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Luciana Vannucci aprì gli occhi in preda a un fortissimo mal di testa. Provava uno sgradevole senso di vertigine. Era nella sua camera da letto, se ne rese conto dopo qualche secondo di confusione totale. L’occhio andò alla sveglia digitale sul comodino che segnava le undici e un quarto. Tutto questo le pareva assurdo, impossibile. Strizzò gli occhi e se li massaggiò con le mani per essere certa di non essersi sbagliata. No, era l’orario giusto, confermato dal display del cellulare che teneva in carica sulla sedia vicino al letto. Quella maledetta sveglia comprata dai cinesi l’aveva tradita. Ma come aveva fatto a dormire così tanto? Non ricordava di aver esagerato col vino, la sera prima. Una cena leggera, un paio di puntate di quella serie su Lucifero che le piaceva tanto, su Netflix, e giusto qualche pagina del noioso romanzo giallo che stava leggendo. Più o meno come ogni santa sera. Cosa avrebbe raccontato in ufficio? Lavorava da un anno come segretaria in una azienda che produceva pallets in legno, una delle eccellenze del comparto industriale della Valdera. Era riuscita a ottenere quell’impiego grazie alla raccomandazione di un parente, esponente politico di un certo peso in Regione, che aveva agganci con uno dei proprietari, finanziatore della sua campagna elettorale.
Da quando si era separata dal marito, poco più di un anno prima, la trentasettenne Luciana Vannucci aveva dovuto reinventarsi una nuova esistenza. Quel bastardo l’aveva lasciata in mezzo a una strada, si era messo con una giovane romena ed erano scappati all’estero, dopo che lui aveva svuotato il conto corrente comune. Le ultime notizie li davano alle Canarie a gestire un noleggio di scooter. Ma perché nessuno l’aveva chiamata dall’ufficio? Non si erano accorti della sua assenza? Controllò il cellulare e in effetti trovò quattro chiamate non risposte dalla ditta. Un’altra era dall’asilo. Rabbrividì, come se una scossa elettrica l’avesse investita in pieno. Sandro, il figlio di tre anni e mezzo. Possibile che anche lui stesse ancora dormendo? Luciana si alzò di scatto, scostando la trapunta del letto matrimoniale e, ignorando la testa che le pulsava e i conati di vomito che l’aggredivano a ondate, corse nella stanza accanto alla sua, quella del figlioletto. La luce era spenta, l’abat-jour accesa, le ciabattine dei Minions sul tappeto. Ogni cosa era esattamente al suo posto, come la sera prima.
Ma il lettino di Sandro era vuoto.