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L’ora di cena era passata da un pezzo. Rambaldi, Brogi, il maresciallo Santamaria e il maggiore Tosti tiravano le somme dell’indagine nella sala riunioni della stazione Carabinieri, intorno al tavolo ingombro di fogli e foto.

«Cerchiamo di ricapitolare» disse il PM. «Velocemente. Inizi lei Santamaria.»

«Sì dottore, dunque, la telefonata di Palombini Gino, dal suo cellulare, è arrivata poco prima delle sei e mezzo stamattina. Ha risposto Varricchio, che era di guardia, e me l’ha passata nel mio alloggio. Palombini sembrava agitato. Ha detto di aver trovato un morto vicino alla statua dell’anfiteatro. Le sue esatte parole sono state…» Sollevò il foglietto di fronte al naso e lesse strizzando gli occhi. «“Diobòno come l’han conciato. L’hanno accoppato e colorato tutto azzurro ’sto povero diavolo.”»

«Ha fatto cenno alle generalità del defunto?»

«No, non lo aveva riconosciuto. Ha capito chi era solo dopo, guardandolo meglio, e ce lo ha detto quando siamo arrivati.»

«Ed è plausibile secondo lei?»

«Secondo me sì. In quelle condizioni, rasato a zero e pitturato… bisognava guardarlo bene per capire. Anche se in paese Serse Barani era un volto conosciuto.»

«Poi cos’è successo?»

«Abbiamo allontanato Palombini per evitare che contaminasse la scena del crimine. Galassi ha iniziato a raccogliere informazioni, io e Corda abbiamo scattato le foto. Ho incaricato due agenti di bloccare la strada per l’anfiteatro. Poi è arrivato il capitano Rambaldi.»

«Va bene» rispose Brogi. «Da lì in poi sono al corrente dei fatti. Tosti, sta a lei.»

Fulvio Tosti si raddrizzò sulla poltroncina e raccolse alcuni fogli sparsi sul tavolo davanti a sé. «Sì, dottor Brogi, dunque…» Diede un’occhiata agli appunti. «Il decesso risale a una finestra temporale che va dalle 22 di ieri alle quattro di stamattina.»

«Può essere più preciso?»

«Non prima delle analisi del medico legale. Non sappiamo per quanto tempo il corpo è rimasto esposto alla temperatura esterna, per il momento siamo costretti ad applicare dei parametri prudenziali. La causa della morte al momento è ignota, tocca attendere l’autopsia. Probabile asfissia da strangolamento, stando ai lividi riscontrati sul collo della vittima. Che, per inciso, sono del tutto simili a quelli che abbiamo trovato sul corpo di Roberta Savio. Stessa dimensione, stessa estensione. Ovviamente non posso ancora confermarlo ma non sarebbe affatto una sorpresa se venisse fuori che a strangolare le due vittime sia stata la stessa mano.»

«Già» disse Brogi. «Quegli scribacchini e pagliacci televisivi asserragliati qui fuori, invece, si sono portati avanti, per loro è un dato di fatto. Già parlano e scrivono di un Mostro di Peccioli. Ma vada avanti, Tosti.»

«Sì… Lo hanno colorato di vernice azzurra dall’inguine in su, dopo avergli rasato capelli, sopracciglia, barba, peli sul petto. Un lavoro accurato che deve aver richiesto del tempo. È stato sotterrato fino alla cintola in un buco e il cadavere è stato ricomposto nella posizione della statua dell’anfiteatro, grazie a un supporto in legno fissato al terreno, questa specie di “T”, disse mostrandogli la foto.»

Brogi annuì facendo cenno di andare avanti.

«Le braccia erano bloccate con del fil di ferro, che si usa per l’edilizia. Di un tipo che si trova in qualsiasi ferramenta, arrotolato a matassine.»

«Ho disposto una ricerca nelle rivendite di tutta la provincia» s’intromise Rambaldi.

«Dall’inguine in giù» proseguì Tosti «il corpo non è stato colorato. Indossava pantaloni della tuta e calze sportive. Questo fa pensare che al momento della morte si trovasse a casa sua. L’abbiamo perquisita, ecco le immagini» disse l’ufficiale scientifico dei Carabinieri, porgendo dei fogli ai presenti. «Nel soggiorno di casa di Barani abbiamo trovato questo. Al centro della stanza c’era un telo di plastica da serra 3 metri per 2. Peli, capelli e residui di vernice. È lì che si sono accaniti sul cadavere. Per trasportarlo, è probabile che lo abbiano avvolto nel tappeto persiano che risulta scomparso dalla stanza, almeno a detta della moglie. Devono essere stati in due oppure un individuo molto forte perché Barani pesava 76 chili. Il rilevamento delle impronte non ha dato nessun esito.»

«Nessuno?» fece Brogi.

«Solo quelle della vittima, della moglie, della domestica che però ha un alibi di ferro.

«Com’è possibile?»

«L’individuo che ha ucciso e allestito quell’opera di carne e ossa è un assassino maniacale, pulito, preciso. Ha agito usando dei guanti. Forse indossava una protezione in grado d’impedire il rilascio di residui di dna.»

«Ma scusate» rispose Brogi «l’ha ucciso a casa, l’ha conciato in quel modo e l’ha trasportato a Fonte Mazzola per… seppellirlo. Possibile che non ha lasciato una traccia dietro di sé, perdio!»

«Ho fatto repertare calchi di impronte parziali sul terreno, segni di pneumatici, persino cicche di sigarette» rispose il maggiore Tosti. «Li esamineremo, ma quella è una zona molto battuta, c’è troppa roba, è difficile riuscire a trarne qualche cosa di utile. Forse è materiale che potrebbe rivelarsi utile per un confronto, se arrivassimo a individuare un sospetto, ma per ora… Comunque, ribadisco la convinzione che il tipo sia uno preciso e che difficilmente si lasci fregare in questo modo. Se poi è lo stesso del museo… Anche lì niente di niente. È come se avesse agito indossando una tuta integrale.»

«La verità, dottor Brogi,» intervenne Rambaldi «è che al momento non abbiamo nulla di concreto in mano. Per entrambi gli omicidi. Le piste che hanno un senso le conosce: i motociclisti, la relazione del sindaco con la moglie della seconda vittima, il fantomatico ex fidanzato di Roberta Savio nelle forze dell’ordine, da qualche parte a Milano. E il mistero del tablet scomparso. Poca roba.»

«Forse è poca roba ma cerchiamo di farla fruttare. Rambaldi, provi a rintracciare i due motociclisti a piede libero. La moglie la sentirò di nuovo domani a Pisa, e sentirò anche il sindaco, Duccio Mascagni. Ma la loro versione mi è sembrata attendibile. Nell’orario presunto della morte di Serse Barani erano a Livorno. Hanno cenato insieme, avranno passeggiato sotto lo sguardo di varie telecamere di sorveglianza. Anche se questo è un fatto da accertare. Comunque, in sostanza, non ci sono discrepanze nelle loro versioni, l’alibi regge. Mi diceva, la questione del tablet?»

«Sì, il tablet. Abbiamo ragione di credere che sia stato sottratto a Roberta Savio poche ore prima della sua morte. È quello che pare emergere da un esame più approfondito dei filmati del museo. Pare che sia accaduto in un momento in cui con lei c’erano due donne, Agnese Sinibaldi e Giuditta Natale, entrambe della Fondazione Peccioli. Le abbiamo sentite io e Santamaria, separatamente, ma negano. Nessun cedimento.»

«Le senta ancora, ha la mia delega per un interrogatorio formale.»

Rambaldi annuì poco convinto.

Il brigadiere Corda bussò e si affacciò alla porta: «Scusate… c’è una novità».

«Sì?» rispose Brogi.

«C’è la dottoressa Sinibaldi. È preoccupata perché pare che una delle sue collaboratrici sia scomparsa. Non la vedono e non la sentono da stamattina.»

«Chi?» chiese Rambaldi temendo che si trattasse di Daria.

«Giuditta Natale» rispose il brigadiere.

I quattro intorno al tavolo si scambiarono sguardi esasperati. E improvvisamente sembrarono stanchi e inermi.