Lunedí
– Per scrivere un romanzo rosa in una settimana ci vogliono otto giorni, – ha detto la signora Leonora Forneris, posando la borsetta lilla sul tavolo. Poi ci ha guardati come per dire: non voglio sentire risatine, e in effetti nessuno ha ridacchiato, siamo rimasti lí come quindici pesci muti, noi iscritti al laboratorio Come scrivere un romanzo rosa in una settimana.
Mentre lei si toglie la giacca (lilla) e spumeggia appena i pizzi candidi della camicetta, la ragazza bruna seduta due posti dopo di me ha trovato il coraggio di obiettare: – Ma il corso dura solo una settimana. Anzi, cinque giorni, da oggi a venerdí.
– Oh no, vi sbagliate, ne dura otto. Sei giorni lavorativi piú sabato e domenica. Da oggi a venerdí, piú lunedí prossimo.
– Il programma non lo dice –. La signora energica con il giubbotto da aviatore agita il depliant del Circolo dei Lettori in cui, tra gli eventi del mese, figura senza ombra di dubbio il nostro laboratorio, dal 24 al 28 ottobre.
– È per l’effetto mediatico. Una cosa di nessuna importanza. Qui al Circolo dei Lettori pensavano che fosse piú efficace Come scrivere un romanzo rosa in una settimana piuttosto che In una settimana piú un lunedí. Ma quelli fra voi che vogliono effettivamente completare l’opera devono presentarsi anche lunedí prossimo. Non è previsto un supplemento di prezzo. Il costo del lunedí extra è stato spalmato.
A questo punto, hanno cominciato a parlare e protestare tutti insieme. Qualcuno si è preso le ferie apposta per frequentare questo laboratorio, e non può chiedere un giorno in piú. Lunedí prossimo, cascasse il mondo, deve presentarsi al lavoro. La ragazza bruna dice che lei è di Biella e ha due bambini piccoli e come fa. Uno dei tre maschi (abbiamo tre maschi!) sabato deve partire per Zanzibar, e fermarsi lí una settimana. Zanzibar, Zanzibar… cerco di ricordarmi dov’è, perché tanto non ho niente da dire. Per me un lunedí in piú va benissimo, devo solo cambiare il turno con Marisa. L’importante è che il costo sia già stato spalmato, perché ho pochi soldi e per iscrivermi a questo corso ho messo la croce sul cappotto nuovo. Avevo questo progetto, di comprarmi un cappotto nuovo, ma era quasi piú un capriccio che un progetto, perché il mio cappotto vecchio è ancora molto funzionale.
Dopo un po’ sono tutti sedati, e Leonora Forneris ha finito di sistemarsi. Ribadisce che per lei non cambia niente, che se vogliamo fare soltanto una settimana e lasciare il romanzo incompiuto, personalmente non ha nulla contro questa scelta. La Signora Aviatore, che è una leader naturale e si vede benissimo, propone: – Non potremmo scrivere un romanzo piú corto?
– Scriviamo già un romanzo piú corto, – la fulmina la nostra insegnante. – Un Melody classico ha dieci capitoli di dodici cartelle ciascuno per un totale di centoventi. Il nostro Melody avrà sette capitoli di dieci cartelle ciascuno per un totale di settanta. Una forma condensata che vi permetterà comunque di apprendere la tecnica per poterla poi utilizzare a piacere in forma piú estesa.
A queste parole segue qualche attimo di silenzio. Succede, in presenza di frasi perfettamente funzionali e compiute.
– E ora prendete carta e penna.
Otto di noi tirano fuori il computer, sette di noi dei quaderni o blocchi. Leonora Forneris non commenta. Non è una donna che può perdere tempo: con lo pseudonimo di Maevis Glengarry ha scritto quarantacinque Melody delle serie Romantic, Destiny, Chance, Medical e Orizzonti Lontani.
Per prepararmi a questo corso, io ho letto moltissimi Melody, approfittando della mia posizione vantaggiosa, in quanto bibliotecaria. La biblioteca in cui lavoro si trova a San Mauro Torinese, un comune nella prima cintura di Torino. È piccola ma non manca niente, neppure i Melody, che però non sono tenuti in gran conto. I Melody e i Gialli Mondadori vivono un’esistenza precaria e clandestina sui carrelli, non hanno posto negli scaffali. Non sono catalogati, non hanno schede, e i clienti della biblioteca li possono prendere con una certa noncuranza. Non so mai come chiamarli, clienti lo so che non va bene, ma certo non posso chiamarli pazienti. Probabilmente il termine giusto è «frequentatori».
E adesso sono pronta. Sono pronta a scrivere anche io il mio Melody. Non sono nuova ad esperienze letterarie, ho frequentato un corso serale alla Scuola Holden di Torino, l’insegnante si chiamava Eric Minetto, e abbiamo anche fatto una traversata insieme, la traversata di Torino, mettendoci 5 ore e diciannove minuti. Durante il corso, ho scritto un racconto intitolato Marc Bolan dei T.Rex. Questo perché ho 58 anni, e quando ero giovane l’ho conosciuto. Ma non dico altro se no, casomai qualcuno dovesse leggere il racconto, non ci sarebbe piú la sorpresa. Però non credo che qualcuno lo leggerà: i racconti che si scrivono durante i corsi della Scuola Holden non hanno grande diffusione.
Mi viene l’acquolina in bocca e contemporaneamente la pelle d’oca al pensiero di scrivere un vero Melody! Una storia d’amore avvincente, sotto la guida di Leonora Forneris! Adesso però devo stare attenta, perché Leonora è già entrata nel vivo della questione.
– La prima cosa che dovete fare, – sta dicendo, – è leggere con attenzione i miei appunti. Ve li consegnerò in tranche successive, in modo da guidare passo passo il vostro lavoro. Naturalmente vi danno soltanto una serie di coordinate generali, e per qualsiasi dubbio e approfondimento potete rivolgervi a me. Ma se ben interpretati… – e qui si ferma e ci lancia un’occhiata di lieve e piccante disprezzo, come se dubitasse molto delle nostre capacità interpretative, – dovrebbero esservi sufficienti a iniziare. Questa prima sezione vi offre alcune informazioni generali, e vi prospetta le tre situazioni base dei Melody. Prego.
Mentre parla, passa fra noi distribuendo a ciascuno dei fogli. Poi torna al suo posto e sta zitta, mentre noi leggiamo. Non ho mai visto nessuno stare zitto in modo tanto denso. Non si limita a non parlare, è come se emanasse silenzio, voglio dire, normalmente il silenzio è una cosa passiva, l’assenza di parole o suoni, il silenzio di Leonora Forneris, invece è attivo, è sostanzioso, come una schiuma, ecco, sí, è come se da lei uscisse una schiuma di silenzio.
E avvolta in quella schiuma, leggo.