Capitolo quattro

Quel giorno l’atmosfera al Briar’s Rose non era delle migliori. Tra Turquoise e Shannara regnava una certa freddezza da quando, la sera prima, Turquoise aveva rifiutato di sposare Jamie, il fratello di Shannara. Jamie era tornato a casa in stato confusionale, e quel mattino era partito per l’annuale gara di lancio di tronchi sul Tay dichiarando che sarebbe certamente arrivato fra gli ultimi.

– Non posso lanciare tronchi quando sono triste, – aveva spiegato alla sorella, e Shannara, che sapeva quanto il fratello ci tenesse a quella gara, si era desolata per lui.

– Certe persone, – disse infatti a un certo punto, mentre preparava una confezione natalizia di marmellate per diabetici, – non dovrebbero incoraggiare i ragazzi se non hanno intenzione di sposarli.

– Certi ragazzi, – ribatté Turquoise che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, – non dovrebbero chiedere alle ragazze di sposarli durante un film.

Forse questo scambio di parole si sarebbe trasformato in un litigio, se proprio in quel momento non fosse entrato in negozio un uomo giovane e attraente, biondo con gli occhi nocciola, che indossava un piumino color ardesia per proteggersi dalla fitta nevicata che continuava a imbiancare i tetti di Kirriemuir, ormai bianchissimi visto che da tre giorni nevicava senza smettere mai. Gli eleganti pantaloni di pettinato Zegna gli conferivano comunque una certa eleganza, confermata dagli stivali di pitone. Appena lo vide, Shannara dimenticò completamente suo fratello e sussurrò a Turquoise: – Lo servo io, sparisci.

Anche il nuovo cliente parve molto colpito dalla signorina che gli sorrideva dietro il banco, circonfusa di barattoli di confettini. Quel giorno Shannara era incantevole nel suo maglioncino di angora arancione coordinato a un kilt sui toni del verde e dell’arancio.

– Buongiorno, in cosa posso servirla?

– Cercavo la signorina Leicht.

Negli occhi ambrati di Shannara passò un’ombra di delusione.

– Gliela chiamo subito.

Negli occhi castani del giovane passò invece un’ombra di sollievo. Dunque non era lei, che aveva fatto perdere la testa al suo amico Angus! Non era lei, la proprietaria della Briar’s Rose, con cui avrebbe dovuto trattare la cessione del marchio! Meno male, visto che Donald Burberry si era innamorato al primo sguardo di quella lussureggiante bellezza meridionale.

– Scusi se mi permetto, ma lei non è completamente scozzese, vero?

– Infatti. Sono parzialmente spagnola.

– La Spagna... ci sono stato in gita scolastica... indimenticabile... la capitale Madrid… i tori...

– Ehm.

Turquoise, avendo sentito che cercavano lei, si era avvicinata, anche se le spiaceva interrompere quella appassionata conversazione.

– Permette? Turquoise Leicht. Mi cercava?

– Sí, signorina Leicht. Sono Donald Burberry, il legale dei Keiller.

Due ore dopo, Donald usciva dalla Confetteria Briar’s Rose senza aver concluso nulla. La signorina Leicht rifiutava ogni trattativa con la Keiller, e non aveva alcuna intenzione di cedere il marchio Briar’s Rose, né le sue ricette, e tanto meno di andare a lavorare con loro per continuare a creare le sue squisite marmellate di frutti vari per la celebre fabbrica, vanto della contea e orgoglio della Scozia tutta. Era, rifletté Donald mentre entrava nella sede locale della Keiller, una stronzetta alta e secca con i capelli rossi, e non capiva proprio perché Angus si agitasse tanto solo a parlarne.

– Vai tu a trattare, Don, – gli aveva detto quel mattino, – io non riesco a essere lucido, con lei. Appena la vedo mi viene voglia di baciarla appassionatamente e spingerla contro il mio fremente desiderio fino a farla mugolare di piacere.

– Caspita, – aveva commentato Donald.

– Temo di non riuscire a restare fedele a Glorietta, in queste condizioni.

– Io direi che si può tranquillamente escludere che resterai fedele a Glorietta. D’altra parte, Glorietta sembra fatta di quel bel legno di rovere che noi, qui in Scozia, produciamo in abbondanza.

– Non scherzare, Donald. Tu sai che noi Keiller dobbiamo restare fedeli. Non soltanto per motivi etici e personali, ma soprattutto perché in caso di infedeltà moriamo prima dei 35 anni.

Ecco! Ecco in cosa consisteva la famosa maledizione dei Keiller! Donald se l’era sempre chiesto, ma nessuno gli aveva mai dato una risposta. Ora, in tutta semplicità, Angus gli svelava l’essenza del mistero.

– Ne sei certo? Hai dei riscontri? – lo interrogò palpitante Donald, mantenendo per abitudine un linguaggio alquanto compassato.

Angus strinse le mascelle, mentre il suo sguardo verde vagava oltre le finestre dell’ufficio.

– Purtroppo sí. Per limitarmi ai casi piú recenti, mio zio Rufus è morto a trentatre anni cadendo da un tetto mentre fuggiva dalla stanza di una cameriera con cui si era intrattenuto all’insaputa di mia zia Evangeline. Il cugino Ossian ci ha lasciati a ventinove anni, stroncato da un eccesso di sostanze chimiche nella notte del suo fidanzamento con Augusta Kaikin, mentre si trovava all’interno di Debbie Moldleigh, la figlia del pastore. Albert Keiller, del ramo di Boston, è stato infilzato da un toro nella tenuta di Juanita Perez Gomez, nei pressi di Toledo, dove si trovava pur avendo detto a sua moglie Victoria che era in Bielorussia per affari. Aveva 31 anni. Lo zio di...

– Basta, per carità! È spaventoso! – aveva gridato Donald.

– Perciò, lo capisci, meno la vedo meglio è. Offrile svariati milioni di sterline, e porta a casa la Briar’s Rose.

E cosí Donald aveva cercato di fare, ottenendo però dalla stronzetta secca un altrettanto secco rifiuto. Angus parve rattristato ma non sorpreso dalla notizia.

– Lo sapevo! Il suo indomito orgoglio e la sua cieca ostinazione le impediscono di vedere i vantaggi della nostra proposta. Ma noi abbiamo bisogno di quelle ricette, Donald. Dovrò…

Angus esitò, come rifuggendo da quello che stava per dire. Donald comprese.

– Rubargliele? Sai dove le tiene?

Angus scattò come un centometrista giamaicano. – Cosa dici! Non potrei mai esser disonesto con lei, Don. Vedi, non è soltanto una passione fisica che mi spinge verso di lei. Io... io quando la vedo provo qualcosa che non conosco. Come un cottage in riva al mare, mentre fuori il sole scalda le reti dei pescatori, e da lontano giunge il canto dei gabbiani.

– Ma tu chi saresti? Il cottage? O il canto dei gabbiani? – chiese Donald, tirando fuori il taccuino per gli appunti. Era ora di chiamare il professor Murchison, noto psichiatra di Edimburgo.

– Non lo so piú, chi sono. So soltanto che oggi devo invitarla per il tè, e cercare ancora una volta di convincerla di persona.

– Ma Angus! Rischierai di soccombere al suo fascino! Lí, nel tuo salotto, fra morbidi divani e tendaggi di velluto chiusi a proteggere la vostra intimità...

Angus scosse la testa. – Non abbiamo morbidi divani, a casa mia. Solo divani di quercia massiccia imbottiti di teak... Quindi non dovrei correre rischi. In piú la presenza di Aelita mi aiuterà a contenermi. Devo provarci. Non avrò pace finché non riuscirò a produrre marmellate di frutti vari!

– Io credo che sia soltanto una scusa per portartela a casa e cercare di baciarla, – disse severamente Donald.

– A costo di morire?

– Ah, a questo proposito, c’era una cosa che volevo chiederti. Dopo i trentacinque potete?

– Cosa?

– Tradire. Se tradite dopo i trentacinque, tutto bene?

– Sí, dopo i trentacinque non si corrono rischi. Ma io ho soltanto ventotto anni, Don. Per altri sette, sono obbligato a reprimere la passione che mi trascina verso quella dannata ragazza!

– Sette sono tanti, sí. Ah, a proposito, mi sono innamorato della sua amica.

– Ah, sí... quella ragazza bruna con le curve al posto giusto e occhi di carbone... c’è in lei qualcosa di spagnolo, e si sa che le spagnole non si tirano indietro, ottima scelta. E tu che hai la fortuna di non essere un Keiller potrai scatenare liberamente i tuoi istinti primordiali.

Angus sospirò, poi congedò l’amico. Doveva assaggiare la Marmellata di Arance e Pesto, l’ultima novità della Keiller. A Natale, sarebbe andata a ruba.

– Zia Theodora, cosa devo fare?

Turquoise rivolse questa sentita domanda all’anziana parente, nonostante costei non fosse piú in vita ormai da molti anni. Si trattava infatti di quella stessa zia che le aveva lasciato le sue proprietà a Kirriemuir, dando cosí l’avvio alle sue fortune dolciarie. Spesso, quando un dubbio la martoriava, Turquoise si rivolgeva per consiglio alla defunta, ricevendo sempre indicazioni incoraggianti. Quando era stata mortalmente incerta nell’acquisto delle tende per il salotto, era stata zia Theodora a indicarle come scelta migliore quelle stampate a pappagallini brasiliani, e quando non sapeva se abbandonarsi al desiderio del barista del pub in piazza, zia Theodora l’aveva vivamente sconsigliata. Il suo modo per comunicare con la nipote dai Regni dei Campi Elisi era semplice: se dopo esser stata in visita al cimitero la prima persona che le rivolgeva la parola era un uomo, la risposta della zia era NO, se si trattava di una donna, era invece SÍ.

Cosí, anche quel giorno Turquoise chiese fiduciosa alla zia: – Dimmi, devo vendere a Angus Keiller? Dimmi sí, o dimmi no –. Dopo aver deposto sulla pietra tombale un grazioso bouquet di rovi spinosi, la pianta preferita dalla defunta, Turquoise si allontanò, e vide venire verso di lei la vedova Loughton, con i suoi due bambini. Questo poteva significare una cosa sola: che zia voleva dirle di vendere. Turquoise, pallida e incantevole nel suo cappotto di montone foderato di pelliccia lilla, si passò la mano fra i capelli profumati di foglie di limone, grazie al balsamo che ogni mattina applicava puntuale dalle radici alle punte. Dunque doveva ven...

– Togliti di lí, cretina!

Ad apostrofarla in questo modo era stato Jim il becchino, un uomo sempre arrabbiato. Turquoise non si era accorta di essersi fermata proprio dove il coscienzioso lavoratore stava iniziando a scavare una fossa.

Allontanandosi, Turquoise sentí di essere sull’orlo della filosofia. Dunque la zia voleva dirle di sí, e lei con quella sosta improvvida aveva cambiato il verdetto, o invece la sosta era prevista, e la zia aveva voluto dirle no? Ma poi scosse la testa con una lieta risata: lei era una ragazza sana, senza eccesso di pensiero, felice di snocciolare ciliegie e cuocerle con lo zucchero. Jim il becchino era un uomo, e quindi la risposta era no.

– E la risposta è no.

Turquoise aveva accettato l’invito per il tè di Angus Keiller. Dopo aver detto di no a quello svenevole avvocato che aveva fatto colpo su Shannara, riteneva opportuno ribadire il rifiuto anche ad Angus, sperando che la faccenda fosse risolta una volta per tutte. Voleva tornare alla normalità, alla sua vita modesta e senza scosse, e dimenticare per sempre quegli occhi verdi e quella bocca arrogante. A tempo debito, forse, avrebbe anche ripensato alla proposta di Jamie, lo avrebbe sposato, e sarebbe diventata madre di parecchi bambini scozzesi dalle guance rosee. Prima, però, doveva liberarsi di Angus e delle Marmellate Keiller.

Si era preparata con cura all’appuntamento: un lungo bagno profumato al caprifoglio, un massaggio con la body lotion alla vaniglia, una spruzzata di eau pour le corps alla fragola muscata, e il suo profumo alla tuberosa. Aveva poi indossato biancheria intima di seta color menta, per dimostrare che in ogni caso lei non aveva intenzione di finire a letto, e aveva scelto un semplice abito di cachemire beige con inserti di pizzo beige, impreziosito da ricami di paillettes beige. Perfetto per un tè, pensò raccogliendo i lunghi capelli rossi in una treccia dalla studiata trascuratezza.

Dopo una breve passeggiata durante la quale, inspiegabilmente, era stata seguita da parecchi animali selvatici, era arrivata nella sontuosa residenza dei Keiller, aveva attraversato l’elegante giardino colmo di ogni pianta in grado di sopravvivere all’inverno scozzese, cioè non moltissime, ed era entrata nell’imponente vestibolo rivestito di marmo di Carrara, onice e lapislazzuli, e adorno di eleganti paesaggi francesi, a sostituire le teste di cervo impagliate rimosse da Angus mezz’ora dopo il funerale di suo padre.

La governante, Missis Wren, l’aveva poi condotta nel budoir della defunta Missis Keiller, dove la attendevano Angus e una incantevole bambina bruna, una replica in miniatura del bellissimo fratello. La piccola aveva dimostrato subito una spiccata simpatia per lei, e le aveva sorriso mettendo in mostra innumerevoli fossette.

– Buongiorno Miss Leicht! Quando posso venire nel suo negozio a mangiare i bombi?

– Quando vuoi, tesoro!

– Anche perché presto il negozio di Miss Leicht sarà nostro,Tortorella mia.

Ed era stato a questo punto che la magica atmosfera si era infranta come una provetta nel laboratorio di uno scienziato pazzo. Turquoise aveva sentito risvegliarsi la tigre che assopiva in lei, e aveva risposto con astio:

– Questo non avverrà mai!

– Non sia precipitosa, Miss Leicht. L’ho infatti invitata a questo simpatico tea in famiglia per rinnovarle la mia proposta: le chiedo di cedermi la Briar’s Rose, impresa di marmellatificio artigianale.

– E la risposta è no: lei non calpesterà il mio orgoglio, signor Keiller! La Briar’s Rose è mia, l’ho fatta io, e lei non l’avrà mai!

Mentre lei e Angus si fissavano fieramente, combattuti fra il desiderio di prendersi a schiaffi e quello di baciarsi con passione rotolando avvinti sul tappeto cinese blu a motivi floreali color corallo, Aelita aveva abbracciato Turquoise, dicendo con voce già in procinto di rompersi fra i singhiozzi.

– Ti prego, Miss Leicht, non fare arrabbiare Angy... lui è tanto buono! E anche tu sei buona, io lo so, e già ti voglio tanto bene, non come a quella brutta Glo...

– Basta cosí, Aelita. Sono certo che Miss Leicht non voleva farmi arrabbiare. Le nostre sono soltanto discussioni d’affari che possiamo rimandare ad altra occasione. Vero, Miss Leicht?

– Angy?

– Sí, Aelita mi chiama cosí. Se vuole ridere, lo faccia altrove.

Turquoise scoppiò a ridere, invece, e la stanza si riempí del suono di mille campanelli d’argento agitati da fatine sexy. Angus boccheggiò in preda a una passione senza piú limiti. Quella risata era la cosa piú affascinante, piú seducente, piú erotica che lui avesse mai ascoltato...

– Oh Turquoise… – esalò, allungando una mano. E Turquoise sentí in un attimo sciogliersi tutte le sue resistenze. Sí, al diavolo tutto, gli avrebbe venduto la Briar’s Rose, anzi, gliela avrebbe regalata, avrebbe fatto qualunque cosa lui volesse, pur di poterlo baciare lungamente fino a perdersi in lui e poi anche, perché no, abbandonarsi a quel palpitante desiderio, a quella virile forza che già le sembrava di sentire sua!

– Oh, Angus...

Un attimo ancora, e di fronte all’interessatissima Aelita si sarebbero abbracciati, sussurrando incoerenti parole d’amore, ma in un lampo di residua consapevolezza, Angus ricordò la maledizione dei Keiller, e con uno sforzo supremo si scostò da Turquoise dicendo:

– Rifletta bene, perché i termini contrattuali potrebbero essere di suo gradimento. Facendo riferimento all’acquisizione Tywolyn - O’Gradison, le resterebbe un sette per cento dell’azienda, il che le consentirebbe il controllo dei frutti di bosco.

Turquoise si strinse nel suo mondo beige, provando un improvviso gelo al cuore, gelo che si trasformò in una colata di ghiaccio quando alle sua spalle una voce disse:

– Interrompo una discussione d’affari?

Sulla soglia c’era Lady Glorietta, sfavillante in un abito di Chanel all’uncinetto, in tutte le sfumature del blu. Anche le sue scarpette swarowsky scintillavano di cristalli blu, e azzurre erano le piume di pavone che le tenevano fermo lo chignon basso.

– Oh no! Hai rovinato tutto! – la vocina di Aelita spezzò l’incanto malefico del momento, e Lady Glorietta rise allegra.

– Sempre spiritosa, tua sorella! Come va, Angus?

– Molto bene, Glorietta cara. Stavamo in effetti discutendo di affari. Vuoi unirti a noi per un tè?

– Volentieri. Buonasera, Miss Leicht.

Turquoise non era diventata imprenditrice a diciassette anni per caso. Si riprese subito, e salutò con garbo gelido Lady Glorietta.

– Ho piacere di trovarla qui, Miss Leicht. In effetti, sarei passata io dal negozio domattina, ma già che ci siamo, glielo chiedo subito. Per il nostro matrimonio, Angus e io pensavamo a confetti ripieni di marmellata. Naturalmente la maggior parte saranno ripieni di marmellata d’arancia, ma ne vorremmo anche un piccolo quantitavo ad altri gusti. Lei pensa di poterceli fornire?

– Certamente. Quando vi sposate?

– Ah, beh... non si era ancora parlato di una data... ma già che ci siamo fissiamola. Eh, Angus?

– No no no no no no!!!! – urlò Aelita, ma suo fratello si limitò a prenderla per i codini e sbatterla fuori, chiamando a gran voce: – Madame Grenouille! Vuole occuparsi di questa bambina! Che cosa la pago a fare!!!

Poi rientrò, e ritrovando un’amabile quanto fasulla compostezza, disse: – Non saprei, Glorietta. Forse è ancora un po’...

– Allora diciamo il 20 maggio. Cinque mesi dovrebbero bastare a organizzare una cosa appropriata. Siamo d’accordo per i confetti?

– D’accordo. In quanto all’altra faccenda, signor Keiller, se la levi dalla testa una volta per sempre.

Turquoise si girò per andarsene, ma fece ancora in tempo a vedere Glorietta che volava fra le braccia di Angus, e lo baciava sulle labbra, con tutta la naturalezza di una fidanzata. Era stata pazza a pensare che fra loro potesse esserci qualcosa. Quell’uomo stava per sposarsi, e con una saracca coperta di centrini all’uncinetto. Doveva dimenticarlo, lui e le sue maledette marmellate.