, anni sette, di portare le extension alle unghie e mettere i tacchi, ma lui si adombra, pensa che lei odi sua figlia, e parte per un lungo viaggio a Eurodisney (vedete il mioOmbre su Tatiana).

– Lui, nel corso di una simpatica conversazione sulla spiaggia, le rivela che odia gli architetti perché un architetto ha fatto una modifica in casa di sua madre, in seguito alla quale l’arco del tinello è crollato sulla povera donna defungendola. Lei è un architetto in incognito, che si finge pasticcera per sfuggire allo stress dello studio in cui lavorava, e piuttosto che confessargli la verità gli dà corda dicendo che anche lei odia gli architetti. Questo la impastoierà in una serie di bugie da cui ci metterà tre capitoli a cavarsi.

Insomma, con un giusto mix di equivoci, allontanamenti forzati e incidenti a terzi riuscirete brillantemente a evitare il lieto fine anche se per caso i due si fossero già uniti carnalmente piú volte, e fosse ormai evidente anche ai bradipi che si amano con passione. Anzi, questo aumenterà ancora il senso di rapace frustrazione della lettrice Melody, che non si capaciterà di vedere le cose mettersi male quando già sembravano volgersi al bene, e resterà inchiodata alle pagine fino a quando finalmente anche l’ultimo equivoco sarà chiarito.

Misteri nel passato.

I misteri nel passato spesso, come abbiamo visto, funzionano egregiamente come ostacoli principali all’amore Melody, ma possono servire con altrettanta efficacia come elementi di dilazione. In questo caso non devono riguardare direttamente l’eroina ma uno di quei personaggi secondari e appiccicati con lo sputo, se mi permettete questa espressione del passato, cosí caratteristici dei nostri romanzi. Nostri, sí, perché io stessa, come Maevis Glengarry, ho spesso fatto ricorso a vicine di casa, zii burberi, balie silenziose e altre figure di contorno per perdere un po’ di pagine. In Lady Love, ambientato a Brighton nel 1806, la giovane e deliziosa Lady Crystal è convinta che la sua governante, sempre immusonita e silenziosa, sia la vera madre del giovane Lord Barryston, e pensa che lui la schifi dimostrandosi snob e insensibile. Solo nelle ultime pagine scoprirà che l’atteggiamento depresso della governante è dovuto al fatto che il suo vero figlio è in carcere per contrabbando. Intanto però Lady Crystal, pur avendo finalmente capito che Lord Barryston non ha una giovane amante nella casetta di caccia, continua a tenerlo a distanza giusto per quel paio di capitoli che mi servivano. Abbiate quindi sempre l’accortezza di tenervi a disposizione un eventuale mistero del passato, per poi decidere se utilizzarlo o meno. Buon lavoro a tutti, e ci vediamo lunedí.